SCUOLA

Vi è un crescente divario tra l’Italia e la media UE rispetto agli indicatori statistici dell’istruzione: lauree 20% in Italia (32% UE), diplomati 62% in Italia (79% UE), uscite precoci dal sistema formazione-istruzione (abbandoni scolastici) 13,1% in Italia (9,9% UE). Se si disaggregano questi dati emerge un quadro ancora più inquietante, quello di un paese squilibrato. I valori sono drammaticamente peggiori nel Mezzogiorno o quando il livello di istruzione o di occupazione dei genitori è basso. Ridurre il divario rispetto all’UE di tutti questi indicatori statistici deve essere una delle principali priorità politiche. Ciò va fatto però evitando che si accresca ulteriormente la disparità educativa, pertanto vanno contrastate quelle azioni, come l’autonomia differenziata a favore delle regioni più ricche, che potrebbero creare ulteriori povertà e disuguaglianze.

È indispensabile agire su questi indicatori relativi all’istruzione anche per il disallineamento tra la domanda di lavoro delle imprese e della PA, stimata nei prossimi 5 anni, e l’offerta di lavoro competente da parte dei lavoratori.  L’Italia inoltre ha il 25,1% di NEET, ovvero di giovani tra i 15-34 anni che non sono né occupati né inseriti in percorsi di istruzione o di formazione. È il più alto valore in Europa. In FVG sono il 16,2%, che è comunque un numero impressionante.

Le politiche attive per l’istruzione e la formazione pubblica devono però partire dall’asilo nido per tutti, che oltre a costituire una dei principali strumenti di conciliazione tra lavoro e famiglia, viene ormai riconosciuto indispensabile per un pieno sviluppo cognitivo. Nemmeno in FVG abbiamo ancora raggiunto ovunque lo standard previsto dall’UE per il 2010, ovvero il 33% dei bambini nella fascia 0-3 anni. Fissai questo obiettivo nel 2008, quando fui eletto a Sindaco di Udine, raggiungendolo nel 2016.

È indispensabile restituire agli alunni delle scuole elementari le 5 ore di lezione settimanali sottratte 10 anni fa, quando i governi Berlusconi e Monti dovevano ridurre il deficit italiano. Fu il primo criminale esempio concreto di come le generazioni future si trovano a ripianare i debiti delle generazioni anteriori. Oggi il deficit educativo è ulteriormente cresciuto, anche a causa della Pandemia e dell’esperienza della DAD e va compensato prima che sia troppo tardi.

Tutte queste problematiche devono però essere definite in accordo e tutelando tutte le categorie di lavoratori e di lavoratrici della scuola. Vanno definiti meccanismi omogenei e stabili per la formazione degli insegnanti inziale e continua e regole eque per il loro reclutamento, con percorsi sicuri di stabilizzazione. Allo stesso modo vanno realizzati programmi di edilizia scolastica non solamente per trasformare scuole vecchie in scuole sicure, ma per rendere le scuole luoghi effettivi di apprendimento, che favoriscano la formazione attiva e il dialogo con le comunità educative all’interno delle quali sono inserite.

La scuola deve rimanere principalmente istituzione pubblica e statale, contro ogni tentativo di privatizzazione o di regionalizzazione dei meccanismi di reclutamento, di dimensionamento e di definizione dei curricula.

I giovani vanno educati ad apprendere, perché lo sviluppo tecnologico è così rapido che è molto rapida l’obsolescenza di certi programmi di formazione. Invece, la formazione e l’orientamento al lavoro devono valorizzare le specificità dei giovani in sicurezza e non rappresentare un modo per scaricare sul sistema pubblico i bisogni particolaristici del sistema imprenditoriale.

La formazione inziale e la formazione continua, intesa anche come riqualificazione, va guidata da agenzie come ANPAL, altrimenti l’innovazione, di cui tanto abbiamo bisogno per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità, rischia di creare nuova emarginazione.

L’Università deve essere un diritto. I costi per gli studenti fuori sede e le rette devono essere abbattute, come devono essere garantite opportunità di dottorato di ricerca a chi desideri proseguire e perseguire tale attività. Le case dello studente devono essere un’opzione per tutti. Lo standard delle università deve essere fatto crescere in modo omogeneo. Se si creano disparità viene meno tale diritto. La gestione fino ad oggi del PNRR per quanto riguarda la ricerca non è andata in questa direzione e la sua traiettoria va corretta prima possibile.

L’innovazione è indispensabile. Può nascere solamente dalla ricerca intesa in tutte le sue sfumature da quella più accademica curiosity-driven a quella dei centri di ricerca pubblici a quella precompetitiva fatta nelle aziende nei reparti di Research &Development. La maggior parte delle crisi industriali non nascono solamente dalla delocalizzazione delle linee di produzione ma dalla delocalizzazione dei centri di R&D, che sono avvenute in modo silenzioso ben prima. La ricerca va pertanto non solamente sostenuta ma anche promossa attivamente nelle aziende!

Il nostro Paese è una superpotenza culturale. A questo fine vanno tutelate tutte le professionalità connesse e indispensabili, da quelle di vertice, come i direttori dei musei, a quelle fornite da manodopera spesso con contratti a chiamata. Per tutti i lavoratori della cultura e dello spettacolo, soprattutto quelli dal vivo, devono essere previste delle garanzie a partire dall’indennità di discontinuità. Con la cultura si deve poter mangiare ma a questo fine non si deve appiattire la cultura a mero asset turistico. Il consumismo turistico, come quello delle grandi navi da crociera, ad esempio, deve essere sempre valutato in chiave di sostenibilità.