Partigiani e loro familiari, rappresentanti del Comune di Aviano, e dei Comuni della Magnifica Comunità di Montagna, Presidente dell’ANPI di Aviano Angelo Caporal, Rappresentante dell’Associazione Partigiani Osoppo, e delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, cittadine e cittadini, è con viva emozione che mi rivolgo a voi presso questo Monumento alla Resistenza che riporta 63 nomi di partigiani e di tanti avianesi militari e civili uccisi dai fascisti e dai nazisti dopo l’8 settembre 1943.
L’orazione commemorativa sarebbe perfetta e potrebbe già terminare dopo la lettura di questi nomi e delle poche ma intense parole con cui, nello splendido libro di Pietro Angelillo e Sigfrido Cescut “I luoghi delle Pietre e della Memoria”, è delineato lo slancio ideale e la drammatica vicenda di ciascuno. Il nome è la cifra dell’irripetibile unicità di ogni singola persona umana e appunto così l’Associazione Libera celebra il 21 marzo di ogni anno la Giornata contro le Mafie, leggendo, in tante piazze d’Italia, i nomi dei morti ammazzati di Mafia. E questi elenchi sono già poesia. Tale scelta nacque, come spesso ricorda Don Ciotti, per rendere giustizia a quella piccola donna vestita di nero, Carmela Antiochia, che ad una manifestazione che ricordava il sacrificio di Giovanni Falcone, a lui si rivolse così: “Sono la mamma di Antonio Montinaro, ucciso con Giovanni Falcone, di cui era il caposcorta, perché non pronunciano mai il nome di mio figlio?” E se leggere tutti i 63 nomi richiederà tempo, sarà tempo nel quale dimostreremo nel modo più alto la nostra umanità e riconoscenza, insieme all’impegno a riscattarne la morte facendo vivere oltre ai nomi quei valori di libertà, giustizia e uguaglianza, che loro seppero solamente immaginare profeticamente e a cui sacrificarono la giovane vita. Questa è la ragione che ci porta a ritrovarci qui oggi, piuttosto che altrove a Udine, a Trieste, a Pordenone. Siamo qui per loro, per coloro che combatterono sul Piancavallo, nella Valcellina, nella Valcolvera, nella Valle del Vajont, e in tutte le altre valli di questa straordinaria parte del mondo che è il Friuli Occidentale e che tanto sangue partigiano ha versato per la lotta di Liberazione dal fascismo. I nomi sono importanti – sono quanto ci sopravvive nel tempo – pertanto, il diritto al nome è diritto fondamentale che dovremmo garantire a ogni nato in Italia, come richiede l’obiettivo 16.9 dei 17 SDG dell’ONU: entro il 2030 fornisce l’identità legale per tutti, comprese le registrazioni gratuite di nascita. Invece il nostro paese, accecato dal populismo più razzista, non lo garantisce più, perché vige ancora l’Art.1, comma 22, lettera g), dell’infame Legge 94/2009, la Berlusconi-Maroni, “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, che modificò il comma 2 dell’articolo 6 del “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” (il D.Lgs. 286/1998), che oggi richiede che per i provvedimenti inerenti agli atti di stato civile come la dichiarazione di nascita, sia necessario esibire il permesso di soggiorno. I figli degli irregolari in Italia non hanno pertanto il diritto a un nome, se non a rischio di denuncia dei loro genitori. Da anni mi batto, insieme ad altre cittadine e cittadini, perché tale norma vergognosa sia cancellata dalla nostra legislazione; non basta una circolare amministrativa per curare questa ferita aperta nella nostra coscienza civile, ma la destra odiatrice vi si oppone con tutto il suo nazionalismo asfissiante.
Voglio adesso recitare la splendidamente ruvida e dissonante poesia del poeta-sindacalista Leonardo Zanier, l’autore di Libers di… scugnì lâ, scolpita sul monumento di Piancavallo, che con straordinaria concisione riassume l’epopea che oggi celebriamo. La leggerò in friulano perché il friulano è una delle lingue della Resistenza:
Via un zovin:
da cuasi ogni famea
via in Russia:
a impará a copâ
via a pît
ta glaça o tal pantan
plui no scrivin:
si vai in ogni cjasa
pôs a tòrnin:
‘l è dûr sierâ a vincj ans
chei ch’a tòrnin:
devéntin partigjans.
Ma voglio citare oggi anche la frase di Pietro Calamandrei scolpita sul Monumento alla Resistenza a Udine, città insignita della medaglia d’oro per la Lotta di Liberazione a nome di tutto il Friuli, e quindi anche di questi luoghi, monumento presso il quale come sindaco ebbi l’onore di esprimere il mio impegno antifascista per dieci anni : quando considero questo misterioso moto di popolo questo volontario accorrere di gente umile/ fino a quel giorno inerme e pacifica che in una improvvisa illuminazione senti’ che era giunto il momento di darsi alla/ macchia di prendere il fucile di ritrovarsi per combattere contro il terrore mi viene fatto pensare a certi inesplicabili/ ritmi della vita cosmica ai segreti comandi che regolano i fenomeni collettivi come le gemme degli alberi che spuntano/ lo stesso giorno come le rondini di un continente che lo stesso giorno si accorgono che e’ giunta l’ora di mettersi in viaggio/ era giunta l’ora di resistere era giunta l’ora di essere uomini per vivere da uomini.
Questa frase fa comprendere come la persona umana, da sola, non ha né senso né speranza. La nostra umanità non può essere tale se non si riconosce spontaneamente collettiva e solidale, perché i diritti umani e civili o sono per tutti oppure non sono!
Ma oggi, in questo luogo, non è possibile non ricordare quanto Calamandrei disse agli studenti milanesi nel 1955, perché descrive proprio il senso dell’atto che stiamo compiendo: Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione.
La nostra Costituzione è nata proprio qui sul Piancavallo, dove sin dai primi mesi del 1944 salirono in montagna antifascisti, attivisti politici, comunisti, socialisti, indipendenti – giovani e reduci delle guerre di aggressione imperialiste dell’Italia in Africa, Grecia, Albania, Jugoslavia e Russia che sfuggirono coraggiosamente alla deportazione in Germania e all’arruolamento nelle formazioni fasciste della repubblica di Salò, costituendo i primi battaglioni delle divisioni Garibaldi e Osoppo.
E proprio qui sul Piancavallo maturò forse l’esempio più luminoso di quello spirito che è alla base della nostra Costituzione e ne costituisce la bellezza e la forza: in essa tutti ci riconosciamo democraticamente in modo unitario come cittadini della Repubblica Italiana una e indivisibile, come recita l’Art. 5, al di là delle diversità delle nostre mentalità e ideologie, dei nostri conformismi, come li chiamava Gramsci. Si può ben dire che qui a Piancavallo, ben più di quanto avvenne altrove, nacque nell’unità di intenti e di ideali civili fondamentali, in uno spirito di pluralismo e di difesa della libertà di opinione di chi la pensa diversamente da noi, quel processo democratico che è la vita di una Repubblica. Qui, partendo dal basso, dai comandanti dei battaglioni, inizialmente addirittura contro la volontà stessa dei comandanti di rango più elevato, grazie all’intelligenza civile e la determinazione di uomini profondamente diversi tra loro per formazione e storie, fu istituito il primo Comando Unificato Garibaldi-Osoppo per combattere uniti in modo più efficace il fascismo e il nazismo. I protagonisti furono Mario Modotti “Tribuno”, operaio dei cantieri di Monfalcone, membro di Soccorso Rosso e attivista comunista, poi GAPpista, che insieme a Giulio Quinto Contin “Richard” costituirono il primo battaglione garibaldino “Nino Bixio” nel Friuli Occidentale, e Pietro Maset “Maso” capitano dell’8° reggimento Alpini della Divisione “Julia” che, contattando ufficiali e militari sbandati e raccogliendo armi sin dall’autunno del ’43, fu uno dei primi organizzatori della Resistenza nel Friuli Occidentale contribuendo alla nascita del nucleo della “Osoppo Friuli”, il battaglione “Piave”. Qui sul Piancavallo fu istituito uno dei pochissimi esempi di Brigata Unificata Garibaldi-Osoppo la “Ippolito Nievo A”.
Il 7 agosto 1944 iniziò quindi l’epopea di questa brigata che vide inquadrati oltre 600 uomini in vari battaglioni: il “Bixio”, il “Gramsci”, il “Mazzini” erano garibaldini, il “Piave”, il “Cellina e il “Vittoria” erano osovani. La loro azione congiunta contribuì allo sviluppo della Repubblica Libera della Carnia difendendola da sud e provvedendo a importanti linee di rifornimento. Questa Repubblica libera anticipò nella sua organizzazione la nostra Repubblica Italiana sotto molti aspetti: abolì la pena di morte, assicurò una giustizia gratuita, l’educazione pubblica, la casa, la tutela dei beni comuni e di fatto diede per la prima volta il voto alle donne, in qualità di capofamiglia.
L’estate del ’44 fu un’estate di gioia e speranza di una prossima liberazione. L’organizzazione della “Ippolito Nievo A” fu esemplare. La Brigata era approvvigionata da un’unica intendenza che riforniva cibo, vestiario, attrezzature dove prima ce n’erano due. Aveva coordinato una specifica attività di spionaggio d’intesa con i GAP che operavano in pianura. Aveva istituito un tribunale militare di brigata. Nei paesi liberi come Claut molte erano le donne partigiane che operavano in vari servizi funzionali all’Ippolito Nievo A. A Claut venivano forniti inoltre servizi ospedalieri e funzionava anche un ufficio stampa per contrastare la disinformazione e la propaganda fascista che vigliaccamente gettava fango sul movimento partigiano, presso i civili in pianura.
Fu una stagione che ebbe però durata tragicamente breve, perché il 13/11/44 fu emanato il proclama Alexander che comunicò ai patrioti la decisione alleata di fermarsi per l’inverno sulla linea gotica invitando le truppe partigiane allo scioglimento. Forze che fino ad allora erano riconosciute quasi come forze regolari dagli stessi nazifascisti qui a Piancavallo (si consideri l’episodio dello scambio di prigionieri del 3/08/44), si trovarono così abbandonate nell’affrontare le grandi offensive nazi-fasciste dell’autunno del ’44 e il terribile inverno del ’45. Vicende drammaticamente descritte da un altro eroe della Ippolito Nievo A, Angelo Carnelutto “Clark”, nel suo libro “Ricordi vivi di vita partigiana”. Queste offensive, in cui si distinsero per ferocia i fascisti della X Mas (il cui labaro continua vergognosamente a sfilare a Gorizia e in Piazza Unità a Trieste anche alla presenza del Presidente del Consiglio Regionale) portarono allo spezzamento del fronte della Brigata, al suo frazionamento e infine, alla caduta della Repubblica Libera della Carnia. Le forze partigiane sopraffatte per numero di mezzi e di uomini furono decimate e disperse. Molti partigiani, spesso impossibilitati a rimanere in montagna per l’arrivo dell’inverno, ritornarono alle loro case e vennero catturati. Furono mesi che videro feroci violenze fasciste e naziste non solo contro le formazioni partigiane, ma anche contro i civili con incendi e rastrellamenti. Non dobbiamo però più riferirci a queste azioni come a rappresaglie sui civili provocate dalle azioni partigiane. L’OZAK, Operationszone Adriatisches Küstenland, ovvero questi territori, erano comandati da criminali di guerra come Odilo Globočnik, che provenivano dall’Europa Orientale dove avevano perpetrato la più spietata guerra contro i civili, come metodo di controllo dei territori.
E come nel mito narrato dalle grandi tragedie greche, nelle ultime settimane di guerra si assisterà anche alla morte di tutti e tre gli eroici comandati della Brigata Unificata “Ippolito Nievo A”. Richard sarà colpito in un’imboscata, catturato, sarà lasciato morire dissanguato il 18 marzo 1945 a 38 anni. Maso sarà tradito, e cadrà in combattimento sul Col Sauc il 12 aprile del 1945 a 34 anni. Infine Tribuno, tradito anche lui e catturato a Bicinicco nel febbraio ’45 dai fascisti della X Mas, sarà torturato nella famigerata caserma “Piave” di Palmanova e poi fucilato nel carcere di Udine a 32 anni il 9 aprile del 1945 insieme ad altri 29 partigiani tra cui il comandante Mario Foschiani “Guerra” commissario politico della Divisione Garibaldi “Carnia”.
La guerra di Liberazione sulle montagne del Friuli Occidentale, a Piancavallo, e le realtà civili e organizzative che permise di costituire furono l’embrione di ciò che sarà di lì a qualche anno la Repubblica democratica Italiana. Questo luogo, a 1800 m s.l.m. fu e rimane quindi un punto archimedeo, un punto d’appoggio di straordinaria attualità anche in questa nostra “grande epoca”, come Karl Kraus chiamava ironicamente la sua, poco prima di iniziare a scrivere “Gli Ultimi giorni dell’Umanità” nel 1914. Perché in questa nostra epoca al governo c’è una forza politica che fa molta fatica a dichiararsi antifascista e che si ispira a personaggi che non partecipavano certamente alle riunioni clandestine del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia dal quale dipendevano tutte le forze partigiane, semplicemente perché combattevano a fianco dei nazisti.
Cittadine e cittadini, il nostro impegno antifascista dopo 79 anni di liberazione deve essere oggi, quindi, più fermo e determinato di sempre. Festeggiamo dunque con rinnovata consapevolezza la preziosa eredità etica e storica del 25 Aprile!
Se oggi possiamo dirci cittadine e cittadini, e non sudditi, lo dobbiamo solamente al sacrificio delle migliaia di giovani, come questi 63 che ricordiamo oggi, che immaginando profeticamente un mondo che non avevano conosciuto, hanno riscattato la feroce barbarie del ventennio fascista che aveva soppresso i partiti e i sindacati, represso il dissenso politico, varato vergognose leggi razziali, e infine condotto l’Italia ad una sciagurata guerra di aggressione imperialista a fianco dei nazisti, fino a cedere loro la sovranità sul Friuli Venezia Giulia. Furono giovani che maturarono nella lotta armata e nella resistenza civile i più alti principi di solidarietà, libertà e uguaglianza che informano la nostra Costituzione; che è la Grande Incompiuta, come la chiamava Calamandrei. Incompiuta, non solamente perché era ed è ancora ben lontana, ahimè, dall’essere pienamente realizzata, ma perché la Costituzione è pensiero vivo, che si deve fare azione e lotta continua. La Costituzione è l’unica legge che non procede dall’alto verso il basso, partendo dall’autorità per limitare la libertà del popolo, ma va all’incontrario, parte dal basso e fissa i limiti dell’autorità, perché solamente al popolo appartiene la sovranità, come recita l’articolo 1.
La Resistenza partigiana fu matrice di diritti individuali come la libertà e l’autodeterminazione, le pari opportunità, la sanità, la scuola, la giustizia ma anche di diritti collettivi come, la democrazia, l’ambiente e il paesaggio, la cultura, la tutela delle minoranze, la salute.
Per ogni antifascista la Resistenza è principio e riferimento etico: perché non è sufficiente esistere, l’imperativo morale è r-esistere.
Si deve resistere, in primo luogo, all’indifferenza nei confronti delle violazioni dei diritti degli altri. Perché i diritti o sono di tutti oppure non sono. E l’attendismo, o l’indifferenza o il non-dissenso, come fu in Italia un secolo fa durante il fascismo, è già complicità. Non deve venire mai meno la forza di scandalizzarci e il coraggio di dimostrarlo di fronte alle tragedie contemporanee che violano l’Art. 10 della nostra Costituzione. Quella dei migranti economici che attraversano il Mediterraneo, e possono ben chiedersi usando le parole di Virigilio, quaeve hunc tam barbara morem permittit patria? hospitio prohibemur harenae; bella cient primaque vetant consistere terra. Eneide I,541 (qual è questa patria che permette usanza tanto barbara per cui ci viene negato il rifugio della sabbia e che ci vieta l’approdo alla terra più vicina?) Oppure quella dei migranti lungo la rotta balcanica che fa tappa presso quella vergogna collettiva che è la topaia del Silos a Trieste. O quella dei civili nella striscia di Gaza contro i quali viene combattuta una guerra indiscriminata che non viene condannata perché pochi nel mondo osano alzare la voce contro i doppi standard che da decenni sono applicati spietatamente contro quel popolo, denunciati da Amnesty International. O quella delle disumane vasche di plexiglas e rete del Centro di Permanenza per i Rimpatri di Gradisca. O ancora quella della povertà nella quale vivono tante persone anche nella nostra regione, il cui Presidente si vanta di avere un PIL pro-capite maggiore della media nazionale, e non rileva la povertà delle disparità economiche, del precariato e dello sfruttamento lavorativo, e del caporalato; povertà che vede la nostra regione sopra la media nazionale per numero di persone che rinunciano alle cure a causa del collasso della sanità pubblica universalistica.
Ognuna di queste tragedie viola articoli ben precisi della nostra Costituzione mettendoli a rischio. Incomincio dal diritto alla salute, sancito all’Art. 32 come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. La Partigiana Tina Anselmi, primo ministro donna della Repubblica, seppe interpretarlo con la Legge 833 e l’istituzione nel 1978 del Servizio Sanitario Nazionale, sulla base dei principi di uguaglianza, universalità ed equità. Questo servizio, divenuto poi sistema aziendale, appare oggi messo profondamente in discussione. I processi di privatizzazione e di finanziarizzazione della sanità in atto stanno accrescendo le disuguaglianze in salute e portano a intendere la salute non come bene comune, ma come mera prestazione di cura quando la malattia è già in atto, azzerando la medicina di iniziativa, di prevenzione e di riabilitazione. La salute va intesa invece in modo olistico, come One Health secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, non solamente quindi come assenza di malattia, ma anche come benessere, mentale, relazionale ed emozionale, degli esseri umani come delle altre specie viventi su questo pianeta e dell’ambiente. È illusorio pensare che la salute si possa garantire individualmente con assicurazioni integrative, perché anche se è bene individuale, la salute degli altri è un determinante della nostra salute. Quest’anno festeggiamo il centenario della nascita di un eroe civile quale Franco Basaglia, che invocò un nuovo umanesimo, a partire dalla restituzione di un’umanità ai malati mentali. Purtroppo in questa regione stiamo assistendo alla demolizione della sua eredità proprio ad opera dell’attuale Assessorato alla salute.
Si deve resistere al risucchio semplicistico degli slogan populisti dei demagoghi e all’uso politico della Storia, che attraverso post-verità e narrazioni deformanti annebbia le nostre coscienze. Esempi emblematici sono le censure in RAI, ma anche la Giornata del Ricordo, che viene celebrato nel giorno della firma del trattato di pace di Parigi del 1947, che quindi implicitamente strumentalizza l’esodo istriano-dalmata per rivendicare l’imperialismo fascista sui territori oggi sloveni, capovolgendo i ruoli nelle azioni di pulizia etnica perpetrate durante il fascismo in quei territori. Altri esempi sono i tentativi di rivalutazione di fascisti e neo-fascisti, celebrando ricorrenze e intitolando premi a figure discutibili, come ha fatto recentemente la Regione FVG, con ben 30mila euro, e soprattutto la rilettura della lotta di Liberazione, come guerra civile ponendo condizioni sempre più difficili all’ANPI per promuovere la storia più nobile del nostro paese nelle scuole.
Si deve resistere, e difendere l’art. 4 relativo al diritto al lavoro, che invece ormai vede la morte sul lavoro non avvenire più in casi singoli ma addirittura a gruppi come nel disastro ferroviario di Brandizzo, o quello nel cantiere Esselunga a Firenze o quello nella centrale idroelettrica di Suviana. Piuttosto che Repubblica fondata sul lavoro, il nostro paese sembra una repubblica fondata sulla morte dei lavoratori, sul lavoro sfruttato delle esternalizzazioni, dei subappalti e del caporalato. A lungo ci siamo battuti contro l’esternalizzazione del ruolo dei Guardiadighe presso le grandi derivazioni idroelettriche pordenonesi gestite da Edison, ma inutilmente.
Si deve resistere alla criminalizzazione del dissenso oggi utilizzata da chi è al potere e che sempre più frequentemente si traduce in violenza fisica, come quella delle forze dell’ordine a Firenze e Roma nei confronti delle proteste studentesche, oppure psicologica come quella del sindaco di Pordenone con le minacce di cause di risarcimento milionarie ai cittadini che vogliono contrastare la sciagurata scelta di abbattere i tigli dell’ex-fiera, o come quelle di grandi gruppi industriali ad altri cittadini che hanno fatto una petizione contro l’uso privato dei beni comuni come l’acqua e l’aria delle nostre lagune. Dobbiamo difendere gli Artt. 17, 18, 21 della nostra Costituzione ovvero sulle libertà di riunione, associazione ed espressione
Si deve resistere alla dilagante mentalità dell’opportunismo egoista e prepotente, meschino ma servile, forte con i deboli e debole con i forti, che si manifesta nella maschilistica sopraffazione dell’altro, e soprattutto dell’altra, e che si incarna negli uomini cosiddetti di successo, che “scendono” in politica con slogan demagogici e populisti, che ragionano solamente in termini di valore di scambio, di possesso e di utili finanziari, giustificando così qualsiasi disumanità nel lavoro. Provo ancora forte la vergogna per quel tributo servile a Berlusconi che tutto il paese, a parte alcuni di noi, hanno voluto tributare alla sua morte presentandolo come modello, come fece Fedriga in Consiglio Regionale, indifferente al fatto che fosse stato condannato per frode fiscale.
Si deve resistere alla logica della guerra, nella quale stiamo scivolando malgrado l’Art. 11 della nostra Costituzione, e alle seduzioni dell’industria bellica, anche se creano posti di lavoro e utili vertiginosi, e dobbiamo rifiutare i discorsi che parlano dell’inaccettabilità di una pace ingiusta e così giustificano una guerra giusta. Questo rifiuto deve essere ancora più esplicito e fermo proprio qui ad Aviano base di F-16 ed F-35, il costo di uno solo dei quali darebbe cure mediche per interi ospedali nella maggior parte dei paesi del mondo. Come sosteneva Simone Weil, la guerra è solamente la celebrazione della forza, di quella violenza che trasforma vinti e vincitori in cose.
Si deve resistere ad un governo di estrema destra che oggi ci governa e violerà il principio di uguaglianza, sancito dall’Articolo 3 della Costituzione, il dovere di Solidarietà sancito dall’Art.2, nonché l’unità della Repubblica sancita dall’Art. 5, se passeranno le sue leggi fasciste di Autonomia Differenziata che assicureranno solamente i LEP (livelli essenziali di prestazione) come base comune, permettendo la secessione dei ricchi che potranno invece godere di maggiori servizi. Queste norme riconfigureranno l’Italia in un collage di territori privilegiati o svantaggiati per legge. Ci si deve opporre a chi vuole cambiare la Costituzione introducendo il premierato, spezzando quel sistema delicatissimo di pesi e contrappesi che concreta quella separazione dei poteri, che sin dalla Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen del 1789 costituisce il principio della democrazia.
Voglio infine ricordare la vigliacca irrazionalità di questo paese che ha varato il DL 30 aprile 2022, n. 36 che istituisce all’Art. 43 un Fondo per il ristoro dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità per la lesione di diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945. Ma, al tempo stesso, attraverso, l’Avvocatura dello Stato ne ha sollevato l’incostituzionalità allungando di un ulteriore capitolo l’annosa saga dei risarcimenti per i crimini nazisti, sorta in anni recenti, molto dopo la scarsa persecuzione penale postbellica, frenata prevalentemente da motivazioni politiche. È una vicenda sviluppatasi parallelamente alla persecuzione penale conseguente alla scoperta dell’armadio della vergogna, terminata nel 2013 e seguita dalla mancata consegna dei condannati da parte della Germania.
Voglio infine concludere questa orazione citando un altro partigiano del Friuli Occidentale, che ho spesso ricordato nelle commemorazioni ufficiali a Udine: Luciano Pradolin “Goffredo”. Comandante del battaglione “Meduna” della Osoppo. Protagonista della battaglia sul Rest a difesa della Repubblica della Carnia, fu catturato a Maniago nel gennaio 1945 e portato nel carcere di Udine dove, dopo un processo sommario l’11 febbraio 1945 venne fucilato a 24 anni, insieme ad altri 23 prigionieri, molti dei quali di Tramonti, lungo il muro del cimitero di Udine, come rappresaglia per l’assalto al carcere di Via Spalato a Udine avvenuto il 7 febbraio 1945, che aveva portato alla liberazione di 73 detenuti, tra partigiani e prigionieri politici da parte di “Romano il Mancino” Glindo Citossi, comandante del gruppo dei GAP dei Diavoli Rossi. Pradolin scrisse varie lettere alla famiglia dal carcere, una di queste alla sorella Rina, che compare anche nella famosa raccolta dell’Einaudi “Lettere dei condannati a morte della resistenza” e riporta alcuni versi della poesia di Leopardi “Nelle nozze della Sorella Paolina”, tratta dai Canti. Ebbene, al di là del fatto che l’edizione contiene alcuni errori che invece non sono presenti nell’originale della lettera, penso che tale straordinario documento andrebbe letto e discusso nelle scuole perché offre a mio avviso un’interpretazione nuova, ma autentica, di tale poesia. Nobilita la poesia stessa ma mostra anche come il fascismo e il neofascismo, come riconosciuto da Gobetti e da Flaiano, è un rischio secolare sempre in agguato nella mentalità di tanti cittadini di questo paese.
O miseri o codardi
Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso
Tra fortuna e valor dissidio pose
Il corrotto costume. Ahi troppo tardi,
E nella sera dell’umane cose,
Acquista oggi chi nasce il moto e il senso.
Al ciel ne caglia: a te nel petto sieda
Questa sovr’ogni cura,
Che di fortuna amici
Non crescano i tuoi figli, e non di vile
Timor gioco o di speme: onde felici
Sarete detti nell’età futura:
Poiché (nefando stile,
Di schiatta ignava e finta)
Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta.
La Festa della Liberazione è la ricorrenza più significativa per ogni cittadina e cittadino che sente il bisogno di riaffermare i valori antifascisti di libertà, democrazia, solidarietà, che sono tanto facili da perdere ma così difficili da riconquistare!
Viva la Resistenza, Viva la Repubblica Italiana e la sua Costituzione, che da questa sono nate e vivano i 63 partigiani del monumento alla Resistenza di Piancavallo, che oggi abbiamo celebrato insieme!