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Sentenza su caso Cappato: nuovo precedente ma permane vuoto legislativo

La notizia di ieri relativa alla sentenza sul caso di Marco Cappato è molto positiva poiché dimostra come i concetti quali il rispetto della persona, delle sue volontà e della cd. autodeterminazione, che furono in precedenza evidenziati nella vicenda di Eluana Englaro, sono ancora condivisi.

Il concetto fondamentale dell’autodeterminazione è un concetto ampio, che riguarda la dignità della persona ed è un valore civile molto importante: a distanza di dieci anni dalla vicenda di Eluana abbiamo un altro momento moralizzatore per la nostra società, rappresentato dall’affermazione della non perseguibilità del suicidio assistito e del diritto all’autodeterminazione di una persona che conduce una vita che non ritiene più completa, solo parziale.

Per me è un grande risultato di civiltà che accomuna il nostro paese ad altri ma purtroppo, ad oggi, permane un vuoto normativo, che deve essere al più presto colmato con la predisposizione di una normativa chiara in questo senso: è grave che il Parlamento, su temi così generali che riguardano tutta la popolazione, scelga di non decidere delegando giudici. È un Parlamento che manca della sua funzione primaria di legiferare: in questo senso è una sconfitta per il nostro sistema democratico.

Speriamo che questo nuovo precedente, stabilito dalla Corte Costituzionale, possa rappresentare una pietra miliare, portando in maniera rapida alla realizzazione ed approvazione di una Legge su questo tema.

Eluana 10 anni dopo: ricordare la testimonianza, rilanciare il messaggio

È sempre un privilegio ascoltare un intervento di quell’autentico “eroe civile” che è Beppino Englaro: il suo impegno seppe trasformare quello che era un diritto solamente cartaceo contenuto nell’articolo 32 della nostra Costituzione in un diritto esigibile anche da chi non è cosciente.

10 anni fa Udine rese ciò possibile garantendo ad un padre e ad una figlia il diritto alla giustizia. Il diritto a vedere eseguita la sentenza che li riguardava. Udine seppe essere così coerente alla propria tradizione di terra che sa difendere i diritti civili e umani, tradizione che affonda le radici nella lotta di Liberazione e la Resistenza.

Ma quell’evento moralizzatore ci diede ancora coraggio per garantire negli anni successivi a Udine i diritti degli LGBT e anche quelli dei migranti.

Nel Convegno a Montecitorio si è trattato di tanti altri temi bioetici, che il progresso della medicina rende urgenti. Il nostro impegno deve essere rivolto a garantire dignità e voce a tutti nel finevita.

Honsell: dopo il caso Englaro la battaglia sul fine vita resta aperta

Si pubblica l’articolo tratto dal Messaggero Veneto a cura di Giacomina Pellizzari.

«A dieci anni dalla morte di Eluana Englaro dobbiamo combattere la battaglia per l’autodeterminazione. Non è possibile che Marco Cappato venga condannato per la morte di dj Fabo». Oggi Furio Honsell è un consigliere regionale d’opposizione, ma nel 2009 quando Eluana morì a Udine, era il sindaco della città. Senza la sua determinazione e il parere favorevole del Cda della Quiete, la donna in stato vegetativo da 17 anni non sarebbe mai arrivata «nella città dei diritti» bollata, in quei giorni, da chi contestava il testamento biologico, come «città della morte». Oggi come allora Honsell si batte per completare i passaggi previsti dalla legge sul fine vita. Lo stesso sta facendo l’associazione Luca Coscioni invitando i politici a correggere l’emendamento presentato dal M5s al decreto Semplificazioni secondo il quale le Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) «dovrebbero essere consegnate nel Comune di nascita e non più in quello di residenza, impedendo così a tutte le persone che nel corso della vita hanno cambiato residenza di depositare le proprie disposizioni anticipate di trattamento».

Honsell, assieme all’anestesista Amato De Monte e all’infermiera Cinzia Gori che accompagnarono Eluana nel suo ultimo viaggio, venerdì sarà all’università di Milano, per raccontare quei giorni al convegno organizzato dalla Consulta di bioetica e dal centro studi Politeia per aprire “Il mese dell’autodeterminazione”. È giunto il tempo per riflettere sulla centralità dell’autonomia nelle situazioni di fine vita e di approfondire i temi del suicidio assistito e dell’eutanasia.

«Il primissimo a parlarmi della vicenda Englaro – ricorda Honsell – è stato Renzulli dopo essersi reso conto che non era più possibile trasferire alla Casa di cura “Città di Udine” la donna in stato vegetativo da 17 anni». L’incontro con Beppino Englaro e la lettura della sentenza della Corte d’Appello convinsero il sindaco a garantire protezione politica all’operazione. «Spinsi moltissimo con la presidente della Quiete, Ines Domenicali, il suo vice Stefano Gasparin e il consiglio di amministrazione dell’azienda – racconta – perché venisse rimosso il sondino a Eluana». Non fu facile superare tutti i cavilli burocratici a iniziare dall’obbligo di seguire la lista di attesa per accogliere la nuova paziente. «Furono superati – continua Honsell – perché c’era una forte volontà politica che era la mia». In quella corsa a ostacoli presero parte anche i carabinieri dei Nas «che cercavano di sollevare eccezioni per bloccare tutto. Ero terrorizzato che uno di loro inciampasse nel tappeto per dire “la struttura non è a norma”». E quando l’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, voleva far approvare il decreto che dichiarava illegittimo il percorso, Honsell non esitò a chiamare il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. «”Presidente – gli dissi – guardi che stiamo seguendo il protocollo, è un modo per garantire giustizia a un padre e a una figlia”. Napolitano mi tranquillizzò: “Non si preoccupi, non firmerò quel decreto”».Honsell sa bene di non aver influito sulla decisione del Capo dello Stato, «ma il fatto che Napolitano ricevesse dal sindaco di Udine la certezza che era tutto a posto fu un motivo in più per non firmare». Tutte le mattine il sindaco incoraggiava la presidente e il direttore de La Quiete, Domenicali e Cattivello, ad andare avanti.

«Sotto il profilo etico non mi ero mai occupato della problematica, la mia fu una risposta umana a Beppino e sua figlia. Fu la sentenza a convincermi che stavo garantendo il diritto alla giustizia a Englaro. Un padre che aveva a suo favore l’autorizzazione a procedere ispirato direttamente dalla Costituzione che diceva: “Questa non è eutanasia”». Dalla sua Honsell sapeva di avere i valori della città medaglia d’oro alla Resistenza e il percorso seguito da Loris Fortuna per far approvare la legge sul divorzio. «Udine è sempre stata la città dei diritti, ma quello fu un momento politico difficile segnato dalle contestazioni. Tant’è che persi l’appoggio dei Cittadini e l’assessore Barillari uscì dalla maggioranza».

Honsell: Udine città di civiltà nel solco di Fortuna

Pubblichiamo l’articolo di oggi del Messaggero Veneto (p. 25), a cura di Cristian Rigo.

L’ex sindaco replica alle accuse del candidato Fontanini «Orgoglioso di aver aiutato Englaro, fu battaglia di giustizia».

Udine esempio di civiltà. Altro che città della morte. L’ex sindaco di Udine, Furio Honsell, protagonista della complessa vicenda umana, prima ancora che giuridica, che portò Eluana Englaro a compiere il suo ultimo viaggio alla Quiete, rivendica con orgoglio le scelte fatte nel 2009. «Tra le cose di cui sono più orgoglioso c’è la telefonata fatta al presidente della Repubblica Napolitano per spiegargli che tutto era stato fatto nel modo giusto. Il tema – spiega – è quello della dignità umana. Abbiamo dato risposta a un padre che chiedeva giustizia per la figlia perché non dimentichiamoci che c’erano delle sentenze della Corte di cassazione e della Corte d’appello che parlavano chiaro e si rifaceva a quanto stabilito dalla Costituzione agli articoli 32 sul diritto a rinunciare alle cure e 2-3 sul diritto alla dignità dell’essere umano. Se qualcuno, a distanza di quasi dieci anni ancora non lo capisce o, peggio, strumentalizza quanto accaduto dimostra di non avere quella sensibilità umana che invece la città di Udine tutta può con orgoglio rivendicare». Ecco perché, secondo Honsell, Udine non è stata affatto percepita come «la città dove si viene a morire». Per Fontanini invece si è trattato di «un messaggio non tollerabile» per chi vuole una città popolata da famiglie che abbiano fiducia nel futuro. «Sono affermazioni incredibili perché – sostiene il professore che ha lasciato palazzo D’Aronco per candidarsi in Regione con Open Sinistra Fvg – denigrano la città per la quale Fontanini si è candidato a sindaco. Udine in quella circostanza ha rinnovato la tradizione che la vede da sempre protagonista nelle conquiste dei diritti civili basta pensare a Loris Fortuna, (il “padre del divorzio”, principale protagonista di un impegno inizialmente affrontato anche con alcune diffidenze del suo partito che dopo otto anni di lotte ha portato allo storico referendum del 12 e 13 maggio 1974, ndr). E non è stato l’unico caso, visto che Udine è stato uno dei primi Comuni a introdurre il testamento biologico grazie alla convenzione con il collegio dei notai. E io ho sottoscritto anche uno dei primi matrimoni gay (quello tra Adele Palmeri e Ingrid Owens, ndr) per il quale abbiamo dovuto “lottare” con la Prefettura. Contestare queste battaglie significa calpestare la storia della città che è sempre stata in prima linea per i diritti civili e non a caso è medaglia d’oro della Resistenza». L’ex sindaco di Udine poi critica anche le considerazioni di Bertossi che ha definito le «penose e inopportune le strumentalizzazioni ideologiche di Honsell». «Ognuno è libero di esprimere il proprio pensiero, ma ci vuole rispetto – conclude – e ritengo che sia Fontanini sia Bertossi non dovrebbero offendere chi li ha preceduti nella carica per la quale sono candidati».