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Relazione Honsell su DDL 125 “Politiche integrate di sicurezza e ordinamento della polizia locale”

Perché il titolo di questo DDL non è <<Modifiche alla L.R. 29 aprile 2009, N. 9 recante “Disposizioni in materia di politiche di sicurezza e ordinamento della polizia locale”>> quando di questo trattano buona parte degli articoli come mi è stato fatto notare, sarcasticamente, dall’assessore in Commissione? È forse per dare maggiore enfasi a questo provvedimento, che ha un significato strategico nella politica propagandistica di questa maggioranza, mentre il parlare di mera “modifica” non avrebbe dato sufficiente visibilità sui social networks? O forse questo DDL, nel modificare tale legge, sottende invece un più sottile cambiamento nel paradigma della polizia locale, il cui controllo viene centralizzato in Regione a scapito dell’autonomia dei Comuni, come si evince da svariati articoli quali 6, 11, 15 e 16. Quanto sarebbe ironico tutto ciò nei confronti di quei Comuni che all’epoca delle UTI rifiutarono il coordinamento sovracomunale delle polizie locali, proprio perché si sarebbe indebolita la figura del “vigile di quartiere”, che adesso con l’Art. 6 viene addirittura azzerata! Probabilmente valgono entrambe queste interpretazioni nella scelta del titolo.

Certamente in questo DDL c’è la volontà di rileggere tutti i fenomeni sociali che stiamo vivendo esclusivamente sub specie di “controllo e sicurezza”. Con azioni negative e non con azioni positive. Ciò si concreta nell’irrobustimento degli articoli sugli addetti alla sicurezza sussidiaria quali gli steward (Art. 8), a cui si vanno ad affiancare una pletora di altre figure della cosiddetta sicurezza partecipata: i volontari per la sicurezza (Art.10), i gruppi di vicinato e i gruppi di cittadinanza attiva comunque denominati (Art. 11). (Riguardo a questi ultimi non posso esimermi dal sottolineare che la quasi cinquantenaria associazione Cittadinanzattiva, che “promuove l’attivismo dei cittadini per la tutela dei diritti, la cura dei beni comuni, il sostegno alle persone in condizioni di debolezza” certamente non si riconoscerebbe in tale articolo. Tale dicitura è un autentico caso di domain-grabbing, si direbbe in gergo internet.)

Questa forte regimentazione della comunità in chiave di sicurezza è, a nostro avviso, molto preoccupante. Più volte in commissione l’Assessore ha portato l’esempio di gruppi FB sorti spontaneamente con lo scopo della sorveglianza e controllo del vicinato. Ronde di quartiere e altri gruppi nostalgici di un para-militarismo che speravamo superato, saranno certamente ancora più legittimati dall’Art. 11 del DDL a dare libero sfogo alla loro vocazione repressiva nei confronti dei propri vicini. Non v’è dubbio che il loro occhio vigile colpirà subito i concittadini con abitudini dissimili dalle loro, creando un clima di paura e diffidenza verso i “diversi” o verso chi non voglia omologarsi ad una logica autoritaria. Quanto renda ancora più pericolosa questa deriva è che il Sindaco sia completamente escluso dal processo di riconoscimento di questi gruppi. L’Art. 11 è secco, e recita così: “La Regione riconosce …come strumenti …dell’attività di prevenzione”. Ci sarà dunque un albo regionale delle associazioni di controllo e repressione del vicinato? Non ho ricevuto risposta. Auguri, Sindaci!

Inoltre gli Artt. 3 e 4 che istituiscono l’Osservatorio sulla Sicurezza nonché quelli successivi che definiscono i principi della sicurezza integrata ai sensi del D.L. 14/2017 e gli obiettivi generali del programma annuale della sicurezza delineano una concezione dello spirito di comunità, che rifiutiamo nel modo più netto. Il senso di comunità non si costruisce sulla diffidenza e il sospetto, su azioni negative, che sono alla base di tutte queste iniziative, bensì su azioni positive di solidarietà nel riconoscere chi è diverso da noi come vicino a noi. Clamorosi nel rappresentare questa visione mi sembrano alcuni commi dell’Art. 3 che definiscono i temi di cui si occupa l’osservatorio. Il comma 2 lettera b) recita così “valutazione e rilevazione dei fenomeni di devianza, di emarginazione e di bullismo”. Ma come, mescola vittime e carnefici? Ma il problema dell’emarginazione è un problema sociale che va combattuto abbattendo le disparità, non è un problema di sicurezza! Altrettanto preoccupante è il comma 2 lettera e) che concerne il “monitoraggio del problema dell’immigrazione clandestina”. Ma tra tutti i problemi di illegalità che affliggono la nostra società che a nostro avviso sono in primo luogo l’infiltrazione mafiosa, il lavoro nero e l’evasione fiscale, si vuole mettere l’accento proprio su un fenomeno che ben sappiamo come marginale e legato alla problematica delle migrazioni e dei richiedenti asilo, che sono comunque riconosciuti dalla nostra Costituzione? E per giunta, si utilizza lo stesso lessico che è risuonato in quest’aula ai primi di agosto dalla bocca di quei facinorosi che, avendo sfondato i controlli degli ausiliari alla sicurezza del Consiglio, si proponevano con megafono e proclami come i nuovi paladini della sicurezza? Almeno per questione di rispetto istituzionale tale locuzione non andava usata nel testo di legge!

Circa l’osservatorio non posso non rilevare come l’ampia argomentazione contra speculas, che fu svolta dalla Giunta quando la proposi nella PDL per il contrasto ai fenomeni di solitudine, non sia stata applicata in questo caso e non siano stati nemmeno chiariti i costi le modalità di gestione delle figure di cui ci si intenda avvalere.

Un’ultima considerazione generale, in Commissione si è spesso parlato di “percezione di insicurezza”. A parte che dal VI secolo a.C. si diffida dalla “percezione” se questa non corrisponda alla “verità”, ma se dunque di verità si tratta allora questa Giunta ha forse fallito nell’assicurare quella sicurezza che fu il suo cavallo di battaglia elettorale? E se si fosse voluto affrontare proprio il “pregiudizio” di insicurezza, altre sarebbero state le misure da introdurre, volte a costituire una comunità più coesa, più aperta e fiduciosa. Non vi è dubbio infatti che questa propaganda sulla sicurezza martellante, amplifica proprio una percezione falsa, seminando paura e diffidenza. Amaramente si deve riconoscere che questo DDL lungi dal rasserenare il clima nelle nostre comunità, ponendo in risalto le iniziative autogestite di volontari per la sicurezza, di fatto alimenta la paura a tutto vantaggio di quei suoi imprenditori che avvelenano la nostra quotidianità.

Per tutti questi motivi in Commissione abbiamo votato contro questo DDL.

Non abbiamo ritenuto nemmeno corretto che non ci sia stata una trattazione ordinaria del DDL ovvero che non sia stata pianificata una pausa tra l’illustrazione del provvedimento legislativo e l’espressione del parere. A nostro avviso dovrebbe essere assicurato di prassi uno spazio per le audizioni. Le audizioni servono ai legislatori per comprendere le motivazioni dei portatori di interesse, anche quando magari possono aver già espresso un parere positivo. L’osservazione più volte ribadita dall’Assessore che il CAL si era già espresso positivamente non ha nessun rilievo, infatti, sull’eventuale audizione del presidente del CAL stesso. Le audizioni sono momenti di approfondimento per i legislatori attraverso il dialogo. Ribadiamo quindi con forza che si possa al più presto ritornare ad una procedura ordinaria nella trattazione dei provvedimenti legislativi.

Con il consueto spirito costruttivo cercheremo di offrire dei contributi.

Il primo è volto a chiarire cosa si dovrebbe intendere a nostro avviso per sicurezza integrata. Il nodo è l’Art.6. La sicurezza è integrata se gli interventi definiti nel programma si coordinano e si integrano con le politiche regionali in materia di prevenzione, contrasto e riduzione delle cause del disagio e dell’emarginazione sociale, riqualificazione urbana e del territorio, vigilanza urbanistica e del demanio, protezione civile e tutela dell’ambiente nonché prevenzione dei disastri naturali e incendi, formazione professionale, e politiche attive del lavoro e rapporto con gli enti locali. Così hanno interpretato il D.L. 14/2017 altre regioni alle quali avremmo dovuto ispirarci. Sicurezza integrata significa infatti sviluppare progetti integrati a cominciare dalle direzioni regionali, gli enti locali e gli altri enti pubblici. Non si integra invece irreggimentando sotto l’egida della polizia locale ogni sorta di gruppo o gruppuscolo che se ne autonomini custode.

Proprio il tema della programmazione e dei regolamenti ci conduce ad un’altra questione che deve essere sistematicamente ribadita in Consiglio a suon di emendamenti di questi tempi. La Giunta non può richiedere deleghe in bianco. Regolamenti e programmi vanno emanati sentita la Commissione competente. E questo il caso degli Artt. 15 e 16. Addirittura all’Art. 31, tale passaggio previsto nell’Art. 25 della vecchia L.R. 9/2009 è stato abolito. Con lo stesso spirito ogni programma, e in primis quelli dell’Art. 6, andrebbe rendicontato rispetto ad indicatori di risultato reali e non “percepiti”.

Intendiamo proporre emendamenti abrogativi e la riformulazione di altri articoli cercando di far emergere il significato di “integrazione” sopra delineato. In particolare intendiamo puntare sulla mediazione sociale come strumento per il superamento dei conflitti e su programmi che prevedano azioni positive di carattere sociale e non meramente negative. Introdurremo anche precise garanzie che dovranno soddisfare tutti coloro che verranno reclutati nelle varie forme di sicurezza partecipata. Il tema della sicurezza sui social network e dei social come veicolo di odio sembra piuttosto sottovalutato. Cercheremo di provvedere.  Analogamente proporremo di reintrodurre esplicitamente i riferimenti alla privacy nella costruzione della banca dati delle telecamere.

Infine rileviamo come molte siano le situazioni nelle quali il controllo della polizia locale sembra indebolirsi e sfuggire ai sindaci, intendiamo restituire forza a tale controllo.

In conclusione confermiamo la valutazione molto negativa su questa norma già espressa in Commissione.

Il testo del Disegno di Legge 125 fuoriuscito dalla Commissione

Contrasto alla solitudine: nuovo testo base in esame in III Commissione

Oggi in terza commissione è stato presentato il nuovo testo di legge sul tema della Solitudine, frutto del lavoro svolto in Commissione Ristretta per individuare una  fusione tra la legge da me proposta, ancora nell’agosto del 2018 e il testo proposto dalla Giunta alcuni mesi fa. La mia proposta era frutto di un lavoro intenso e appassionato svolto con il concorso di psicologi ed esponenti del mondo delle associazioni, della scuola e del Terzo Settore. Mi sono confrontato diverse volte con l’Assessore Riccardi in questi mesi e sono lieto che siano stati recepiti gli aspetti di principio più qualificanti della mia proposta originaria. L’attuale intervento legislativo pur essendo più limitato ha però comunque il pregio di accendere l’attenzione su un tema troppo a lungo dimenticato. Pertanto intendiamo sostenere questo testo.” Ha dichiarato il Consigliere regionale di Open – Sinistra FVG Furio Honsell.
“Naturalmente non intendiamo giocare un ruolo passivo nelle prossime votazioni, ma riproporremo alcuni dei punti della nostra proposta non ancora recepiti – a partire dalle modifiche ipotizzate a seguito della drammatica esperienza della quarantena. Ma affinché questa legge possa essere davvero efficace e incidere sulle gravi dinamiche di solitudine che stanno emergendo nelle nostre comunità è necessario che nelle prossime leggi finanziarie vengano investite risorse importanti su questa legge. Solamente così tutti i soggetti coinvolti, enti locali, scuole, università, centri di ricerca ed enti di volontariato, potranno operare per contrastare la solitudine e l’emarginazione.”

Disegno di legge “enti locali”: affossa il sistema e non lo migliora

Per Furio Honsell il disegno di legge sugli Enti Locali “è una legge che ha solo l’ambizione di essere una riforma degli enti locali in Friuli Venezia Giulia, ma nella realtà si esaurisce nell’affossare il sistema precedente invece di migliorarlo. La sua “pars costruens” è infatti miserevole e medievale, ispirata al principio del “ogni contado si arrocchi intorno al proprio castello”.

Il Consigliere di Open Sinistra Fvg critica innanzitutto la decisione di questa maggioranza di adottare la formula della proposta di legge di iniziativa giuntale: “una proposta di legge consiliare sarebbe stata molto più appropriata, soprattutto alla luce del fatto che sono decine i membri di questo Consiglio che hanno avuto esperienze significative e prolungate di Sindaco, mentre nella Giunta, uno solo forse ha avuto
tale esperienza”.

Aggiunge inoltre che questa metodologia “comprime notevolmente i tempi del dibattito, senza permettere un dialogo compiuto nelle audizioni”. Dialogo che ancora una volta secondo Honsell non si è compiuto neppure in aula: “questa maggioranza dimostra per l’ennesima volta la sua arroganza istituzionale. Non solo non vengono prese in considerazione le opinioni delle opposizioni ma non sono stati colti neppure alcuni degli spunti presentati dai Sindaci del nostro territorio nelle audizioni! Per correttezza istituzionale e rispetto del ruolo che ricopro – continua l’esponente di Open Sinistra Fvg – ho presentato numerosi emendamenti pur sapendo che non sarebbero stati accolti e infatti così è stato”.

“Ma l’aspetto più pericoloso di questo disegno di legge – conclude Honsell – è che non disegna un futuro dignitoso per i territori e per gli enti locali stessi che ne sono i soggetti esponenziali. Sembra quasi che il legislatore voglia costringere gli Enti locali ad una situazione di nanismo istituzionale. Ha forse in mente di rendere quindi inevitabile la reintroduzione di un organismo di controllo regionale sovracomunale più forte così da renderli di nuovo sudditi e vassalli come ai tempi del Patriarcato? Questa legge pone le basi per meccanismi che sono l’antitesi della multilevel governance che invece in tutta Europa sta irrobustendo il ruolo di Comuni e delle loro aggregazioni”.

Relazione Honsell su Ddl 71 “Enti Locali”

Questo disegno di legge avrebbe l’ambizione di essere una riforma degli Enti locali in FVG, ma si esaurisce nella pars destruens, che affossa il sistema precedente invece di migliorarlo, dimostrando così di non coglierne gli aspetti positivi. La sua pars costruens è infatti miserevole, la definirei medievale, perché ispirata al principio del ogni contado si arrocchi intorno al proprio castello!

Questo DDL è così infelice anche perché frutto di quella modalità legislativa caratteristica di questa Maggioranza che, anche su un tema così importante, utilizza la formula affrettata e affannosa del Disegno di Legge di iniziativa giuntale, da approvarsi a tappe forzate, invece di una più meditata Proposta di Legge di iniziativa consiliare. Ciò ha obbligato la Commissione a comprimere i tempi del dibattito, senza permettere un dialogo compiuto nelle audizioni. Una Proposta di Legge consiliare sarebbe stata molto più appropriata, soprattutto alla luce del fatto che sono decine i membri di questo Consiglio che hanno avuto esperienze significative e prolungate di Sindaco, mentre nella Giunta, uno solo forse ha avuto tale esperienza.

L’Assessore, nel presentare con orgoglio questo disegno di Legge, che ritiene un momento qualificante del suo mandato, ha dichiarato di aver raccolto l’opinione di molti rappresentanti degli enti locali oggi in carica. Così però denuncia proprio il principale difetto del DDL che è l’essere assolutamente impressionistico nell’impianto e umorale, espressione dei pregiudizi cavalcati dall’attuale maggioranza in campagna elettorale e maturati nell’azione di sabotaggio della riforma precedente.

L’Assessore ci invitò invero, a fare delle osservazioni su questo DDL già un mese fa circa, ma al riguardo vorrei citare il famoso commento del grande fisico tedesco Wolfgang Pauli, uno dei padri della Teoria dei Quanti, che di fronte ad un articolo scientifico che gli era stato presentato da un giovane ambizioso collega disse “Das ist nicht nur nicht richtig; es ist nicht einmal falsch!“. Ovvero, come oggi è diventato proverbiale dire in inglese per caratterizzare tanti esempi di pseudoscienza, “That isn’t only not right; it’s not even wrong!“, ovvero in italiano “Non solamente non è corretto, ma fosse almeno sbagliato!”. E voglio, con questa legge, inaugurare l’applicazione di tale commento anche fuori dall’ambito delle scienze fisiche, per proporlo in quello probabilmente più difficile ancora, delle scienze politiche!

Cercherò di spiegare ora un giudizio così severo che mi obbligherà a votare contro questo DDL, come Open-Sinistra FVG, anche se per senso del dovere istituzionale non mi sottrarrò al compito di offrire degli emendamenti e degli ordini del giorno.

La Legge regionale 26/2014 che questo DDL affossa, e ancor di più la Legge regionale 18/2015 che su di essa si appoggiava, avevano cercato di superare la principale criticità del nostro territorio ovvero la sua incapacità secolare di fare sistema, da cui deriva l’esagerata frammentazione degli Enti locali. La Scozia vanta una quarantina di enti locali a fronte di 5 milioni e mezzo di abitanti. Il Friuli Venezia Giulia ne vanta oltre duecento per poco più di 1 milione di abitanti! L’assetto delle Unioni territoriali intercomunali (UTI), soprattutto attraverso il principio della concertazione, obbligava i Comuni, per la prima volta dalla caduta del Patriarcato, a ragionare e a progettare in termini di area un po’ più vasta – più ampia di quanto si riesce ad intravedere dal proprio campanile! Permetteva infatti una pianificazione, prima elaborata all’interno delle UTI, e poi sviluppata secondo una procedura molto innovativa di multilevel governance in un confronto programmatico con la Regione. La fragilità del nostro territorio regionale, che si è rivelata in tutta la sua profondità proprio nel fronteggiare la crisi del 2008, crisi assolutamente non ancora superata, deriva proprio dal fatto che ognuno degli oltre 210 comuni si vuole organizzare invece come una piccola metropoli, dotata quindi in modo autonomo di tutti i servizi e di tutte le infrastrutture viabilistiche, industriali, commerciali e artigianali. Ebbene tutte queste duplicazioni non solo non sono più sostenibili finanziariamente, ma soprattutto non lo sono dal punto di vista ambientale e funzionale. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: una moltitudine di capannoni abbandonati e di centri commerciali scarsamente frequentati. Queste duplicazioni hanno condotto ad un bisogno disperato di personale qualificato spesso introvabile o impiegato a scavalco. Il progetto delle UTI, che era certamente da correggere, aveva invece proprio lo scopo di far giocare tutti in squadra mettendo a comune servizi migliori, senza doppioni e pianificando insieme un futuro sostenibile.

Tutte queste opportunità, grazie a questa ottima legge, oggi scompaiono. Ovviamente la follia iconoclasta della Giunta si è almeno arrestata di fronte alla soppressione delle UTI in area montana, che sono state trasformate in Comunità di montagna e nell’area collinare, trasformata in Comunità collinare. Il nuovo ente introdotto però, la Comunità, non ha invece nulla del buono che avevano le UTI, ovvero un dettagliato percorso di messa a comune di servizi e funzioni, un ruolo nella concertazione multilivello, uno spirito di co-progettazione, ma ne mantiene la pesantezza burocratica, anzi la peggiora. La Comunità è un nuovo ente locale, che necessita di nuovi statuti e di una complessa fase di avvio, senza essere accompagnato da nessuna forma di incentivazione finanziaria. Ma in cosa dunque è meglio una Comunità di una banale convenzione tra Comuni? Una convenzione costerebbe di meno, sarebbe più agile da aggiustare e permetterebbe di andare subito al dunque della problematica contingente che si vuole risolvere. Valuteremo tra 3 anni quante Comunità saranno sorte!

L’impianto di questa Legge fa risalire la volontà di costituire un coordinamento sovracomunale di funzioni e servizi al mero opportunismo contingente, perdendo di vista il vero motivo di ragionare insieme che è il condividere progetti di sviluppo integrato e pianificazione di area vasta. La visione proposta è figlia di una concezione degli enti locali superata e sterile. Durante le audizioni abbiamo assistito ad un Sindaco che ha chiesto all’Assessore di non sopprimere le UTI che coinvolgevano i comuni capoluogo, come questa Legge poco avvedutamente propone all’art. 27. La sua proposta non è stata presa in considerazione perché, a detta dell’Assessore, gli attuali Sindaci dei Comuni capoluogo non sono interessati. Considerazione questa, troppo legata ad una contingenza e all’esperienza individuale di tali sindaci, quindi lontanissima dallo spirito che dovrebbe accompagnare un progetto di Legge che deve valere soprattutto per il futuro. L’Assessore che pur a parole si diceva aperto, è stato irremovibile, anzi ha incalzato e sfidato sarcasticamente il Sindaco a dire quale valore avesse quella UTI oltre al doversi occupare dell’edilizia scolastica.  E a fronte alla pronta e ferma risposta del Sindaco che ha ribadito il concetto fondamentale delle UTI ovvero quanto fosse prezioso l’ufficio di pianificazione sovracomunale, gli ha risposto che tanto quello sarebbe rimasto. Ma non gli ha detto che sarebbe andato in mano ad un non meglio disciplinato Ente di decentramento regionale (vedi artt. 28 e 29) e che quindi sarebbe stato tolto dalla disponibilità dei Sindaci.

Questa sedicente riforma si fonda sul desiderio di cancellare ogni traccia delle UTI, fino a sostituire l’aggettivo “montano” con il più rozzo “di montagna”. Fissazione iconoclasta e nominalistica dettata dalla tragica concezione che “legiferare significhi cancellare” invece di costruire su quanto hanno fatto coloro che sono venuti prima. Sistema questo, va detto, certamente ottimo a fini propagandistici e facilissimo da tradurre in annunci.

Ma questa sedicente riforma si fonda anche su una visione atomistica degli attuali Comuni, che proprio a causa di un’autonomia sfrenata oggi sono fragilissimi. Una legge di riordino regionale dovrebbe avere invece anche il coraggio di prendere posizione. La Regione non dovrebbe rinunciare a governare i processi, che altrimenti mette in pratica una forma di qualunquismo istituzionale.

Questa riforma a prima vista rispettosa delle volontà dei Comuni, fino a viziarli nei loro peggiori difetti, non attribuisce però alcuna flessibilità proprio là dove invece sarebbe stato opportuno concederla ovvero nella forma organizzativa e nello statuto di queste nuove strutture – ovvero tutto il TITOLO II. La Regione decide che alcune UTI devono trasformarsi, che altre vanno sciolte, che comunque tutte le Comunità devono avere strutture pesanti e complesse. Tutte devono costare e assegnare compensi: forse ci sono già in mente coloro che dovranno riceverli anche se non eletti?

Questo DDL dimostra poi che il legislatore non ha compreso la problematica dell’edilizia scolastica secondaria. Questa è già per buona parte pienamente nelle mani dei comuni. Soprattutto i Comuni capoluogo, sono da sempre stati coinvolti anche nell’edilizia scolastica secondaria. Introdurre 4, dico 4, nuovi Enti per giunta commissariali, per gestire questa problematica è sproporzionato.  Obbliga a ritornare indietro e costringe i comuni a fare nuovi difficili negoziati e convenzioni con questi nuovi enti. Crea inutili doppioni per una problematica davvero minore, senza peraltro riunire in un unico ente tutte le funzioni di gestione dell’edilizia scolastica secondaria, che oltre alla gestione degli edifici deve anche occuparsi del dimensionamento.

Questo DDL si basa ancora pesantemente sul pregiudizio che i Comuni capoluogo non traggano nessuno beneficio dall’avere un rapporto coordinato con i comuni contermini. Un’analisi più lucida dimostrerebbe invece proprio il contrario.

Ma l’aspetto più pericoloso di questo DDL è che non disegna un futuro dignitoso per i territori e per gli enti locali stessi che ne sono i soggetti esponenziali. Sembra quasi che il legislatore voglia, con un sorriso sulle labbra ma in verità dissimulando la sua pervicacia, costringere gli Enti locali ad una situazione di nanismo istituzionale. Ha forse in mente di rendere quindi inevitabile la reintroduzione di un organismo di controllo regionale sovracomunale più forte così da renderli di nuovo sudditi e vassalli come ai tempi del Patriarcato? Questa legge pone le basi per meccanismi che sono l’antitesi della multilevel governance che invece in tutta Europa sta irrobustendo il ruolo di Comuni e delle loro aggregazioni. La Legge 26 andava in quella direzione, questa riforma ci fa fare retromarcia verso i secoli bui.

In conclusione questo DDL è il DDL dell’UTO-MACHIA che ne relegherà i principi, ancorché certamente da correggere nelle modalità applicative, nella sfera dell’UTO-PIA. Questa legge per parafrasare Hobbes promuove infatti il vecchio principio del Comunitas Comunitate Lupus!

Puoi scaricare qui il testo Disegno di Legge aggiornato.