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Relazione di minoranza Honsell su Proposta di referendum abrogativo statale n. 9

La Legge n. 86 del 26 giugno 2024 dal titolo “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione è una legge pericolosa a causa del modo raffazzonato con cui affronta l’importante questione che a partire dall’articolo 5 dei principi fondamentali della Costituzione (“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”) giunge sino alla riforma del 2001 relativa al Titolo V della stessa.

La norma proposta dal Governo di destra conduce alla violazione dei principi di uguaglianza e di solidarietà che sin dall’Illuminismo hanno contemperato il principio della libertà. Per una pluralità di materie e ambiti cruciali quali, solo per citare i prime quattro ovvero istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, e tutela e sicurezza sul lavoro, la norma prevede di definire degli standard minimi, detti Livelli Essenziali di Prestazioni (LEP), ma (A) ne delega al Governo la determinazione, (B) non definisce con chiarezza nessun meccanismo di ripartizione di qualsiasi tipo di risorsa per assicurarli e renderli esigibili su tutto il territorio nazionale (al di là di un confuso articolo 4, comma 1) e C) spalanca la porta alla possibilità che i livelli di prestazione effettivi possano essere molto diversi tra le regioni al di sopra di tale livello standard, là dove il gettito di uno o più tributi erariali maturati sul territorio regionale possano essere diversi (articolo 5, comma 2), in quanto le modalità di finanziamento saranno la compartecipazione a tale gettito.

Tutti e tre questi punti sono estremamente critici e forieri di conseguenze nefaste.

Delegare il Governo in materia di definizione dei LEP è giuridicamente inappropriato, perché non si tratta di una questione di carattere esecutivo, bensì prettamente normativo. Quale sarebbe, allora, il ruolo del Parlamento? Nell’articolo 3 è previsto un parere consultivo, facilmente superabile.

È evidente che sul territorio nazionale in numerosi ambiti e materie a cui fa riferimento la Legge 86/2024 ci sono attualmente profonde disuguaglianze. È sufficiente analizzare i dati di Eurostat rispetto ai cosiddetti NUTS-3 (territorial units for statistics) del Nord e quelli del Mezzogiorno. Non è dunque nemmeno pensabile il poter garantire in modo omogeneo e uguale LEP sul territorio nazionale a meno di abbassarli fino al punto che non si potrebbe che cristallizzare l’attuale situazione di disparità sul territorio nazionale.

Infine essendo le risorse finanziarie attribuite attraverso compartecipazione al gettito, addirittura eventualmente rivedibile, è evidente che alcune Regioni, ovvero i NUTS-1, sarebbero in partenza molto avvantaggiate a discapito di altre.

Parlare dunque di LEP in una Legge che non preveda esplicitamente di portare prima all’azzeramento delle disparità oggi presenti tra le regioni italiane e al loro interno, e che inevitabilmente porterà la cristallizzazione tali squilibri, è disgustosamente ipocrita o irrazionale. Lanciarsi dunque in questa impresa senza avere chiarito le premesse è assolutamente dilettantistico. Se davvero dovesse produrre effetti, la Legge 86/2024 non potrebbe che portare ad una concorrenza al ribasso tra le Regioni, che non avrebbero nessun interesse a irrobustire, ad esempio le tutele sul lavoro oltre il minimo necessario, in quanto diventerebbero meno appetibili alle logiche di profitto neo-liberiste che oggi informano il mercato delle multinazionali.

Inoltre, innumerevoli sono i punti critici e dubbi sulle nuove disparità che potrebbero ingenerarsi. Ad esempio rispetto alla tutela della salute, come si governerebbe l’attuale mobilità interregionale?

Alquanto bizzarro e totalmente inconsapevole è immaginare la tutela dell’ambiente a livello regionale. Le correnti atmosferiche che su tutto il pianeta si muovono da Ovest a Est sono i principali determinanti della qualità dell’aria nel Nord, ma nulla sapranno dei confini amministrativi regionali dopo l’entrata in vigore della Legge 86/2024. La qualità dell’aria nella pianura a sud delle Alpi si fa ‘un baffo a toritiglione’ del regionalismo ingenuo di questa legge ignorante.

Concepire un’istruzione con un orizzonte regionale come se ci fosse una ‘Scienza Lombarda’, o una ‘Scienza Irpina’, fa venire in mente quanto Orwell scrisse nei Ricordi della Guerra di Spagna, del 1943: la teoria nazista nega specificamente l’esistenza del concetto di ‘verità’. Per esempio esiste una ‘scienza tedesca’, una ’scienza ebraica’, ecc.

Cosa dire poi delle grandi infrastrutture che dovrebbero attraversare più di una regione e che dovrebbe dunque conformarsi a normative che inevitabilmente, con l’andar del tempo, si differenzieranno. Il riconoscimento che la diversificazione delle norme svantaggiasse lo sviluppo del Regno di Sardegna è quanto spinse Cavour, che certamente non era socialista ma nemmeno scioccamente populista, a cercare alleanze in Italia e in Europa per raggiungere al più presto l’unità d’Italia, che poté diventare una potenza economica di livello europeo solo a unificazione avvenuta. E fu proprio il non risolvere il problema dello squilibrio tra Nord e Sud a costituire il principale ostacolo al pieno sviluppo del nostro Paese, questione che non va imputata a Cavour in quanto morì pochi mesi dopo l’unità d’Italia.

La Legge 86/2024 aprirebbe una stagione molto infelice per il paese perché non porterebbe che all’acuirsi delle disparità. E ciò comporterebbe certamente danni ai più deboli, ma una minima conoscenza delle teorie sulle dinamiche socio-economiche, così come sono state dimostrate sperimentalmente da decenni dagli studiosi, porterebbe a sapere che ne uscirebbero svantaggiati anche i privilegiati. Non dimentichiamo che il mercato principale per il Nord è il Mezzogiorno. L’IVA-scambi-interni è una delle fonti principali della compartecipazione al gettito del Friuli Venezia Giulia, come si è visto nell’ultimo assestamento di bilancio.

Infine anche sul piano etico, questa norma è tutta improntata sul saccheggio del bene comune, nel nome di un regionalismo di scarso spessore. Il senso di una res-publica è che il gettito prodotto a livello locale non è delle Giunte regionali delle regioni dove è stato prodotto, ma è dei cittadini che fanno parte della res-publica nella sua globalità.

In conclusione la Legge 86/2024 è quanto di più sconclusionato e confuso si potesse proporre in materia di delega ed autonomia. È frutto di un regionalismo ingenuo e sciocco. È un incosciente slogan politico che non potrà che portare innumerevoli disagi ai cittadini di ogni ceto sociale e di ogni regione. Invertire in pochi anni un processo di quasi due secoli è un misto di ingenuità e pericolosa arroganza che va al di là dell’immaginazione. Non vi può essere che un’abrogazione totale della Legge 86/2024, per questo noi del Gruppo consiliare regionale Misto (composto dalle forze politiche Open Sinistra FVG, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra) l’abbiamo sottoscritta. Come si è detto l’articolo 5 della Costituzione già nei principi generali prevede l’autonomia degli enti locali, ma qui non si tratta più di autonomia bensì di irrazionale prepotenza.

La Regione FVG, regione piccola e ricca di diversità, è regione autonoma e speciale proprio perché fragile. Questo è sempre stato il senso delle specialità regionale in Italia, tutelare chi vive in contesti maggiormente problematici. L’autonomia differenziata è invece una forma di bullismo istituzionale, che va dunque in direzione opposta a quella che portò alla definizione dell’autonomia del Friuli Venezia Giulia.

Una di noi ha espresso voto favorevole ad una abrogazione parziale di questa legge, mentre gli altri due hanno espresso invece voto decisamente contrario. La campagna referendaria ispirata dal movimento della Strada Maestra che ha visto l’ANPI, i sindacati e tanti partiti e associazioni politiche impegnate nel raggiungimento di quasi un milione di firme questa estate, ha promosso solamente il referendum sull’abrogazione totale, ci ha visti tutti impegnati. A mio personale avviso questa norma è infatti inemendabile per sottrazione, anzi rischia di diventare un Cavallo di Troia qualora venisse approvata da un Referendum anche in forma ridotta. Nel corso del dibattito ciascuno al nostro interno avrà comunque modo di difendere la diversità della propria scelta. Piena condivisione invece c’è stata nel sostenere l’abrogazione totale di questa legge. Il regionalismo e la specialità sono una cosa molto seria che richiede ragionamento, analisi e programmazione molto dettagliati, caratteristiche queste di cui la Legge 86/2024 è priva.

Cittadine e cittadini antifascisti, Buon 25 Aprile!

Partigiani e loro familiari, rappresentanti del Comune di Aviano, e dei Comuni della Magnifica Comunità di Montagna, Presidente dell’ANPI di Aviano Angelo Caporal, Rappresentante dell’Associazione Partigiani Osoppo, e delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, cittadine e cittadini, è con viva emozione che mi rivolgo a voi presso questo Monumento alla Resistenza che riporta 63 nomi di partigiani e di tanti avianesi militari e civili uccisi dai fascisti e dai nazisti dopo l’8 settembre 1943.

L’orazione commemorativa sarebbe perfetta e potrebbe già terminare dopo la lettura di questi nomi e delle poche ma intense parole con cui, nello splendido libro di Pietro Angelillo e Sigfrido Cescut “I luoghi delle Pietre e della Memoria”, è delineato lo slancio ideale e la drammatica vicenda di ciascuno. Il nome è la cifra dell’irripetibile unicità di ogni singola persona umana e appunto così l’Associazione Libera celebra il 21 marzo di ogni anno la Giornata contro le Mafie, leggendo, in tante piazze d’Italia, i nomi dei morti ammazzati di Mafia. E questi elenchi sono già poesia. Tale scelta nacque, come spesso ricorda Don Ciotti, per rendere giustizia a quella piccola donna vestita di nero, Carmela Antiochia, che ad una manifestazione che ricordava il sacrificio di Giovanni Falcone, a lui si rivolse così: “Sono la mamma di Antonio Montinaro, ucciso con Giovanni Falcone, di cui era il caposcorta, perché non pronunciano mai il nome di mio figlio?” E se leggere tutti i 63 nomi richiederà tempo, sarà tempo nel quale dimostreremo nel modo più alto la nostra umanità e riconoscenza, insieme all’impegno a riscattarne la morte facendo vivere oltre ai nomi quei valori di libertà, giustizia e uguaglianza, che loro seppero solamente immaginare profeticamente e a cui sacrificarono la giovane vita. Questa è la ragione che ci porta a ritrovarci qui oggi, piuttosto che altrove a Udine, a Trieste, a Pordenone. Siamo qui per loro, per coloro che combatterono sul Piancavallo, nella Valcellina, nella Valcolvera, nella Valle del Vajont, e in tutte le altre valli di questa straordinaria parte del mondo che è il Friuli Occidentale e che tanto sangue partigiano ha versato per la lotta di Liberazione dal fascismo. I nomi sono importanti – sono quanto ci sopravvive nel tempo – pertanto, il diritto al nome è diritto fondamentale che dovremmo garantire a ogni nato in Italia, come richiede l’obiettivo 16.9 dei 17 SDG dell’ONU: entro il 2030 fornisce l’identità legale per tutti, comprese le registrazioni gratuite di nascita. Invece il nostro paese, accecato dal populismo più razzista, non lo garantisce più, perché vige ancora l’Art.1, comma 22, lettera g), dell’infame Legge 94/2009, la Berlusconi-Maroni, “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, che modificò il comma 2 dell’articolo 6 del “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” (il D.Lgs. 286/1998), che oggi richiede che per i provvedimenti inerenti agli atti di stato civile come la dichiarazione di nascita, sia necessario esibire il permesso di soggiorno. I figli degli irregolari in Italia non hanno pertanto il diritto a un nome, se non a rischio di denuncia dei loro genitori. Da anni mi batto, insieme ad altre cittadine e cittadini, perché tale norma vergognosa sia cancellata dalla nostra legislazione; non basta una circolare amministrativa per curare questa ferita aperta nella nostra coscienza civile, ma la destra odiatrice vi si oppone con tutto il suo nazionalismo asfissiante.

Voglio adesso recitare la splendidamente ruvida e dissonante poesia del poeta-sindacalista Leonardo Zanier, l’autore di Libers di… scugnì lâ, scolpita sul monumento di Piancavallo, che con straordinaria concisione riassume l’epopea che oggi celebriamo. La leggerò in friulano perché il friulano è una delle lingue della Resistenza:

Via un zovin:
da cuasi ogni famea
via in Russia:
a impará a copâ
via a pît
ta glaça o tal pantan
plui no scrivin:
si vai in ogni cjasa
pôs a tòrnin:
‘l è dûr sierâ a vincj ans
chei ch’a tòrnin:
devéntin partigjans.

Ma voglio citare oggi anche la frase di Pietro Calamandrei scolpita sul Monumento alla Resistenza a Udine, città insignita della medaglia d’oro per la Lotta di Liberazione a nome di tutto il Friuli, e quindi anche di questi luoghi, monumento presso il quale come sindaco ebbi l’onore di esprimere il mio impegno antifascista per dieci anni : quando considero questo misterioso moto di popolo questo volontario accorrere di gente umile/ fino a quel giorno inerme e pacifica che in una improvvisa illuminazione senti’ che era giunto il momento di darsi alla/ macchia di prendere il fucile di ritrovarsi per combattere contro il terrore mi viene fatto pensare a certi inesplicabili/ ritmi della vita cosmica ai segreti comandi che regolano i fenomeni collettivi come le gemme degli alberi che spuntano/ lo stesso giorno come le rondini di un continente che lo stesso giorno si accorgono che e’ giunta l’ora di mettersi in viaggio/ era giunta l’ora di resistere era giunta l’ora di essere uomini per vivere da uomini.

Questa frase fa comprendere come la persona umana, da sola, non ha né senso né speranza. La nostra umanità non può essere tale se non si riconosce spontaneamente collettiva e solidale, perché i diritti umani e civili o sono per tutti oppure non sono!

Ma oggi, in questo luogo, non è possibile non ricordare quanto Calamandrei disse agli studenti milanesi nel 1955, perché descrive proprio il senso dell’atto che stiamo compiendo: Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione.

La nostra Costituzione è nata proprio qui sul Piancavallo, dove sin dai primi mesi del 1944 salirono in montagna antifascisti, attivisti politici, comunisti, socialisti, indipendenti – giovani e reduci delle guerre di aggressione imperialiste dell’Italia in Africa, Grecia, Albania, Jugoslavia e Russia che sfuggirono coraggiosamente alla deportazione in Germania e all’arruolamento nelle formazioni fasciste della repubblica di Salò, costituendo i primi battaglioni delle divisioni Garibaldi e Osoppo.

E proprio qui sul Piancavallo maturò forse l’esempio più luminoso di quello spirito che è alla base della nostra Costituzione e ne costituisce la bellezza e la forza: in essa tutti ci riconosciamo democraticamente in modo unitario come cittadini della Repubblica Italiana una e indivisibile, come recita l’Art. 5, al di là delle diversità delle nostre mentalità e ideologie, dei nostri conformismi, come li chiamava Gramsci. Si può ben dire che qui a Piancavallo, ben più di quanto avvenne altrove, nacque nell’unità di intenti e di ideali civili fondamentali, in uno spirito di pluralismo e di difesa della libertà di opinione di chi la pensa diversamente da noi, quel processo democratico che è la vita di una Repubblica. Qui, partendo dal basso, dai comandanti dei battaglioni, inizialmente addirittura contro la volontà stessa dei comandanti di rango più elevato, grazie all’intelligenza civile e la determinazione di uomini profondamente diversi tra loro per formazione e storie, fu istituito il primo Comando Unificato Garibaldi-Osoppo per combattere uniti in modo più efficace il fascismo e il nazismo. I protagonisti furono Mario Modotti “Tribuno”, operaio dei cantieri di Monfalcone, membro di Soccorso Rosso e attivista comunista, poi GAPpista, che insieme a Giulio Quinto Contin “Richard” costituirono il primo battaglione garibaldino “Nino Bixio” nel Friuli Occidentale, e Pietro Maset “Maso” capitano dell’8° reggimento Alpini della Divisione “Julia” che, contattando ufficiali e militari sbandati e raccogliendo armi sin dall’autunno del ’43, fu uno dei primi organizzatori della Resistenza nel Friuli Occidentale contribuendo alla nascita del nucleo della “Osoppo Friuli”, il battaglione “Piave”. Qui sul Piancavallo fu istituito uno dei pochissimi esempi di Brigata Unificata Garibaldi-Osoppo la “Ippolito Nievo A”.

Il 7 agosto 1944 iniziò quindi l’epopea di questa brigata che vide inquadrati oltre 600 uomini in vari battaglioni: il “Bixio”, il “Gramsci”, il “Mazzini” erano garibaldini, il “Piave”, il “Cellina e il “Vittoria” erano osovani. La loro azione congiunta contribuì allo sviluppo della Repubblica Libera della Carnia difendendola da sud e provvedendo a importanti linee di rifornimento. Questa Repubblica libera anticipò nella sua organizzazione la nostra Repubblica Italiana sotto molti aspetti: abolì la pena di morte, assicurò una giustizia gratuita, l’educazione pubblica, la casa, la tutela dei beni comuni e di fatto diede per la prima volta il voto alle donne, in qualità di capofamiglia.

L’estate del ’44 fu un’estate di gioia e speranza di una prossima liberazione. L’organizzazione della “Ippolito Nievo A” fu esemplare. La Brigata era approvvigionata da un’unica intendenza che riforniva cibo, vestiario, attrezzature dove prima ce n’erano due. Aveva coordinato una specifica attività di spionaggio d’intesa con i GAP che operavano in pianura. Aveva istituito un tribunale militare di brigata. Nei paesi liberi come Claut molte erano le donne partigiane che operavano in vari servizi funzionali all’Ippolito Nievo A. A Claut venivano forniti inoltre servizi ospedalieri e funzionava anche un ufficio stampa per contrastare la disinformazione e la propaganda fascista che vigliaccamente gettava fango sul movimento partigiano, presso i civili in pianura.

Fu una stagione che ebbe però durata tragicamente breve, perché il 13/11/44 fu emanato il proclama Alexander che comunicò ai patrioti la decisione alleata di fermarsi per l’inverno sulla linea gotica invitando le truppe partigiane allo scioglimento. Forze che fino ad allora erano riconosciute quasi come forze regolari dagli stessi nazifascisti qui a Piancavallo (si consideri l’episodio dello scambio di prigionieri del 3/08/44), si trovarono così abbandonate nell’affrontare le grandi offensive nazi-fasciste dell’autunno del ’44 e il terribile inverno del ’45. Vicende drammaticamente descritte da un altro eroe della Ippolito Nievo A, Angelo Carnelutto  “Clark”, nel suo libro “Ricordi vivi di vita partigiana”. Queste offensive, in cui si distinsero per ferocia i fascisti della X Mas (il cui labaro continua vergognosamente a sfilare a Gorizia e in Piazza Unità a Trieste anche alla presenza del Presidente del Consiglio Regionale) portarono allo spezzamento del fronte della Brigata, al suo frazionamento e infine, alla caduta della Repubblica Libera della Carnia. Le forze partigiane sopraffatte per numero di mezzi e di uomini furono decimate e disperse. Molti partigiani, spesso impossibilitati a rimanere in montagna per l’arrivo dell’inverno, ritornarono alle loro case e vennero catturati. Furono mesi che videro feroci violenze fasciste e naziste non solo contro le formazioni partigiane, ma anche contro i civili con incendi e rastrellamenti. Non dobbiamo però più riferirci a queste azioni come a rappresaglie sui civili provocate dalle azioni partigiane. L’OZAK, Operationszone Adriatisches Küstenland, ovvero questi territori, erano comandati da criminali di guerra come Odilo Globočnik, che provenivano dall’Europa Orientale dove avevano perpetrato la più spietata guerra contro i civili, come metodo di controllo dei territori.

E come nel mito narrato dalle grandi tragedie greche, nelle ultime settimane di guerra si assisterà anche alla morte di tutti e tre gli eroici comandati della Brigata Unificata “Ippolito Nievo A”. Richard sarà colpito in un’imboscata, catturato, sarà lasciato morire dissanguato il 18 marzo 1945 a 38 anni. Maso sarà tradito, e cadrà in combattimento sul Col Sauc il 12 aprile del 1945 a 34 anni. Infine Tribuno, tradito anche lui e catturato a Bicinicco nel febbraio ’45 dai fascisti della X Mas, sarà torturato nella famigerata caserma “Piave” di Palmanova e poi fucilato nel carcere di Udine a 32 anni il 9 aprile del 1945 insieme ad altri 29 partigiani tra cui il comandante Mario Foschiani “Guerra” commissario politico della Divisione Garibaldi “Carnia”.

La guerra di Liberazione sulle montagne del Friuli Occidentale, a Piancavallo, e le realtà civili e organizzative che permise di costituire furono l’embrione di ciò che sarà di lì a qualche anno la Repubblica democratica Italiana. Questo luogo, a 1800 m s.l.m. fu e rimane quindi un punto archimedeo, un punto d’appoggio di straordinaria attualità anche in questa nostra “grande epoca”, come Karl Kraus chiamava ironicamente la sua, poco prima di iniziare a scrivere “Gli Ultimi giorni dell’Umanità” nel 1914. Perché in questa nostra epoca al governo c’è una forza politica che fa molta fatica a dichiararsi antifascista e che si ispira a personaggi che non partecipavano certamente alle riunioni clandestine del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia dal quale dipendevano tutte le forze partigiane, semplicemente perché combattevano a fianco dei nazisti.

Cittadine e cittadini, il nostro impegno antifascista dopo 79 anni di liberazione deve essere oggi, quindi, più fermo e determinato di sempre. Festeggiamo dunque con rinnovata consapevolezza la preziosa eredità etica e storica del 25 Aprile!

Se oggi possiamo dirci cittadine e cittadini, e non sudditi, lo dobbiamo solamente al sacrificio delle migliaia di giovani, come questi 63 che ricordiamo oggi, che immaginando profeticamente un mondo che non avevano conosciuto, hanno riscattato la feroce barbarie del ventennio fascista che aveva soppresso i partiti e i sindacati, represso il dissenso politico, varato vergognose leggi razziali, e infine condotto l’Italia ad una sciagurata guerra di aggressione imperialista a fianco dei nazisti, fino a cedere loro la sovranità sul Friuli Venezia Giulia. Furono giovani che maturarono nella lotta armata e nella resistenza civile i più alti principi di solidarietà, libertà e uguaglianza che informano la nostra Costituzione; che è la Grande Incompiuta, come la chiamava Calamandrei. Incompiuta, non solamente perché era ed è ancora ben lontana, ahimè, dall’essere pienamente realizzata, ma perché la Costituzione è pensiero vivo, che si deve fare azione e lotta continua. La Costituzione è l’unica legge che non procede dall’alto verso il basso, partendo dall’autorità per limitare la libertà del popolo, ma va all’incontrario, parte dal basso e fissa i limiti dell’autorità, perché solamente al popolo appartiene la sovranità, come recita l’articolo 1.

La Resistenza partigiana fu matrice di diritti individuali come la libertà e l’autodeterminazione, le pari opportunità, la sanità, la scuola, la giustizia ma anche di diritti collettivi come, la democrazia, l’ambiente e il paesaggio, la cultura, la tutela delle minoranze, la salute.

Per ogni antifascista la Resistenza è principio e riferimento etico: perché non è sufficiente esistere, l’imperativo morale è r-esistere.

Si deve resistere, in primo luogo, all’indifferenza nei confronti delle violazioni dei diritti degli altri. Perché i diritti o sono di tutti oppure non sono. E l’attendismo, o l’indifferenza o il non-dissenso, come fu in Italia un secolo fa durante il fascismo, è già complicità. Non deve venire mai meno la forza di scandalizzarci e il coraggio di dimostrarlo di fronte alle tragedie contemporanee che violano l’Art. 10 della nostra Costituzione. Quella dei migranti economici che attraversano il Mediterraneo, e possono ben chiedersi usando le parole di Virigilio, quaeve hunc tam barbara morem permittit patria? hospitio prohibemur harenae; bella cient primaque vetant consistere terra. Eneide I,541 (qual è questa patria che permette usanza tanto barbara per cui ci viene negato il rifugio della sabbia e che ci vieta l’approdo alla terra più vicina?) Oppure quella dei migranti lungo la rotta balcanica che fa tappa presso quella vergogna collettiva che è la topaia del Silos a Trieste. O quella dei civili nella striscia di Gaza contro i quali viene combattuta una guerra indiscriminata che non viene condannata perché pochi nel mondo osano alzare la voce contro i doppi standard che da decenni sono applicati spietatamente contro quel popolo, denunciati da Amnesty International. O quella delle disumane vasche di plexiglas e rete del Centro di Permanenza per i Rimpatri di Gradisca. O ancora quella della povertà nella quale vivono tante persone anche nella nostra regione, il cui Presidente si vanta di avere un PIL pro-capite maggiore della media nazionale, e non rileva la povertà delle disparità economiche, del precariato e dello sfruttamento lavorativo, e del caporalato; povertà che vede la nostra regione sopra la media nazionale per numero di persone che rinunciano alle cure a causa del collasso della sanità pubblica universalistica.

Ognuna di queste tragedie viola articoli ben precisi della nostra Costituzione mettendoli a rischio. Incomincio dal diritto alla salute, sancito all’Art. 32 come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. La Partigiana Tina Anselmi, primo ministro donna della Repubblica, seppe interpretarlo con la Legge 833 e l’istituzione nel 1978 del Servizio Sanitario Nazionale, sulla base dei principi di uguaglianza, universalità ed equità. Questo servizio, divenuto poi sistema aziendale, appare oggi messo profondamente in discussione. I processi di privatizzazione e di finanziarizzazione della sanità in atto stanno accrescendo le disuguaglianze in salute e portano a intendere la salute non come bene comune, ma come mera prestazione di cura quando la malattia è già in atto, azzerando la medicina di iniziativa, di prevenzione e di riabilitazione. La salute va intesa invece in modo olistico, come One Health secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, non solamente quindi come assenza di malattia, ma anche come benessere, mentale, relazionale ed emozionale, degli esseri umani come delle altre specie viventi su questo pianeta e dell’ambiente. È illusorio pensare che la salute si possa garantire individualmente con assicurazioni integrative, perché anche se è bene individuale, la salute degli altri è un determinante della nostra salute. Quest’anno festeggiamo il centenario della nascita di un eroe civile quale Franco Basaglia, che invocò un nuovo umanesimo, a partire dalla restituzione di un’umanità ai malati mentali. Purtroppo in questa regione stiamo assistendo alla demolizione della sua eredità proprio ad opera dell’attuale Assessorato alla salute.

Si deve resistere al risucchio semplicistico degli slogan populisti dei demagoghi e all’uso politico della Storia, che attraverso post-verità e narrazioni deformanti annebbia le nostre coscienze. Esempi emblematici sono le censure in RAI, ma anche la Giornata del Ricordo, che viene celebrato nel giorno della firma del trattato di pace di Parigi del 1947, che quindi implicitamente strumentalizza l’esodo istriano-dalmata per rivendicare l’imperialismo fascista sui territori oggi sloveni, capovolgendo i ruoli nelle azioni di pulizia etnica perpetrate durante il fascismo in quei territori. Altri esempi sono i tentativi di rivalutazione di fascisti e neo-fascisti, celebrando ricorrenze e intitolando premi a figure discutibili, come ha fatto recentemente la Regione FVG, con ben 30mila euro, e soprattutto la rilettura della lotta di Liberazione, come guerra civile ponendo condizioni sempre più difficili all’ANPI per promuovere la storia più nobile del nostro paese nelle scuole.

Si deve resistere, e difendere l’art. 4 relativo al diritto al lavoro, che invece ormai vede la morte sul lavoro non avvenire più in casi singoli ma addirittura a gruppi come nel disastro ferroviario di Brandizzo, o quello nel cantiere Esselunga a Firenze o quello nella centrale idroelettrica di Suviana. Piuttosto che Repubblica fondata sul lavoro, il nostro paese sembra una repubblica fondata sulla morte dei lavoratori, sul lavoro sfruttato delle esternalizzazioni, dei subappalti e del caporalato. A lungo ci siamo battuti contro l’esternalizzazione del ruolo dei Guardiadighe presso le grandi derivazioni idroelettriche pordenonesi gestite da Edison, ma inutilmente.

Si deve resistere alla criminalizzazione del dissenso oggi utilizzata da chi è al potere e che sempre più frequentemente si traduce in violenza fisica, come quella delle forze dell’ordine a Firenze e Roma nei confronti delle proteste studentesche, oppure psicologica come quella del sindaco di Pordenone con le minacce di cause di risarcimento milionarie ai cittadini che vogliono contrastare la sciagurata scelta di abbattere i tigli dell’ex-fiera, o come quelle di grandi gruppi industriali ad altri cittadini che hanno fatto una petizione contro l’uso privato dei beni comuni come l’acqua e l’aria delle nostre lagune. Dobbiamo difendere gli Artt. 17, 18, 21 della nostra Costituzione ovvero sulle libertà di riunione, associazione ed espressione

Si deve resistere alla dilagante mentalità dell’opportunismo egoista e prepotente, meschino ma servile, forte con i deboli e debole con i forti, che si manifesta nella maschilistica sopraffazione dell’altro, e soprattutto dell’altra, e che si incarna negli uomini cosiddetti di successo, che “scendono” in politica con slogan demagogici e populisti, che ragionano solamente in termini di valore di scambio, di possesso e di utili finanziari, giustificando così qualsiasi disumanità nel lavoro. Provo ancora forte la vergogna per quel tributo servile a Berlusconi che tutto il paese, a parte alcuni di noi, hanno voluto tributare alla sua morte presentandolo come modello, come fece Fedriga in Consiglio Regionale, indifferente al fatto che fosse stato condannato per frode fiscale.

Si deve resistere alla logica della guerra, nella quale stiamo scivolando malgrado l’Art. 11 della nostra Costituzione, e alle seduzioni dell’industria bellica, anche se creano posti di lavoro e utili vertiginosi, e dobbiamo rifiutare i discorsi che parlano dell’inaccettabilità di una pace ingiusta e così giustificano una guerra giusta. Questo rifiuto deve essere ancora più esplicito e fermo proprio qui ad Aviano base di F-16 ed F-35, il costo di uno solo dei quali darebbe cure mediche per interi ospedali nella maggior parte dei paesi del mondo. Come sosteneva Simone Weil, la guerra è solamente la celebrazione della forza, di quella violenza che trasforma vinti e vincitori in cose.

Si deve resistere ad un governo di estrema destra che oggi ci governa e violerà il principio di uguaglianza, sancito dall’Articolo 3 della Costituzione, il dovere di Solidarietà sancito dall’Art.2, nonché l’unità della Repubblica sancita dall’Art. 5, se passeranno le sue leggi fasciste di Autonomia Differenziata che assicureranno solamente i LEP (livelli essenziali di prestazione) come base comune, permettendo la secessione dei ricchi che potranno invece godere di maggiori servizi. Queste norme riconfigureranno l’Italia in un collage di territori privilegiati o svantaggiati per legge. Ci si deve opporre a chi vuole cambiare la Costituzione introducendo il premierato, spezzando quel sistema delicatissimo di pesi e contrappesi che concreta quella separazione dei poteri, che sin dalla Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen del 1789 costituisce il principio della democrazia.

Voglio infine ricordare la vigliacca irrazionalità di questo paese che ha varato il DL 30 aprile 2022, n. 36 che istituisce all’Art. 43 un Fondo per il ristoro dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità per la lesione di diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945. Ma, al tempo stesso, attraverso, l’Avvocatura dello Stato ne ha sollevato l’incostituzionalità allungando di un ulteriore capitolo l’annosa saga dei risarcimenti per i crimini nazisti, sorta in anni recenti, molto dopo la scarsa persecuzione penale postbellica, frenata prevalentemente da motivazioni politiche. È una vicenda sviluppatasi parallelamente alla persecuzione penale conseguente alla scoperta dell’armadio della vergogna, terminata nel 2013 e seguita dalla mancata consegna dei condannati da parte della Germania.

Voglio infine concludere questa orazione citando un altro partigiano del Friuli Occidentale, che ho spesso ricordato nelle commemorazioni ufficiali a Udine: Luciano Pradolin “Goffredo”. Comandante del battaglione “Meduna” della Osoppo. Protagonista della battaglia sul Rest a difesa della Repubblica della Carnia, fu catturato a Maniago nel gennaio 1945 e portato nel carcere di Udine dove, dopo un processo sommario  l’11 febbraio 1945 venne fucilato a 24 anni, insieme ad altri 23 prigionieri, molti dei quali di Tramonti, lungo il muro del cimitero di Udine, come rappresaglia per l’assalto al carcere di Via Spalato a Udine avvenuto il 7 febbraio 1945, che aveva portato alla liberazione di 73 detenuti, tra partigiani e prigionieri politici da parte di “Romano il Mancino” Glindo Citossi, comandante del gruppo dei GAP dei Diavoli Rossi. Pradolin scrisse varie lettere alla famiglia dal carcere, una di queste alla sorella Rina, che compare anche nella famosa raccolta dell’Einaudi “Lettere dei condannati a morte della resistenza” e riporta alcuni versi della poesia di Leopardi “Nelle nozze della Sorella Paolina”, tratta dai Canti. Ebbene, al di là del fatto che l’edizione contiene alcuni errori che invece non sono presenti nell’originale della lettera, penso che tale straordinario documento andrebbe letto e discusso nelle scuole perché offre a mio avviso un’interpretazione nuova, ma autentica, di tale poesia. Nobilita la poesia stessa ma mostra anche come il fascismo e il neofascismo, come riconosciuto da Gobetti e da Flaiano, è un rischio secolare sempre in agguato nella mentalità di tanti cittadini di questo paese.

O miseri o codardi
Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso
Tra fortuna e valor dissidio pose
Il corrotto costume. Ahi troppo tardi,
E nella sera dell’umane cose,
Acquista oggi chi nasce il moto e il senso.
Al ciel ne caglia: a te nel petto sieda
Questa sovr’ogni cura,
Che di fortuna amici
Non crescano i tuoi figli, e non di vile
Timor gioco o di speme: onde felici
Sarete detti nell’età futura:
Poiché (nefando stile,
Di schiatta ignava e finta)
Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta.

La Festa della Liberazione è la ricorrenza più significativa per ogni cittadina e cittadino che sente il bisogno di riaffermare i valori antifascisti di libertà, democrazia, solidarietà, che sono tanto facili da perdere ma così difficili da riconquistare!

Viva la Resistenza, Viva la Repubblica Italiana e la sua Costituzione, che da questa sono nate e vivano i 63 partigiani del monumento alla Resistenza di Piancavallo, che oggi abbiamo celebrato insieme!

 

 

 

 

Relazione di minoranza Honsell su strumenti Manovra di Bilancio

l’attività di questa Assemblea consiliare non è ancora mai stata legislativa da quando è iniziata la XIII Legislatura, come ci si sarebbe aspettato; è stata piuttosto quella di un… bancomat! E questa vocazione si conferma negli atti della manovra 2024. Per la terza volta nel giro di 6 mesi il Consiglio regionale del FVG si trova infatti a distribuire a piene mani risorse aggiuntive rispetto al passato. Per il 2024 sono iscritte risorse manovrabili per 5.694.740.745,08 euro ovvero 600 milioni di euro in più rispetto al dicembre 2022[1]. Cosa ha prodotto questa disponibilità di denaro? La risposta è chiara. Sono le maggiori entrate tributarie. Queste sono dovute a due effetti di impatto sociale opposto: da un lato la ripresa economica avvenuta dopo la pandemia, favorita da ogni sorta di contributo europeo al sistema e all’abbattimento di ogni forma di patto di stabilità, e dall’altro all’aumento dell’inflazione, che dal punto di vista dello Stato, e di conseguenza della Regione che ne partecipa in percentuale, nei primi tempi dà una ricchezza illusoria, impoverendo le fasce più deboli. Nel corso delle Commissioni di merito tutti gli assessori si sono vantati che non una delle poste è stata ridotta rispetto al 2023, nessuno ha però affrontato il tema dell’inflazione, e dunque i lavori si sono svolti in un clima di compiaciuta soddisfazione della maggioranza. Non stupisce dunque che il Presidente Fedriga, nei documenti a sua firma, appaia come un novello dottor Pangloss, e tra le mura del suo Palazzo in Piazza Unità consideri il Friuli Venezia Giulia come nel castello del Barone Thunder-ten-Tronckh si considerava la Vestfalia.

A nostro avviso l’orizzonte è invece molto grigio. Elenco tre macro-problematiche.

Lo sviluppo economico-finanziario previsto per il 2024, viene ridimensionato di mese in mese dagli Uffici Studi delle nostre associazioni di categoria.

Sono sempre più frequenti i fenomeni meteorologici estremi (inondazioni-siccità) provocati dall’aumento di temperatura dovuto all’inquinamento da carbonio di origine antropica e questi si manifestano in FVG in misura maggiore che altrove a seguito alla sua alta diversità morfologica – l’ARPA rileva che ad Udine la temperatura media annua negli ultimi 30 anni è cresciuta di oltre mezzo grado rispetto a quella media dei trent’anni precedenti! Sempre più frequenti e onerosi sono quindi i ristori regionali per compensare le conseguenze catastrofiche di tali fenomeni. I milioni previsti in questo fine anno, per indennizzare famiglie e aziende dai danni provocati dall’ultima ondata di maltempo, sono di un ordine di grandezza inferiore a quanto sembra necessario.

Il Sistema Sanitario Regionale appare ormai fuori controllo. Fino a qualche anno fa sarebbero state impensabili certe scelte di esternalizzazione, quale quella del principale Pronto Soccorso della Regione, a Udine, che è anche la sede del Trauma Center regionale, che insieme ad altri Pronto Soccorso regionali, verrà gestito per un anno da medici gettonisti e dunque precari, oppure chiusure improvvise di reparti come è avvenuto a San Vito, a seguito del grido di allarme sulla sicurezza della primaria. I dati del sistema di valutazione Bersaglio della Scuola Sant’Anna di Pisa, relativi ai Sistemi Sanitari Regionali di quasi tutte le regioni del Nord, mettono chiaramente in evidenza tutte le recenti debolezze sviluppate dal sistema del FVG e i gravissimi rischi derivanti dalla lunghezza dei tempi di attesa per varie patologie, dal diabete ai tumori. E la soluzione di ricorrere al privato, come abbiamo già evidenziato nella relazione al NADEFR, non è percorribile: la nostra regione è sopra la media nazionale per la percentuale di cittadini che hanno rinunciato alle cure negli ultimi 12 mesi, ovvero più di un cittadino su 3!

Reputiamo questa manovra assolutamente inadeguata perché non affronta seriamente nemmeno una di queste problematiche.

No Presidente, anche se molti dei Consiglieri regionali che, immaginiamo obbedienti e fiduciosi voteranno questo Bilancio, si sono lasciti convincere che il Friuli Venezia Giulia è la migliore delle regioni possibili, noi non saremo dei novelli Candide alla sua corte! Ed esprimeremo un voto contrario alla Stabilità e al Bilancio 2024 se questi non cambieranno.

Questa manovra si può riassumere così: Il denaro non manca, mancano le idee! Mancano le strategie che ne dovrebbero discendere per affrontare le gravi criticità all’orizzonte. E, proprio il fatto, che l’abbondanza di denaro permetta di confermare tutte le voci dei bilanci precedenti, è paradossalmente pericoloso perché produce l’effetto di ingessare il bilancio sul passato senza favorire il necessario ripensamento critico. Ci fate rimpiangere il tempo del patto di stabilità, quando ogni spesa era soppesata con enorme attenzione!

I settori strategicamente più deficitari, come già evidenziato nella relazione al NADEFR, sono: l’ambiente, la sanità, gli enti locali, le infrastrutture, il lavoro e la povertà. Mi propongo quindi di proporre, ad inizio di legislatura, alcune idee per affrontare i prossimi anni in modo più consapevole.

Circa l’ambiente, all’articolo 4, si registrano risorse per 134 milioni di euro (erano 149 nel 2023). Tra queste vi sono alcune decine di milioni per interventi non precisati per contrastare il rischio idrogeologico. Non esistendo però un’agenzia regionale dedicata, come chiediamo da tempo, che valuti e fornisca gli strumenti per coordinare in modo strategico questo tipo di interventi, il loro utilizzo sarà estemporaneo e dunque poco efficace. Noi non riteniamo sufficiente che ci sia solamente un tavolo di lavoro a cui partecipano i direttori centrali e altri direttori di servizio, come avviene attualmente. La strategia idro-geologica non si risolve semplicemente con interventi puntuali e intermittenti a gestione puramente regionale. In particolare, per quanto concerne il tema dell’acqua, da tempo chiediamo che venga istituito un coordinamento permanente tra i vari soggetti che a livello regionale si occupano di gestione idrica: l’AUSIR, i consorzi e le società multiservizi che gestiscono l’uso civico dell’acqua, i consorzi di bonifica che ne gestiscono quello irriguo, gli enti di controllo preposti a verificare il rispetto dei flussi minimi vitali dei corsi d’acqua (ci sono?), il provveditorato interregionale alle acque, ecc… E chiediamo che a tale coordinamento sia affiancata un’agenzia o un servizio permanente, che possa fornire dati scientificamente affidabili e ne monitori l’evoluzione. La questione è particolarmente seria per quanto concerne lo snodo del Tagliamento e il Lago dei Tre comuni, intorno al cui territorio si approvvigionano sia il CAFC, per fornire l’acqua potabile ai Comuni del Friuli Centrale, che il Consorzio di Bonifica della Pianura Friulana. Abbiamo rilevato con enorme preoccupazione nell’ultima Commissione, che non c’era condivisione tra i vari enti sui quali fossero i confini dei bacini idrogeologici, dato essenziale per gestire le situazioni di siccità! Ma altrettanto serie sono le problematiche di sghiaiamento in tutte le aree montane. Queste criticità non si possono risolvere in modo puntuale o venire affrontate in modo intermittente e frammentario. La mancanza di un coordinamento e del servizio permanente da noi proposto rischia di vedere approvati in modo affrettato, per smania di non perdere i soldi PNRR, progetti che potranno portare a squilibri idrici devastanti in momenti di siccità!

Si rileva inoltre la mancanza di qualsiasi strategia per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. Anzi, per la prima volta in questo Consiglio regionale, si è sentito dire da parte della direzione, che si deve ragionare in termini di puro adattamento all’aumento di temperatura. Riteniamo ciò molto pericoloso perché tutte le agenzie internazionali sono ormai propense a ritenere che il processo non sarà lineare, ma oltre ad un aumento di 1,5°C si supereranno dei tipping points, dei punti di non ritorno, che innescheranno effetti domino e cambiamenti climatici a valanga che metteranno a rischio gli ecosistemi e non saranno reversibili prima di centinaia di migliaia di anni. In Commissione abbiamo anche appreso che non si disporrà prima del 2026 di un sistema completo per il rilevamento delle emissioni climalteranti e quindi, non sarà pianificabile il loro controllo o la loro riduzione. In questa manovra si ritiene invece di procedere business as usual. Per quasi tutta l’aula è molto più importante distribuire contributi per incentivare l’impiego di combustibili fossili nella forma di contributi per la benzina agevolata (55 milioni) e di contributi all’aeroporto per voli low cost per alcune decine di milioni nei prossimi anni! Diversamente da quanto fatto nei 5 anni precedenti non faremo degli emendamenti per parametrare tali contributi alla cilindrata, oppure all’ISEE o alla disponibilità di mezzi di trasporto alternativi da parte dei proprietari. Quanto proposto ripetutamente in passato è stato inutile, questo Assessorato vuole proprio premiare di più chi consuma di più, con la scusa che la spesa è coperta dalle accise sulla benzina. Ancora una volta ribadisco però che tale ragionamento è fallace perché non c’è nulla che permetta di stimare quante persone effettivamente si recherebbero in Slovenia ad acquistare carburanti se non ci fosse l’incentivo, o quale prezzo regionale fisserebbero le compagnie petrolifere presso le loro sedi centrali, se in FVG non ci fosse il contributo…

Le criticità del SSR, vengono attribuite dall’Assessore Riccardi, alla difficoltà a reperire personale: dagli Operatori Socio Sanitari, agli infermieri, dai medici di Pronto soccorso ai medici di base, dalla continuità assistenziale ai radiologi. Ebbene, anche se vi è una crescita del bilancio della Missione n. 13 (3.078,93 milioni, erano 2.808,11, nel 2023) e ci sono ben 57 milioni per i rinnovi contrattuali del personale, alla mia precisa domanda posta all’Assessore Riccardi in Commissione, su quale strategia intenda mettere in atto per affrontare il problema strutturale degli organici, non sono stato degnato nemmeno di una risposta. Affinché non venissero offesi, i cittadini che mi hanno eletto e i tanti altri che oggi lamentano una situazione sanitaria insostenibile, ho dunque ripetuto la domanda. La risposta che ho ottenuto è stata agghiacciante: quella cifra è stata determinata dalla direzione! Dunque non c’è strategia politica! Dunque il problema cardine della crisi della sanità, da cui discende quello della lunghezza delle liste di attesa non viene affrontato né nel DDL n. 8, né nel DDL n. 9 né nel DDL n. 10! Si intende quindi continuare, con i gettonisti, reclutando personale all’estero in attesa del riconoscimento del titolo, come è avvenuto a Pordenone? Oppure semplicemente si vuole continuare ad appaltare al sistema privato fette sempre più cospicue di sanità regionale? Non disponendo l’Assessorato nemmeno di un’idea al riguardo, ricordo infatti che anche nel NADEFR il tema non è sviluppato, penso sia doveroso suggerirne alcune in questa relazione. Va creato un gradiente salariale nella forma di un’indennità di problematicità lavorativa, mediante risorse aggiuntive, e parallelamente va creato un programma per migliorare il clima aziendale che valorizzi anche dal punto di vista della carriera e del riconoscimento i lavoratori pubblici. Segnalo qui, che non risultano espletati nemmeno per la categoria degli Oss i concorsi relativi ai corsi-concorsi che si sono svolti nell’ultimo anno. È indubitabile che i salari in sanità siano bassi, e i ritmi di lavoro e le responsabilità siano invece alti. Ma nessuno opera in sanità che non abbia una vocazione! Proprio per questo il posto di lavoro pubblico deve essere reso di nuovo appetibile, favorendo il coinvolgimento del personale. Si deve rivedere completamente la continuità organizzativa nelle aziende, basandola sul concetto di presa in carico e non di somministrazione di prestazioni, facilmente esternalizzabili. L’Assessore ha dichiarato che i problemi derivano dall’incompiuta aziendalizzazione. Pensiamo invece che sia l’esatto contrario. L’aziendalizzazione porta alla frammentazione e alla frantumazione delle responsabilità e alla moltiplicazione delle prestazioni diagnostiche. Vanno ascoltate le critiche interne all’attuale organizzazione del sistema, invece di sopprimerle o addirittura di censurarle preventivamente come pare sia avvenuto negli ultimi cinque anni. I lavoratori stessi e i loro sindacati sono le fonti più informate e competenti per capire le ragioni dello scontento e della demotivazione che spinge tanti lavoratori ad abbandonare il sistema pubblico. Oggi si assiste a infermieri che preferiscono operare in modo autonomo con partita IVA, e quindi senza garanzie di welfare, piuttosto che operare da dipendenti nelle strutture pubbliche! Molte altre saranno le proposte che faremo al riguardo attraverso gli emendamenti e gli ordini del giorno, per fare ritrovare la rotta perduta dal Sistema Sanitario Regionale (SSR) in questi cinque anni a incominciare dal rapporto del SSR con il territorio: distretti, servizi sociali comunali, piani di zona, consultori, medici di base, continuità assistenziale, servizi 24 ore su 24 per pazienti con disturbi mentali e psichici, medicina di prossimità e d’iniziativa, ecc. È forte il sentimento di protesta per la condizione attuale del SSR tra i cittadini, che si manifesta con importanti raccolte di firme, come quella presentata il 6 dicembre dal Coordinamento salute del FVG, che facciamo nostra.

La stessa strategia salariale suggerita per il SSR, va applicata anche nell’altro grande ambito fortemente in crisi: quello degli Enti Locali. Come in Sanità anche per quanto riguarda gli enti Locali c’è infatti un problema di reclutamento. La Corte dei Conti stessa ha stigmatizzato una situazione molto seria e insoddisfacente per quanto riguarda gli Enti Locali del FVG, derivante dalla mancanza di personale e dalla conseguente ridotta capacità di pianificazione e di spesa che conduce ad abnormi avanzi di amministrazione. I pensionamenti devono essere compensati attraverso corsi-concorsi che valorizzino il personale in servizio, e risorse aggiuntive vanno assicurate per premiare e reclutare coloro che lavorano in sedi più disagiate. Abbiamo già commentato nel NADEFR l’inefficacia di re-introdurre le ex-Province, per assicurare servizi di qualità ai cittadini. Il livello di governo che manca in FVG è quello nel quale si possono mettere a comune risorse per affrontare problematiche complesse, ma simili, su scala sovracomunale. La struttura del nostro tessuto amministrativo fatto per lo più di micro-enti. I comuni, concepiti come isole autonome, non potranno mai disporre né di tutti gli strumenti per affrontare le problematiche sempre più complesse, né potrebbero riuscire a risolverle qualora le affrontassero in quanto sono spesso problematiche intercomunali, ma non di area vasta.

È molto significativo, che proprio i due ambiti che qualificano l’autonomia legislativa della nostra Regione, ovvero la Sanità (articolo 5 dello Statuto) e gli Enti Locali (articolo 4 dello Statuto) siano proprio quelli nei quali il nostro governo regionale è più barcollante dal punto di vista organizzativo. E la criticità organizzativa non migliora se si considera il terzo importante ambito di autonomia, ovvero il Trasporto Pubblico Locale (TPL, articolo 4 dello Statuto) dove le politiche di chiusura all’immigrazione dalla Giunta esercitate negli ultimi 5 anni (contributi per patenti concesse solo se si dispone di almeno 5 anni di residenza) hanno creato una carenza di autisti e un clima di lavoro molto insoddisfacente nelle aziende. Le relazioni sindacali potrebbero essere facilmente governate dalla Giunta, il contratto del TPL offre tutti gli strumenti, ma anche in questo caso la Giunta è stata finora inerte. Non sarà mica che manca il coraggio per essere speciali, e il tanto invocare autonomia non ha dato i frutti sperati?

Su questo tema non posso non rilevare che una Regione, dotata di bilanci così pingui, avrebbe invece dovuto fare molto di più per difendere il proprio sistema scolastico e sostenere il proprio sistema universitario. Riguardo al primo punto non ha difeso abbastanza le proprie autonomie scolastiche, accettando una loro contrazione che inevitabilmente porterà dei danni (come riconosciuto dalle compensazioni del DDL 10 all’articolo 7 commi 20-25 di ben 500 mila euro per l’annualità 2024), abbassando la qualità del rapporto didattico con il territorio e sarà foriera di nuovi tagli. Si rincorrono invece progetti folli, come la regionalizzazione dell’Ufficio scolastico regionale, che inevitabilmente renderebbe meno attraente il nostro sistema scolastico (inizieranno a mancare anche gli insegnanti!) e certamente favorirebbe ingerenze e localismi politici, come è avvenuto in Sanità.

Riguardo al sistema accademico si continua a non ridurre significativamente le rette universitarie, nemmeno la tassa regionale per il diritto allo studio universitario (DDL 9 Art. 6.13), e quindi a non rendere maggiormente attraenti i nostri poli universitari. Il caso della “casa dello studente” in Viale Ungheria a Udine è emblematico. Si preferisce indirizzare gli studenti sul mercato immobiliare e affittare strutture da privati, piuttosto che attivare strutture su cui la Regione ha investito e di cui dispone. Pare che tali edifici verranno impiegati per altri scopi: dunque i problemi di idoneità statica non erano poi così gravi!

Vista la cospicua disponibilità di denaro sulla Missione 10: Trasporti e diritto alla mobilità (€ 500 milioni), che conferma quella dell’anno precedente, siamo molto preoccupati che vengano fatte, o fatte ripartire, opere infrastrutturali con pesante consumo di suolo, che erano state programmate in passato, ma che oggi potrebbero non essere più necessarie. Esempi sono la Palmanova-Manzano, il by-pass di Aquileia, la Sequals-Gemona e sue varianti, ecc. … La logica di “non perdere le risorse” non può spingere a realizzare opere che non sono più urgenti o strategiche. Inoltre, se la progettazione prevede consumo di suolo, questa deve essere concordata con gli abitanti in un clima di trasparenza e di accessibilità alla documentazione in tutte le fasi della progettazione. Esempio emblematico di cattiva e opaca gestione è stata tutta la vicenda dell’acciaieria sedicente green a San Giorgio, le cui specifiche progettuali non sono mai state sufficientemente chiarite, anzi di cui è stata negata addirittura l’esistenza dal Presidente Fedriga, anche molti mesi dopo che erano stati commissionati degli studi specifici dalla Regione alle Università. I 20 milioni che continuano ad essere destinati per l’infrastrutturazione dell’Aussa-Corno prevista per l’acciaieria sono oggi rimasti orfani. A nostro avviso dovrebbero essere utilizzati per la rinaturalizzazione dell’area e le bonifiche dei terreni contaminati. Purtroppo questi DDL sono molto ambigui al riguardo. Risorse dovrebbero essere anche messe per le bonifiche delle aree nei demani comunali derivanti dalle ex-aree militari, spesso inquinate da sversamenti di idrocarburi e metalli pesanti, come abbiamo richiesto da anni. Ricordiamo che in FVG vi sono più di 100 Km2 di aree militari dismesse, non più nel demanio militare, per lo più inutilizzate. Potrebbero essere impiegate almeno per realizzare fotovoltaico.

È indispensabile inoltre definire una politica per la montagna che possa assicurare servizi, e dare indirizzi di sviluppo agricolo e industriale, compresa la filiera foresta-legno che non sembra competitiva rispetto alla vicina Austria, ma certamente non può essere abbandonata a se stessa. In particolare vanno gestite con chiarezza e maggiore trasparenza le azioni volte alla creazione dell’azienda idroelettrica regionale, sulle spoglie dell’UCIT.  I contenziosi con gli attuali gestori delle grandi concessioni idroelettriche sembrano non avere mai fine, ma proprio per questo motivo l’agire della Regione deve essere insistente ed espresso con chiarezza ai cittadini.

Queste considerazioni portano a rivendicare il ruolo indispensabile che i comitati spontanei di cittadini, e le raccolte di firme, da loro promosse, hanno avuto nel fare chiarezza sulla pianificazione regionale in tema di rifiuti, e attività industriali. La Regione non può avere solamente un ruolo notarile. Dovrebbe definire in modo trasparente ed esplicito qual è la propria strategia industriale non solo relativamente alle acciaierie, ma anche alle discariche, ai termovalorizzatori, alle cave, ecc. Sempre più frequentemente avviene invece che i cittadini debbano richiamare, in extremis, la Regione a una presa di coscienza e alla sua responsabilità di tutela della salute della popolazione e dell’ambiente. Ciò non è più accettabile!

Un’altra grave criticità poco riconosciuta in questa manovra riguarda il contrasto alle disparità e alla povertà e il sostegno alle fasce deboli, che come ho già ricordato, sono le più colpite dall’inflazione e la precarietà del lavoro. Il contesto socio-economico che il Presidente Fedriga trova così soddisfacente, vede però oltre il 12% delle famiglie della regione a rischio povertà, ovvero oltre 150.000 cittadini! Anche se il numero di disoccupati decresce, non decresce invece il numero dei lavoratori poveri. La notizia di questi giorni che ancora una volta viene affossato il progetto per un salario orario minimo lordo, è l’indice dello scarso interesse dei governi di destra per l’equità. Il liberismo si nutre infatti delle difficoltà economiche dei cittadini, delle guerre tra poveri che permettono di ridurre i costi del personale mettendoli in competizione i più deboli. I prezzi al consumo di alimentari, utenze domestiche, trasporti sono cresciuti di oltre il 10% negli ultimi 12 mesi, colpendo le fasce più fragili della popolazione, ma non sembra esserci una strategia regionale volta a ridurre le disparità e che miri all’inclusione. I contributi erogati sono per lo più a rimborso e come spesso dico, piove sul bagnato. Se i cittadini devono anticipare il denaro, vuol dire che si escludono da tali misure proprio coloro che hanno bisogno, ovvero quella fascia sempre più numerosa di famiglie del FVG (45,2%) che dichiarano di non riuscire a risparmiare né a far fronte a spese straordinarie (30%). Altri tipi di contributi come quelli legati alla dote famiglia allargano la fascia ISEE (DDL 10 Art. 7) ma così come formulate non tengono conto delle esigenze emerse di recente.

L’ultima considerazione riguarda il tema del calo demografico. È manifesta una grave mancanza di lavoratori in qualsiasi ambito. Così si esprimono tutte le associazioni categorie. Perché allora questa maggioranza ha deciso di abbandonare a loro stessi le migliaia di migranti che arrivano nel nostro territorio e le centinaia di minori stranieri non accompagnati? Perché il sistema Regione non pianifica, al di là delle foto-trappole e dei sistemi virtuali per addestrare a sparare ad un bersaglio in movimento non ripristina le risorse per educare tutte queste persone desiderose di una vita migliore per se stesse e le proprie famiglie e includerle in modo positivo sul nostro territorio. Le notizie che provengono da tutti gli ex-capoluoghi, e non solo, sono invece notizie di degrado nelle strutture di accoglienza. State abbandonando un’umanità preziosa ad un destino di abbruttimento. Non voglio sentire risuonare anche su questo tema la riposta che avrebbe potuto dare al riguardo il dottor Pangloss dopo il naufragio a Lisbona!

In conclusione, come gruppo Misto proporremo numerosi emendamenti e ordini del giorno con spirito collaborativo. In Commissione abbiamo espresso parere contrario ai DDL 8,9 e 10. Saremo, nostro malgrado, costretti a confermarlo se non verranno accolte le nostre proposte di modifica. Il denaro pubblico in un’epoca come questa, va impiegato solamente a valle di una pianificazione, e non elargito mirando all’effimero consenso operando business as usual, come attualmente è impostata questa manovra 2024!

[1] Il totale del bilancio di previsione è di circa 8.010 milioni di euro, in quanto alle risorse manovrabili vano aggiunte altre tipologie di risorse tra cui il Fondo pluriennale vincolato e le somme reimputate (472 milioni), le partite di giro (169 milioni), il contributo della Regione alla finanza pubblica (437 milioni), le assegnazioni vincolate (436 milioni), il fondo di riserva (184 milioni) e le partite finanziarie a pareggio (364 milioni) per citare le principali.

Testo DDL 9 | Testo DDL 10 | Testo DDL 11

Relazione di minoranza Honsell NADEFR

Ritenendo, insieme a tutte le colleghe del Gruppo Misto, compito della migliore politica quello di inquadrare e risolvere le problematiche socio-economiche, ho sempre ritenuto che i documenti programmatici e strategici, quali il NADFR, dovrebbero essere le pietre miliari dell’attività consiliare, soprattutto all’inizio di una legislatura. Avrei dunque immaginato di ricevere in questo dicembre un documento accalorato, almeno nella presentazione del Presidente Fedriga, nel quale ogni Missione, proporzionalmente all’impegno finanziario ad essa associato, lanciasse idee progettuali importanti. Ho letto invece un documento algido e piatto, a volte estremamente misero come nella fondamentale Missione 13 sulla salute e a volte quasi antologico per le quantità di parole chiave introdotte, ma solo per “il piacer di porle in lista” per citare il Leporello mozartiano di Da Ponte, e di fatto prive di elaborazione, come nella Missione 18 sull’ambiente e i mutamenti climatici. Ancora una volta rilevo con contrarietà come, sia nella passata legislatura e, da come i segnali nelle Commissioni sembrano indicare, avverrà anche nella XIII, questo documento viene vissuto dalla maggioranza come un mero adempimento legislativo, non meritevole di un significativo tempo di discussione al di là di quanto strettamente necessario per evaderlo. Nonostante ciò procederò comunque ad una sua analisi che per chiarezza svolgerò per punti.

  1. Con forte preoccupazione si rileva l’assenza di qualsiasi strategia, nella Missione 13, volta a superare le gravi criticità del Sistema Sanitario Regionale, sebbene la sanità costituisca una delle principali materie sulle quali la Regione ha autonomia legislativa, ancorché in armonia con i principi generali delle leggi dello Stato (vedi Statuto di Autonomia articolo 5, punto 16). Pare non esserci né la consapevolezza della gravissima carenza di personale e di servizi, che spesso costringe persone anziane a spostarsi da un capo all’altro della regione anche per attività ordinaria, né l’attenzione per il clima aziendale che si è andato a formare nelle aziende, che spinge un numero sempre maggiore di lavoratori del Sistema Sanitario Regionale all’autolicenziamento. La drammaticità di decisioni quali, quella di appaltare a gettonisti per un anno il più importante pronto soccorso della regione a Udine, o la chiusura di reparti negli ospedali di rete, non viene riconosciuta. E seppure si menzioni di sfuggita il problema delle liste di attesa, non viene proposta alcuna strategia per risolverlo. La mancanza di una seria riflessione in tema di Sanità, oppure la rassegnazione al suo progressivo indebolimento, traspare anche dal fatto che il NADEFR vi dedica meno di una paginetta a fronte dell’impegno di ben più del 50% del bilancio regionale. Nulla si dice infine sulla volontà di affermare il primato della sanità pubblica rispetto a quella privata. E ciò sembra eloquente, e ci trova contrari.
  2. Con insoddisfazione si rileva l’assenza di consapevolezza delle criticità nel settore degli Enti Locali (Missione 18), segnalate anche dalla Corte dei Conti, ovvero l’accumulo di avanzo di amministrazione e la mancanza di personale. Ricordiamo al riguardo che gli Enti Locali sono addirittura materia di autonomia legislativa primaria della Regione (Statuto articolo 4 punto 1). Nel NADEFR invece si menziona in modo cursorio un rafforzamento delle capacità amministrative degli Enti attraverso il rinnovo del CCRL, senza specificare come si realizzerà, né con quali obiettivi misurabili. Si conferma invece la visione di un sistema di governo a tre livelli di autonomia, dei quali quello intermedio sarà quello delle ex-Provincie, per giunta con l’elezione diretta degli organi. Non è quindi certamente il livello di area vasta che si vuole introdurre, ciò di cui c’è bisogno. La Regione FVG stessa è già l’area vasta, altre sono solamente nuove poltrone.
  3. Con gravissima preoccupazione si rileva l’assenza di qualsiasi contenuto e tantomeno di tempistiche precise, al di là di un antologico quanto banale greenwashing lessicale, per ciò che concerne l’ambiente e la mitigazione dei mutamenti climatici (Missione 9). Si parla di Strategia regionale per lo sviluppo sostenibile, ma il documento approvato nel febbraio 2023, è privo di qualsiasi contenuto concreto e stringente. Viene preannunciata una Strategia regionale di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici, ma non si dice quando verrà varata e soprattutto in cosa consisterà. Ma poi, non doveva forse già essere ricompresa, nel primo documento? Si parla di Tutela e valorizzazione delle risorse idriche e di invarianza idraulica. Ma proprio su questi temi abbiamo toccato con mano, alcuni mesi fa in VI Commissione, la mancanza di una conoscenza e di una strategia condivisa, a livello dei vari enti pubblici regionali, sul bilancio idrico relativamente al Tagliamento e agli approvvigionamenti degli acquedotti civili e dei canali irrigui presenti nel suo bacino idrografico. Inoltre, più volte è stata denunciata la mancanza di qualsiasi controllo del rispetto del principio di invarianza idraulica e la frequente assenza del flusso minimo vitale dei corsi d’acqua in montagna, ma nulla è previsto al riguardo. Infine il NADFR promette il nuovo Piano regionale della Qualità dell’Aria, ma ancora una volta non si danno né date né tanto meno garanzia che ci siano poi dei veri contenuti in tale documento e questo non diventi solamente l’occasione di roboanti comunicati mediatici. Ecco un esempio emblematico. Nel NADFR 2024 (Missione 14) si dà tanto spazio quanto ne viene dato alla Sanità, al progetto transfrontaliero europeo Horizon (North Adriatic Hydrogen Valley) di cui il Presidente Fedriga si vanta già da un biennio, del valore di oltre 350 milioni di euro. Ebbene sul sito di presentazione del progetto (Fonte: https://cordis.europa.eu/project/id/101111927 ) si scopre che la Regione ha ricevuto meno di 400 mila euro e le aziende della regione sono coinvolte per meno del 10% del budget, essendo questo in verità un progetto che coinvolge in massima parte enti ed aziende sloveni e croati (!?).
  4. Con insoddisfazione rileviamo che la versione del NADFR del 2024 risulta pesantemente immiserita, nelle informazioni comparative della nostra regione, rispetto a quanto avveniva in passato. L’analisi di contesto è diventata quasi solamente celebrativa. Evidentemente le analisi stringenti che erano state poste nella scorsa legislatura hanno suggerito di espungere tutto ciò che potrebbe non confermare che la regione FVG sia quel paradiso edenico decantato da Fedriga, divenuto novello Pangloss voltairiano, come la migliore delle regioni possibili. Mancano infatti riferimenti alle giornate di sforamenti delle emissioni, all’utilizzo di fitofarmaci e fertilizzanti, alla percentuale di agricoltura biologica e altri ancora. In verità questa inequivocabile opera cosmetica non ha però tenuto conto che anche se le percentuali della nostra regione su alcuni indicatori sono molto migliori della media nazionale sono a nostro avviso disastrose se analizzate sotto il profilo dell’equità. Leggiamo nel rapporto BES 2022 “Il benessere equo e sostenibile in Italia” dell’Istat, capitolo 4 (Fonte: https://www.istat.it/it/files//2023/04/12.pdf, pubblicato il 20 aprile 2023), che in FVG la percentuale di persone che rinuncia alla cure è del 7,7%, quindi superiore alla media nazionale. È un indicatore che dovrebbe togliere il sonno la notte all’Assessore alla sanità o perlomeno farlo riflettere di giorno. Alto, in termini assoluti, è il numero dei NEET in FVG, ovvero il numero di soggetti della fascia d’età 15-29 anni che non studiano e non lavorano: sono quasi 21mila. Il NADEFR invece si compiace del fatto che si è ridotto di qualche punto dall’anno precedente. Numeri assoluti ancora più preoccupanti si possono calcolare anche per quanto riguarda le famiglie in povertà assoluta e quelle a rischio di povertà: nel NADEFR i dati sono riportati solamente per enfatizzare tronfiamente che sono inferiori alla media nazionale, ma numericamente stiamo parlando di almeno 562.880×5%x2,1 = 59.102 cittadini nel primo caso e di 562.880×12,8%x2,1=151.302 cittadini nel secondo caso. Tutto questo cozza con le roboanti affermazioni con le quali si apre questo NADEFR che ha visto in FVG un PIL pro capite di 35.200 euro nel 2022 e dell’altrettanto enfatica dichiarazione dell’aumento di ben 4,4% del reddito disponibile lordo pro capite rispetto al 2020 che ci ha dato nel 2021 quasi 22.000 euro, ovvero quasi 2.000 euro in più della media nazionale. Non vi è chi non veda che c’è una notevole disparità presente in regione, evidenziata anche dal valore dell’indice di GINI, che malgrado la ricchezza di questi anni non è stata colmata. Sono molte le persone che il governo regionale a guida Fedriga si è lasciato indietro, in questo periodo che viene descritto come un Miniboom! Incidentalmente rilevo un po’ di incertezze sui numeri del PIL nel NADEFR, ad esempio nell’incipit di pagina 12 e pagina 30.
  5. L’ultima considerazione che ritengo opportuno fare riguarda il peso dell’inflazione che, come abbiamo più volte rilevato incide maggiormente sulle classi meno agiate, e non sembra adeguatamente affrontata nel NADEFR. Nel 2022 vi è stato un aumento dei prezzi al consumo di ben oltre il 10% per alimentari, trasporti, energetici e affitti, e seppure tale indice è rallentato nel 2023 a fine anno sarà comunque oltre il 5%. In un contesto socio-economico dove i salari, in particolare quelli pubblici, non crescono proporzionalmente non si può che prefigurare uno scenario dove la disparità non potrà che crescere ed essere più marcata. E ricordiamo che l’equità è uno dei principali determinanti di salute. Quasi tutte le politiche previste nel NADEFR assegnano invece la maggior parte dei contributi a rimborso, dunque presuppongono che i cittadini dispongano già del denaro: insomma piove dunque sul bagnato, come più volte ho sostenuto. E là dove invece vengono erogati contributi diretti questi fanno riferimento all’ISEE che inevitabilmente è più lento a registrare l’impoverimento.

In conclusione, per tutti i motivi sopra esposti, come Gruppo Misto – composto dalle forze politiche Open Sinistra FVG, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra – esprimeremo voto contrario in aula se non interverranno elementi nuovi che ci facciano rivedere le pesantissime critiche qui espresse a quanto attualmente è stato depositato.

Testo del NADEFR