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Honsell: dopo il caso Englaro la battaglia sul fine vita resta aperta

Si pubblica l’articolo tratto dal Messaggero Veneto a cura di Giacomina Pellizzari.

«A dieci anni dalla morte di Eluana Englaro dobbiamo combattere la battaglia per l’autodeterminazione. Non è possibile che Marco Cappato venga condannato per la morte di dj Fabo». Oggi Furio Honsell è un consigliere regionale d’opposizione, ma nel 2009 quando Eluana morì a Udine, era il sindaco della città. Senza la sua determinazione e il parere favorevole del Cda della Quiete, la donna in stato vegetativo da 17 anni non sarebbe mai arrivata «nella città dei diritti» bollata, in quei giorni, da chi contestava il testamento biologico, come «città della morte». Oggi come allora Honsell si batte per completare i passaggi previsti dalla legge sul fine vita. Lo stesso sta facendo l’associazione Luca Coscioni invitando i politici a correggere l’emendamento presentato dal M5s al decreto Semplificazioni secondo il quale le Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) «dovrebbero essere consegnate nel Comune di nascita e non più in quello di residenza, impedendo così a tutte le persone che nel corso della vita hanno cambiato residenza di depositare le proprie disposizioni anticipate di trattamento».

Honsell, assieme all’anestesista Amato De Monte e all’infermiera Cinzia Gori che accompagnarono Eluana nel suo ultimo viaggio, venerdì sarà all’università di Milano, per raccontare quei giorni al convegno organizzato dalla Consulta di bioetica e dal centro studi Politeia per aprire “Il mese dell’autodeterminazione”. È giunto il tempo per riflettere sulla centralità dell’autonomia nelle situazioni di fine vita e di approfondire i temi del suicidio assistito e dell’eutanasia.

«Il primissimo a parlarmi della vicenda Englaro – ricorda Honsell – è stato Renzulli dopo essersi reso conto che non era più possibile trasferire alla Casa di cura “Città di Udine” la donna in stato vegetativo da 17 anni». L’incontro con Beppino Englaro e la lettura della sentenza della Corte d’Appello convinsero il sindaco a garantire protezione politica all’operazione. «Spinsi moltissimo con la presidente della Quiete, Ines Domenicali, il suo vice Stefano Gasparin e il consiglio di amministrazione dell’azienda – racconta – perché venisse rimosso il sondino a Eluana». Non fu facile superare tutti i cavilli burocratici a iniziare dall’obbligo di seguire la lista di attesa per accogliere la nuova paziente. «Furono superati – continua Honsell – perché c’era una forte volontà politica che era la mia». In quella corsa a ostacoli presero parte anche i carabinieri dei Nas «che cercavano di sollevare eccezioni per bloccare tutto. Ero terrorizzato che uno di loro inciampasse nel tappeto per dire “la struttura non è a norma”». E quando l’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, voleva far approvare il decreto che dichiarava illegittimo il percorso, Honsell non esitò a chiamare il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. «”Presidente – gli dissi – guardi che stiamo seguendo il protocollo, è un modo per garantire giustizia a un padre e a una figlia”. Napolitano mi tranquillizzò: “Non si preoccupi, non firmerò quel decreto”».Honsell sa bene di non aver influito sulla decisione del Capo dello Stato, «ma il fatto che Napolitano ricevesse dal sindaco di Udine la certezza che era tutto a posto fu un motivo in più per non firmare». Tutte le mattine il sindaco incoraggiava la presidente e il direttore de La Quiete, Domenicali e Cattivello, ad andare avanti.

«Sotto il profilo etico non mi ero mai occupato della problematica, la mia fu una risposta umana a Beppino e sua figlia. Fu la sentenza a convincermi che stavo garantendo il diritto alla giustizia a Englaro. Un padre che aveva a suo favore l’autorizzazione a procedere ispirato direttamente dalla Costituzione che diceva: “Questa non è eutanasia”». Dalla sua Honsell sapeva di avere i valori della città medaglia d’oro alla Resistenza e il percorso seguito da Loris Fortuna per far approvare la legge sul divorzio. «Udine è sempre stata la città dei diritti, ma quello fu un momento politico difficile segnato dalle contestazioni. Tant’è che persi l’appoggio dei Cittadini e l’assessore Barillari uscì dalla maggioranza».

Relazione su ddl 37 di modifica alla Legge regionale 13/2018 sul diritto allo studio

Mentre mi accingo a scrivere questa relazione su un disegno di Legge relativo al Diritto allo Studio, il mio pensiero non può non distogliersi dalla condizione dei migranti a bordo della Sea Watch, che a meno di due miglia dalla costa italiana, sono costretti dal nostro Governo a vivere in condizioni di profondo abbruttimento, come deterrente contro futuri arrivi. È tremendo parlare di un diritto quando di questo diritto non potranno godere mai i tanti giovani in fondo al mare Mediterraneo, che hanno cercato in un inutile viaggio di poterne finalmente godere, o di quelli sulla Sea Watch, il cui destino è quanto mai incerto. Forse garantire a quei minori, anche se non residenti, questo diritto sarebbe l’esempio più educativo che potremmo dare ai nostri giovani!

Una cappa grigia e pesante sta calando sul mondo della Scuola in Friuli Venezia Giulia: il DDL 37, che va a modificare subdolamente e dopo meno di un anno la Legge regionale 13/2018.

Gli spunti chiari ed espliciti sono minimi. Alcuni sono pienamente condivisibili: come le precisazioni sugli interventi relativi alla sicurezza e la prevenzione degli incidenti sul lavoro e nella scuola (art. 15) o le precisazioni su come articolare la “scuola in ospedale e la didattica a domicilio” (art. 9). Ci si poteva fermare qui o tutt’al più includere solamente quelle normette di assoluto dettaglio, che precisano in modo maniacale tutti i passaggi burocratici dell’erogazione di taluni contributi e sembrano quasi un regolamento per scaricare tutti da qualsiasi responsabilità amministrativa come nell’art.36, che riguarda i fondi ex-provincia o nell’art. 33 che riguarda i contributi per la tutela della minoranza linguistica slovena.

Ma prima di entrare direttamente nel merito un rilievo metodologico sull’iter di questo DDL va fatto. Come commissari di Open Sinistra FVG e Partito Democratico siamo stati obbligati ad andare sopra le righe per rivendicare le audizioni dei portatori di interesse, ai quali non è poi stato lasciato tempo sufficiente per riflettere sulla proposta. La Commissione è stata poi costretta ad operare accavallando i lavori con quelli di un‘altra Commissione per poter giungere in modo sollecito all’approvazione. Ci si chiede quale fosse l’urgenza, se non quella simbolica di poter affermare che è stata approvata un’altra legge, indipendentemente dalla sua rilevanza, o dal voler marcare subito, politicamente, un restringimento regionale dell’orizzonte culturale della nostra scuola. L’alto numero di emendamenti presentati dopo le audizioni dalla stessa Assessore come, ad esempio, la reintroduzione delle misure a sostegno dei giovani con disturbi specifici dell’apprendimento, dopo che con grande meticolosità era stato puntualmente espunto in tutto gli articoli, danno la misura di come questa Legge sia stata poco meditata, se non nella sua volontà ideologica e soffra di improvvisazione.

Questa legge prevede una sottile, ma inesorabile cosmesi lessicale dell’articolato della L.R. 13/2018, che sulle prime può sembrare neutrale o addirittura un’irrilevante questione nominalistica, come negli articoli dove in ossequio a qualche ansia nominalistica ministeriale “l’alternanza scuola lavoro” da oggi verrà chiamata “percorsi per le competenze e per l’orientamento”. Ma ad un’analisi più attenta, si legge in controluce in questo DDL una curvatura che non è solamente linguistica. Con determinazione e coerenza vengono operate modifiche che tarpano le ali a quella creatività e pluralismo che sono la vera tradizione scolastica della nostra regione.

Già nell’articolo 1 la cosmesi lessicale della Legge fa sentire la sua cifra restrittiva. L’ampiezza dell’aggettivo “educativo” viene sostituita dal più materialistico “formativo”, che non sono per nulla sinonimi. I più liberi “percorsi” vengono trasformati in “processi”, diretti dall’alto, forse. Non si migliora però la prosa: permane l’uso infelice della parola “implementazione” immagino con il senso di “incremento” … “gli approcci integrati multidisciplinari” diventano pleonasticamente “integrati interdisciplinari”.  Né si risolve la problematica relativa al trasporto scolastico dei disabili che un tempo era svolto dalla Provincia e che adesso sembra venir attribuito interamente ai Comuni non si sa se con risorse adeguate. Spunti potenzialmente positivi, sono invece gettati creando discriminazione: come nel caso delle scuole che promuovono salute come se ve ne fossero altre non interessate a promuoverla. Spero si volesse dire che si intendeva fornire strumenti a tutte le scuole per promuovere stili di vita sani e sostenibili attraverso progetti di salute fisica, alimentare e ambientale.

All’art. 5 non ci si lascia sfuggire l’opportunità di esplicitare che certi servizi si erogano solamente agli studenti residenti in Regione, senza curarsi di come ovviare all’evidente discriminazione antieducativa, che si viene così a creare.

Tremenda risuona all’art.8 la sostituzione della parola “evitare” con “ridurre” nella frase “evitare la dispersione scolastica”, che adesso suona “ridurre la dispersione scolastica” come se ciò che si cerca di fare sia il regolamentare la quantità di dispersione. Forse il nuovo legislatore ritiene che un po’ di dispersione sia sin salutare. Pesante suona l’enfasi all’art. 10 dell’aggiunta ad un mero titolo, quello del Capo V della 13/2018, dell’aggettivo “non statali”. Dall’articolato era chiaro a chi ci si riferisse, ma evidentemente qui l’obiettivo è la visibilità.

Solamente in un frangente il lessico sembra segnare un’apertura culturale ed è all’art. 19 che modifica l’art. 32/13 sulla promozione della dimensione europea dell’istruzione, perché si parla di internazionalizzazione. Ma l’impressione è di breve durata, si rimane agghiacciati nel rilevare quale ne sia lo scopo, che è quello di promuovere la peggior ideologia anti-europea perché quella che era la “diffusione della dimensione europea dell’istruzione e della formazione” diventa “la diffusione della dimensione internazionale dell’istruzione e dell’educazione”. L’Europa è scomparsa, era forse troppo di sinistra?

Un ultimo commento lessicale va espresso relativamente alla tematica “tempo pieno”,“ tempo prolungato” che a partire dall’art. 20 si trasforma in “tempo integrato extrascolastico”. Era emersa nelle audizioni un’indubbia pluralità di interpretazioni, su cosa dovesse intendersi per tempo pieno e tempo prolungato. Questa era una questione non nominalistica da approfondire, ma non ce n’è stato il tempo. Cosa fa dunque il DDL 37?  Dopo un andirivieni emendamentale cassa tutto, coniando un neologismo: il “tempo integrato extra-scolastico”. Concetto sull’orlo della contraddizione in termini: se il tempo è integrato non può essere extra-scolastico, ma se è extrascolastico allora non si è ancora integrato. Il Legislatore non si perita di chiarire cosa intenda!

Uno dei momenti più drammatici del DDL si raggiunge all’art. 16/37 che va a modificare l’art.29/13 (inserimento scolastico degli alunni figli di immigrati): le iniziative scolastiche di carattere interculturale diventano iniziative volte alla valorizzazione dell’identità culturale regionale. Come se ve ne fosse una e non fosse il FVG di per sé, coacervo di identità diverse e proprio per questa sua pluralità culturalmente più fertile. L’interculturalità è l’unico strumento per l’inserimento. L’identitarismo, tanto caro a questa amministrazione, è stata invece un’ideologia nefasta.

Ho condotto fin qui un’analisi principalmente lessicale, perché penso che suggerisca la cifra secondo cui interpretare tutti gli altri cambiamenti apportati alla Legge 13, dal DDL 37 ovvero gli artt. 22 e 23. Cambiamenti che sono stati aspramente criticati durante le audizioni da tutti gli operatori della scuola. Consistono nell’abolizione degli articoli della Legge 13/2018 che riguardano le modalità della progettazione didattica e i progetti speciali.  Con il nuovo articolato forse saranno ancora possibili queste iniziative, ma alla progettualità verrà sostituita la convenzione. Cosa significa? Quelle ricche e straordinarie iniziative saranno ancora possibili? Forse sì, ma solamente attraverso un controllo maggiore anche da parte dell’Ufficio Scolastico Regionale. Vi sarà dunque maggior dirigismo, maggiore irreggimentazione, maggiore conformismo a detrimento dell’autonomia scolastica, pure sancita addirittura a principio costituzionale dopo la riforma del 2001. Nella stessa chiave va letta anche l’abolizione di finanziamenti alla Consulta degli Studenti. Tutto deve passare attraverso convenzioni e il vaglio dell’Ufficio Scolastico Regionale, che diventa così il nuovo deus-ex-machina della Scuola in FVG. Quanti progetti speciali, fondamentali per la reale crescita educativa e l’emancipazione dei nostri giovani, che erano ormai consolidati, dovranno ripartire da zero sotto una nuova forma? Quanti non ripartiranno o forse scompariranno? Poco importa a questo Legislatore, si ritorna al concetto di imprimatur. Alcuni tavoli vengono tolti, altri ne vengono costituiti. Vengono costruite anche delle reti, ma non sembrano strumenti per allargare l’orizzonte, quanto reti per impigliare chi non si adatta al processo. Non si parla infatti di contenuti.

In conclusione se la natura e l’evoluzione di questa legge diventeranno lo schema legislativo di questa maggioranza in tema di Scuola sono seriamente preoccupato. È stata caratterizzata da un iter legislativo quasi di rapina, compromettendo le audizioni. Non articola nuove idee ma opera ritocchi corrosivi e parassitari dell’impianto esistente così da rendere la struttura meno aperta alla creatività e alla fantasia.

Questa legge doveva dare energia e risorse nuove alla Scuola, favorendo la libertà di innovazione didattica. Al contrario, tutti quegli strumenti che erano a disposizione per sperimentarla vengono adesso irrigiditi.

Jacotot, all’indomani della Rivoluzione Francese, tra i primi a porsi seriamente il problema della pubblica istruzione universale, aveva individuato un bivio per le istituzioni scolastiche. Da un lato l’emancipazione, la promozione della fiducia in sé stessi, la promozione della curiosità, del gusto della ricerca e della scoperta, dall’altro l’abbruttimento, la creazione di distanze, che inculchino spiegazioni preconfezionate. Il DDL 37 vira purtroppo verso quest’ultima alternativa. Ben altro avrebbe dovuto essere un intervento sulla Scuola, che favorisse in una logica pluralista la liberazione e diffusione delle idee migliori!

La più grande fonte di disparità e di sofferenza nell’epoca contemporanea riguarda la conoscenza. Contrastare tale disparità è nostro dovere, ma anche la nostra unica speranza per un mondo migliore. Questa Legge non va in quella direzione.

Purtroppo, dopo questa legge la scuola sarà più di destra!

Scarica qui l’ultima versione fuoriuscita dalla Commissione e in discussione in Consiglio

Interrogazione su manifestazione apologetica neofascista a Gorizia

Il consigliere HONSELL,

PREMESSO che la Città di Gorizia è stata insignita di Medaglia d’Oro in data 14/05/1948 anche con riferimento alla lotta partigiana e al suo impegno per la Patria e la Democrazia;
CONSIDERATO che le basi della legittimità Repubblicana si fondano sui valori della Democrazia e nel ripudio dell’esperienza autoritaria fascista considerata momento di disonore nella storia nazionale e perenne monito per le generazioni future;
APPURATO che il 19 gennaio una rappresentanza della Decima Mas verrà ricevuta all’interno del Comune di Gorizia dai rappresentanti istituzionali: una manifestazione che si ripete di anno in anno, che nella scorsa edizione è arrivata al punto da vedere i saluti fascisti all’ingresso della delegazione nella Casa comune dei cittadini e sentire poi intonato, in una sala interna, l’inno di guerra della formazione collaborazionista delle forze di occupazione naziste;
PRESO ATTO che l’ANPI, intenzionato come nel passato a manifestare insieme alle forze democratiche cittadine e dell’intero Friuli Venezia Giulia, davanti al Palazzo Municipale, si è visto relegare in una piazza ben distante dal Comune, trattamento peraltro riservato anche a CasaPound, che ha ottenuto il permesso di manifestare in un’ulteriore e diversa piazza di Gorizia: decisione che realizza una sorta di par condicio impossibile ponendo sostanzialmente sullo stesso piano fascismo e antifascismo;
RITENUTO che le iniziative apologetiche in programma a Gorizia siano particolarmente inopportune giungendo a ridosso della celebrazione della Giornata della Memoria e che siano lesive dei principi previsti dalla Costituzione repubblicana e in particolare della specifica norma che al primo comma della XII disposizione transitoria e finale esclude che in Italia si possa ricostituire il partito fascista, oltre che delle leggi Scelba e Mancino;
RITENUTO ALTRESI’ doveroso riaffermare i principi che sono i capisaldi della nostra Costituzione, nata quale reazione dell’intero Paese devastato dalla guerra e dalla dittatura e fermo ripudio del fascismo, strumenti di garanzia della libertà del nostro popolo e dell’intera Europa;

interroga la Giunta

Per conoscere se la Giunta stessa non intenda, per quanto di competenza, effettuare le opportune verifiche e prendere le conseguenti iniziative in merito allo svolgimento dell’iniziativa di Casapound e della presenza istituzionale dell’Associazione Decima Mas nel Comune di Gorizia che, a giudizio dell’interrogante, si pone in contrasto con il dettato costituzionale, rassicurando i cittadini sul pieno esplicarsi delle garanzie antifasciste che sono i capisaldi della Costituzione e custodi della libertà e della democrazia delle cittadine e dei cittadini italiani.

“Ribellione” sindaci al “Decreto insicurezza”: qualche riflessione

La “ribellione” di Sindaci al “decreto insicurezza” di Salvini conferma come l’approccio esclusivamente ideologico con il quale il governo nazionale (e anche quello regionale) affrontano il tema dell’immigrazione sia sbagliato non solo sul piano etico, ma anche su quello pratico. Decidere senza un dibattito, senza coinvolgere gli operatori sul territorio, preoccupandosi più del marketing elettorale che delle conseguenze delle proprie scelte è altamente nocivo e questo emerge giorno dopo giorno. Basti pensare al tema della residenza, necessaria soprattutto per quella “sicurezza” costantemente rivendicata, dato che significa essenzialmente sapere “chi vive dove e facendo cosa”: gettare la gente nell’ombra, rendere irregolari i regolari è solo un enorme favore al mondo perverso del caporalato e della malavita, cosa della quale molti sindaci sono ben consapevoli e preoccupati.
E’ per questa ragione che mi auguro che la Corte Costituzionale si pronunci quanto prima sugli aspetti più controversi del decreto, non solo nell’interesse del decoro giuridico del Paese ma anche dell’ordinato governo delle nostre città e dei nostri territori.