Il titolo di questi provvedimenti legislativi è certamente attraente, purtroppo tutto si esaurisce nel titolo.
Non vi è ombra di dubbio che il nostro territorio soffra della cosiddetta “fuga di cervelli”, che provoca un impoverimento della forza innovativa e creativa della regione. Va subito detto che i cervelli in fuga sono cervelli formati, e formati soprattutto in discipline tecnico-scientifiche. La fuga avviene già dopo il conseguimento della laurea triennale e in modo ancora più significativo in percentuale, ma ovviamente molto meno in termini di valori assoluti, dopo il conseguimento della laurea magistrale.
È dunque corretto e lodevole porre il problema di cercare di trattenerli.
Altrettanto evidente è la scarsa attrattività extra-regionale dei programmi universitari della nostra regione, a parte certe aree del vicino Veneto. L’esperienza universitaria è spesso però il punto di partenza di futuri progetti di vita nella nostra regione. Sebbene vada rilevato che, rispetto a programmi ERASMUS, le nostre Università regionali hanno percentuali leggermente migliori rispetto ad altre università italiane, ciò avviene per lo più in uscita. Per quanto riguarda la mobilità in entrata invece si conferma anche in regione, che il sistema universitario italiano è drammaticamente poco attraente rispetto a quello di altri paesi della UE.
Purtroppo tutte le misure previste da questo DDL non affrontano in modo significativo le criticità indicate e dunque si rileveranno poco significative se non debolissime. Segnalo ad esempio che la laurea triennale non è nemmeno citata all’art.2, quando la conclusione di quell’esperienza formativa è il momento nel quale avvengono più numerose le fughe dei cervelli.
La fuga dei cervelli, che ripeto, sono “formati”, deriva dalle scarse opportunità di ricerca o specializzazione offerta in regione FVG, sia in termini di borse di dottorato di ricerca, che di opportunità professionali di ricerca & sviluppo del nostro sistema industriale.
È lodevole che la Regione FVG finanzi borse di dottorato. Incidentalmente ricordo che fui proprio io nel 1991, trent’anni fa esatti, ad ottenere le prime due borse di dottorato in Informatica dell’Università di Udine, dall’allora Presidente Sergio Cecotti, affinché si potesse raggiungere il quorum di tre borse, per costituire una sede autonoma di uno dei primi dottorati di ricerca in regione, staccandolo dal consorzio che fino ad allora lo vedeva insieme alle Università di Pisa e Genova.
Purtroppo sono però ancora troppo pochi i posti di dottorato disponibili rispetto all’offerta estera e al numero di nostri laureati desiderosi di fare ricerca. E ogni anno vediamo tanti dei nostri migliori laureati, soprattutto in materie scientifiche e tecnologiche, trasferirsi in Francia, Germania, Regno Unito dove invece le borse disponibili sono di un ordine di grandezza maggiore rispetto a quelle previste nel sistema italiano. Altrettanto si può dire delle borse di specializzazione medica.
Molte volte in questi 3 anni abbondanti di legislatura abbiamo sottolineato che solo un’azione energica che aumenti il numero di borse possa invertire la tendenza al brain drain e contribuire a costruire un’autentica reputazione nel mondo del FVG come Regione della Ricerca. Sarebbe un sogno, per esempio, poter utilizzare a questi fini le parecchie decine di milioni che invece sono annualmente sperperati da questa Regione, sulla base di fallaci paralogismi, per incentivare irresponsabili consumi di idrocarburi!
Inoltre, il sistema industriale regionale è molto orientato in attività da terzisti ed è quindi teso piuttosto a ridurre i costi che a investire in attività di ricerca e sviluppo autonome. Lo si è rilevato anche nelle audizioni alle quali non hanno purtroppo partecipato i rappresentanti del sistema industriale della ricerca, che peraltro io avevo richiesto. Ci sarebbe da chiedersi quanti sono i dottori di ricerca impiegati dal nostro sistema produttivo? E come fare ad aumentare tale numero?
Questo DDL non innesca nessun processo di emancipazione del nostro sistema industriale. Anzi non lo svezza nemmeno. All’art. 6 ci si preoccupa di cosmesi aziendale prevedendo un’elargizione alle aziende, in regime de minimis, per attività di reclutamento che tante aziende più sveglie invece fanno già da decenni, almeno all’Università di Udine. Azioni come quelle previste sono addirittura controproducenti perché non danno nessuna garanzia che quando finiranno i fondi, le aziende non smettano di attivarsi.
Ci vorrebbe ben altro per emancipare il nostro sistema industriale! Bisognerebbe smetterla di dare alle nostre aziende minuscoli contributi, e si dovrebbe invece accompagnarle a modelli di business più innovativo, magari reclutando dei business angels, affinché non continuino a svolgere attività da terzisti. Forse bisognerebbe riattivare lo spirito, o per lo meno le azioni della L.R. n. 11/2003, (Disciplina generale in materia di innovazione). Quella legge prevedeva consulenza e assistenza strategica anche per il reclutamento di lavoratori qualificati attraverso l’attività di consulenza delegata al sistema di parchi scientifici territoriali che sapevano interpretare le necessità concrete e specifiche per rendere competitivo il proprio territorio. Tale legge prevedeva anche riconoscimenti immateriali di prestigio per chi realizzava l’innovazione. Oggi purtroppo, anche il sistema dei parchi scientifico-tecnologici, che nella sua flessibilità e nella capacità di ibridare sistema industriale locale e sistema scolastico-universitario, aveva la sua forza principale, è stato ingessato e centralizzato ponendolo in mano ad un unico soggetto che spesso non ha né l’interesse né la tradizione di comprendere le specificità locali. Si è perduta così tutta la capacità rivoluzionaria in termini di valorizzazione della ricerca e di superamento dei vecchi paradigmi che quel sistema permetteva.
Con tristezza si rileva che questa legge non parla nemmeno dei parchi scientifici.
Le azioni necessarie per attrarre giovani sul nostro territorio non possono esaurirsi in meri micro-contributi alla loro stabilizzazione in Regione come quelli previsti all’Art.3.
Per rendere la regione Friuli Venezia Giulia attrattiva, in primo luogo bisognerebbe abbattere, la reputazione che si è fatta negli ultimi anni di regione chiusa, xenofoba e aporofobica, ovvero chiusa nella sua paura dei poveri. Sarebbe sufficiente guardare alla storia anche recente dell’Umanità, per scoprire che i territori che risultano più attrattivi di talenti lo sono diventati perché prima sono stati attrattivi verso le persone che avevano bisogni materiali da soddisfare.
Io stesso portai in quest’aula il caso di nostri studenti laureati che, per la mancanza del requisito di residenza non avevano diritto ai contributi prima casa. Anche nell’ultima Legge approvata in questa Regione si continua a introdurre limitazioni all’accesso ai contributi a persone che non risiedano da un congruo numero di anni in Regione, oppure a rendere quasi impossibile fare la domanda ai cittadini stranieri che non dispongano di documenti che certifichino il non possesso di beni all’estero. Poiché ciò non viene richiesto per i beni all’estero dei cittadini italiani tale misura è stata infatti giudicata addirittura incostituzionale.
Come ve lo posso dire che la cosiddetta classe creativa è sempre progressista e dunque non è attratta da un luogo claustrofobico? La meritocrazia non si può misurare all’ingresso come vorrebbe questa legge. I talenti si formano nei territori dove c’è un humus culturale aperto, solidale, libertario prima ancora che liberista. Si pensi solo a come e dove è nata l’informatica…
Per tutti questi motivi abbiamo sempre contrastato le misure di chiusura che invece sono state il vanto di questa amministrazione regionale. Con questo DDL l’Amministrazione si vorrebbe aprire all’aristocrazia professionale? È patetico.
Per iniziare un’azione di autentica attrazione bisognerebbe invece, come chiediamo da anni, non finanziare i privati, ma il pubblico. Ad esempio introducendo forti risorse che permettano alle Università di ridurre le tasse universitarie. Rispondere a questa richiesta con la considerazione che l’alta formazione non è competenza primaria della Regione vuol dire confondere un obbligo con una visione strategica. Soddisfare le richieste delle norme sul diritto allo studio è solo il minimo sindacale!
Solo trasformando la nostra regione in una regione attrattiva anche dal punto di vista dell’alta formazione potremo creare quel volano che potrà vedere i nuovi arrivi di alte professionalità.
Importante infine sarebbe inquadrare tutte le azioni coerenti con il titolo di questo DDL in modo inter-assessorile, raccordando l’azione della Direzione Lavoro con quella dell’Università e Ricerca, con quella della Cultura, con quella dell’Ambiente, con quella della Salute e tutte con l’ufficio Agenzia Lavoro & SviluppoImpresa Fvg. Così come era multi-assessorile l’unica legge che abbia avuto la nostra Regione in materia di innovazione, ovvero la L.R. n. 11/2003.
Importante sarebbe inoltre raccordare questa legge con attività transfrontaliere, anche in vista di Gorizia Capitale Europea della Cultura 2025. L’esempio della decisione di non dare il patrocinio al Pride transfrontaliero è un altro tipico esempio di chiusura, che conferisce uno stigma negativo alla nostra Regione. Quale alta professionalità dovendo scegliere tra vivere a Gorizia o Nova Gorica opterebbe per vivere nella prima?
Coerenti nel nostro consueto atteggiamento costruttivo proporremo emendamenti e ordini del giorno, ma riteniamo che difficilmente un DDL, che affronta tematiche così importanti in modo così marginale, possa incidere su quella che purtroppo è una dinamica che vede il nostro territorio soprattutto negli ultimi anni isolarsi sempre di più e attrarre sempre meno, impoverito sotto il profilo culturale e della ricerca, impacciato da pastoie e norme ideologiche, territorialmente sempre più squilibrato e marginale in Europa.
Abbiamo votato contro questo DDL perché è una misura che cerca di “chiudere la porta del recinto quando l’armento è già scappato” anzi che si ostina a mettere zeppe perché la porta rimanga aperta.
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