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Relazione Honsell su Ddl 70 – Riforma sanità

Ha senso redigere una Legge se questa: (1) disciplina dinamiche nuove, ovvero (2) delinea metodi nuovi per risolvere criticità persistenti, ovvero (3) individua indicatori e obiettivi precisi da raggiungere. Una legge sulla sanità avrebbe potuto, nell’ordine, (1) essere innovativa nell’affrontare la disparità in salute, la medicina di iniziativa, la prevenzione; (2) specificare nuove strategie organizzative per integrare i percorsi dei pazienti sui versanti sanitario e socio-sanitario (presa incarico e continuità assistenziale), per superare l’affollamento dei pronto soccorsi, per migliorare il sistema emergenza-urgenza, per controllare il buon uso degli antibiotici e contrastare l’antimicrobial resistance (AMR); (3) fissare obiettivi quantificabili relativi alla riduzione omogenea delle liste di attesa, alla gestione dei servizi domiciliari,  o al contenimento delle spese superflue.

Ebbene, questo Disegno di Legge non ha nessuna delle tre funzioni. È una legge assolutamente generica, nella quale non vi è nulla aldilà di un’enunciazione di principi e di buoni propositi, nulla di concretamente innovativo che non fosse già contenuto nella legislazione vigente. È ovvio, dunque, dedurre l’inevitabile conclusione: questa legge è sostanzialmente inutile a parte la valenza mediatico-propagandistica, a cui ci ha purtroppo abituati questa Giunta che potrà cancellare qualsiasi riferimento ad atti normativi della legislazione precedente, perché seppure riproducendoli, li articola in ordine diverso.

Certamente non si può non essere d’accordo sugli importanti principi della moderna accezione di salute pubblica enunciati, sebbene, e sorprendentemente, non ci siano tutti. Non si cita il tema della disparità in salute, che negli ultimi decenni è stato riconosciuto come un determinante di salute collettivo fondamentale ancorché molto difficile da riconoscere e sul quale è molto problematico incidere. Al concetto di equità questa legge preferisce il concetto di omogeneità di accesso, che è nozione più burocratica che valoriale e certamente passiva.

Il periodare ambizioso, ma in ultima analisi piuttosto sterile, di questa legge, ci consegna alcuni articoli che non si possono non definire altro che dei truismi, come gli art. 32, 33, 36. Il primo proclama la collaborazione con le Università, come se ciò non avvenisse già, ma si guarda bene dall’introdurre dei principi per superare le zone grigie relative alla piena realizzazione di autentici teaching hospitals. Nessun indirizzo viene offerto per la redazione dei futuri protocolli di intesa. Il secondo autorizza progetti di collaborazione sanitaria transfrontaliera. Ma sono decenni, ormai decenni, che si fanno tali progetti! Il terzo rimanda a delibere di Giunta generiche senza intaccare le cause dell’insufficiente e a volte inefficiente informatizzazione del sistema. Altro articolo clamoroso, cospicuo per l’assenza di contenuto malgrado le roboanti premesse della Legge, è l’Art. 20 sulla Prevenzione. Ci si sarebbe aspettati da una legge che ha l’ambizione di venir ricordata come una “riforma”, uno slancio originale, speciale, volto a cogliere, sostenere e sviluppare le molte buone pratiche in Regione al riguardo e invece… c’è un banalissimo rimando alla normativa nazionale.

La delusione principale di questa legge è l’assenza di qualsiasi tentativo di sviluppare un sistema-salute integrato affinché la nostra Regione diventi punto di riferimento nazionale e internazionale nell’attuare in modo innovativo la salute-in-tutte-le-politiche, la cosiddetta health-in-all-policies tanto enfatizzata dall’OMS, oppure le più ambiziose whole-of-government approach o la whole-of-society approach alla salute.

Ma veniamo agli aspetti più pericolosi di una legge come questa, che nomina una miriade di strutture e possibili articolazioni organizzative senza darne definizioni precise, di una legge che ha più il piglio di un’enciclopedia del possibile ma che dimostra di non avere mai il coraggio di fare chiarezza sui ruoli, di dire veramente chi fa e che cosa. Proliferano enti e concetti vaghi: quello di dipartimento delle cure distrettuali, di unità di assistenza protratta, di presidio ospedaliero bipolare, di strutture uniche regionali, di strutture assistenziali intermedie (quanti? con quale autonomia?). Non elaboro qui il concetto che una legge quadro non dovrebbe mai presentare tali hapax legomena, lo smarrimento che provoca il nominare un ente una volta sola in un testo, andrebbe forse lasciato fare a poeti e filologi al celeberrimo mare navigerum lucreziano oall’altrettanto famoso snotgreen sea joyceano che ammiccava al misterioso oinops pontos omerico.

Non è chiaro come vengano risolte le criticità del hub-and-spoke: sono una struttura o sono più semplicemente delle funzioni, ma allora come viene garantita la qualità delle strutture di contesto?

Ma forse, tanta genericità e vaghezza si giustifica quando ci si rende conto che questa legge di fatto è una meta-legge. Costituisce quasi un paradosso deontico: legifera che non si legifera. Sviluppa infatti perfettamente il principio della delegificazione. Sono decine gli atti di giunta, i regolamentari, gli atti aziendali che prevede vengano varati, con sovente imprecisate periodicità, per risolvere le problematiche concrete e autentiche oggi esistenti. Questa legge è frutto di una concezione della politica, che abbiamo già visto praticare da questa Giunta nella legge sugli enti locali, che abdica al ruolo di guidare i processi, che invece si ritrae quasi dicendo: “tutti i problemi sono solamente problemi amministrativi, da lasciare in massima parte ai dirigenti, a loro va la responsabilità”. Ma se si pensasse che questa legge sia ispirata al più rigoroso spirito Bassaniniano ci si sbaglierebbe, perché la “Bassanini” prevede sì che la politica rinunci all’esecutività, ma non all’indirizzo e soprattutto non al controllo. Nel quadro vagamente definito di questa legge si è perduta la terzietà del controllo e soprattutto, non facendo riferimento ad indicatori qualsivoglia, si è perduto di vista che cosa si debba controllare. Gli indicatori espliciti mancano completamente, contravvenendo così anche a quanto la Corte dei Conti ha esplicitamente richiesto.

Il tralasciare le maggiori criticità ad atti amministrativi successivi, oltre ad essere un approccio un po’ magico-superstizioso alla gestione, presenta però un rischio molto concreto. Le leggi non sono impugnabili. Affrontare invece per delibere o atti aziendali gli aspetti critici presta il fianco ai ricorsi al TAR, che sabbiamo bene, possono paralizzare qualsiasi processo amministrativo.

Per tutti questi motivi come OPEN-Sinistra FVG sono assolutamente contrario a questa legge.

Ancora qualche punto di criticità.

Della scarsa chiarezza dei ruoli si è già parlato, ma la questione diventa grave nell’incapacità di mettere mano alla vera organizzazione distrettuale Artt. 15-18. Si conferma la sostanziale disomogeneità dimensionale, che è la prima sorgente delle difficoltà attuali, introducendo addirittura forme aggregate di committenza, produzione e controllo di servizi.  Ma così si introduce un ulteriore elemento di confusione che va contro l’interesse dei percorsi dei pazienti.  La vaghezza nella definizione di queste forme aggregative lascia poi aperta la possibilità di ingressi pesanti del settore privato a scopo di lucro nella cosiddetta “produzione” dei servizi.

Preoccupazione desta poi l’Art. 17 sul Dipartimento di salute mentale, in ultima analisi disciplinato da mero atto aziendale, oppure con non meglio precisate delibere di Giunta. Insomma strutture consolidate con bagaglio di esperienze e modalità importanti ridiventa de iure condendi.

Ancora più farraginoso del passato è il meccanismo di coinvolgimento degli enti locali nella definizione dei programmi e piani sanitari e sociosanitari accennato nel TITOLO IV. Diventa ancora più palese la mancanza di momenti di sintesi. La condivisione su area vasta non può diventare solamente un adempimento magari attribuito al CAL.

Tutto il tema delle reti al Capo V del TITOLO III non è nulla che una serie di titoli.

Questa legge è una legge ipocrita. È espressione di una parte politica che in campagna elettorale fece molte promesse, aizzando cittadini contro la Legge 26/2015 fino a farne una bandiera politica. Ma l’esito non solo disattende completamente tali promesse (il sistema emergenza-urgenza Art. 30, tanto per fare un esempio), ma essenzialmente riconferma proprio la legge che era stata tanto disprezzata da chi oggi è al governo regionale. Per non dire che addirittura alcuni settori, come quello dell’organizzazione delle attività dei Medici di Medicina Generale, fa sostanzialmente un passo indietro all’insegna del ‘liberi tutti’, che crea le condizioni per l’improvvisazione e la disomogeneità.

Forse l’estensore di questa legge non sarà chiamato a rispondere della scarsa coerenza politica, ma certamente il sistema sanitario ne uscirà disorientato. Questo articolato è deludente e stupisce la mancanza di chiarezza nel definire i ruoli. Ciò è ancora più grave perché l’ultimo anno di gestione commissariale sul versante sanitario sostanzialmente non ha prodotto praticamente nulla per sostanziare gli enunciati della centralità del paziente e della continuità delle cure.

Il Friuli Venezia Giulia è soprattutto lontanissimo da un sistema salute regionale integrato che veda tutte le professioni mediche e sanitarie, il privato sociale, le associazioni, i sindacati e gli altri portatori di interesse coinvolti e valorizzati dalla fase della formazione a quella della pianificazione.

In conclusione, il vasto e preziosissimo lavoro di riflessione ed elaborazione che è stato innescato presso la comunità regionale dei portatori di interesse attraverso il percorso delle audizioni in Commissione risulta assolutamente sprecato. Dopo una tale attività, vista anche l’elaborazione critica emersa e il lavoro propositivo presentato si sarebbe dovuto per onestà intellettuale rispondere a tutte le questioni sollevate. Nulla di tutto ciò e avvenuto a parte una minima cosmesi dell’articolato, che in ultima analisi l’ha reso ancora più vago e dipendente da futuri atti deliberativi, ma certamente non normativi. Peccato! Si è persa un’occasione importante e ancora una volta si è dimostrato come leggi di impatto dovrebbero avere la loro sede naturale di sviluppo in Consiglio e non venire elaborate all’esterno e poi approvate a colpi di maggioranza, come purtroppo avverrà.

Scarica qui il testo del Disegno di Legge approvato dalla Commissione

Incontro a Trieste sulla riforma sanitaria: 28 novembre, ore 17.30

Riforma sanitaria: considerazioni e proposte

Giovedì 28 novembre, dalle ore 17.30 alle 19.30, a Trieste in Sala Tessitori – Piazza Guglielmo Oberdan 5, è previsto un incontro pubblico sul tema della “Riforma sanitaria: considerazioni e proposte” organizzato dai gruppi consiliari del PD e del Misto / Open-Sinistra FVG.

Oltre ai contributi introduttivi dei professionisti del settore sono previsti gli interventi di Roberto Cosolini (consigliere Gruppo PD FVG) e di Furio Honsell (consigliere Gruppo Misto – Open FVG).

Honsell su contro-riforma sanità: “Il progetto resta sempre fumoso”

Alla seconda uscita della presentazione ufficiale del “Documento dei Saggi” sulla contro-riforma della Sanità regionale di Riccardi, il progetto invece di chiarirsi è risultato più fumoso.
Positivo certamente il coinvolgimento di esponenti prestigiosi del mondo della sanità regionale in qualità di esperti, purtroppo, dal confronto con i portatori di interesse della mondo sanitario sono emersi due aspetti che rendono l’embrione della controriforma ancora fragile. Il primo è l’assoluta mancanza di dati e quindi a maggior ragione di simulazioni quantitative sui modelli proposti. Nella campagna elettorale di Open Sinistra FVG avevamo sottolineato come fosse preliminare a qualsiasi contro-riforma l’istituzione di un osservatorio per valutare anche quantitativamente gli effetti positivi e/o le distorsioni della riforma. Ci si ritrova invece ancora una volta a dover ascoltare idee progettuali, ancorché esposte da protagonisti del mondo della sanità, tutto sommato personali, impressionistiche. Prova ne è il fatto che vengano delineati due modelli che sono abbastanza antitetici. E qui emerge anche la seconda criticità, ovvero la composizione del comitato di esperti/saggi. Mancano tra i saggi i rappresentanti di tanti settori importantissimi, dai rappresentanti delle varie categorie di professionisti ai rappresentanti delle associazioni scientifiche e mediche. E’ dunque inevitabile che le proposte siano pregiudizievoli.
Il rischio più grave che corre la regione è di vedere azzerato quell’aspetto della riforma che invece in tutta Europa viene visto come il futuro ovvero l’integrazione tra strutture ospedaliere per acuzie ed emergenze e il territorio. Quello che mi sembra mancare è quindi la direzione politica della contro-riforma, che non può ridursi a una mera cancellazione del vigente assetto e su questo tema noi siamo disponibili a collaborare nella convinzione che l’assetto della Sanità sia un tema troppo importante per essere oggetto di polemica spicciola tra le forze politiche.
Speriamo che nell’attesa della controriforma, i cui tempi di gestazione sembrano lunghi, vada avanti almeno la riforma!

Per un futuro del sistema sanitario regionale: valorizzare qualità professionali e umane del personale

Il tema della Sanità è centrale nella campagna elettorale di queste settimane e la mia convinzione – come cittadino e come amministratore – è chiara: valorizzare le qualità professionali e umane del personale medico infermieristico e ausiliario; procedere a un ampio piano di assunzioni di figure professionalmente qualificate per riportare a regime il sistema; ribadire sempre e comunque l’assoluta centralità della dimensione universalistica e pubblica del sistema sanitario regionale.

Dal sondaggio pubblicato su “Il Messaggero Veneto” in data 8 aprile emerge, infatti, come la qualità del sistema sanitario regionale sia considerata una delle priorità più urgenti nella percezione dei cittadini e questo non stupisce certo se consideriamo come – anche dal funzionamento del sistema sanitario – vengono a dipendere il futuro, la qualità della vita e la sicurezza di noi stessi e delle persone e noi più care e vicine.

Nei miei 10 anni da sindaco di Udine ho costantemente operato per salvaguardare il ruolo e la qualità delle strutture ospedaliere della nostra città, cercando di fare quanto possibile per impedire che la diminuzione di risorse in questo settore così cruciale, così come il continuo accavallarsi di norme di rango nazionale o regionale portasse a uno scadimento nel servizio erogato alla comunità. Su questo è fondamentale dire alcune parole di verità: una riforma sanitaria regionale era indispensabile; quella del 2014 ha una impostazione e una direzione condivisibili, ma la sua realizzazione si è rivelata troppo spesso calata dall’alto, priva delle necessarie attenzioni alle esigenze dei singoli territori e poco attenta a un dialogo costruttivo con gli operatori del settore e con la comunità dei pazienti. A questi difetti sarà necessario porre quanto prima rimedio.

Dopo la fase della ristrutturazione organizzativa deve ora aprirsi quella del rilancio degli investimenti, puntando sulla valorizzazione del patrimonio di competenze, professionalità e umanità esistente all’interno del comparto, così come sulla definizione di una chiara modalità di valutazione dei risultati finora conseguiti (soprattutto in termini di qualità dei servizi come i tempi di attesa, ecc) dalla riforma, apportando se il caso i necessari aggiustamenti di rotta. A questo si collega e si affianca la necessità di procedere a un ampio piano di assunzioni perché l’esternalizzazione dei servizi dovrà diventare l’assoluta eccezione.

Salute inoltre non significa solamente assenza di malattia accanto al benessere fisico deve tenere conto anche del benessere mentale, relazionale ed emotivo. Prevenzione e cura devono procedere in modo parallelo. Vanno ridotti assolutamente i rischi di disabilità derivanti da cadute o stili di vita patologici, soprattutto in una società come la nostra nella quale l’aspettativa di vita cresce e, positivamente, c’è un invecchiamento della popolazione. Nei dieci anni da sindaco ho operato sviluppando le iniziative di prevenzione della rete Città Sane dell’OMS, portando Udine a diventare modello europeo di invecchiamento attivo.

Il nostro Paese è stato per anni al vertice nella qualità del servizio sanitario pubblico e la nostra Regione al vertice di quello nazionale. L’attenzione alla cura, alla prevenzione, alle politiche di inclusione e integrazione, al ruolo degli anziani, ai bambini, molte di queste esigenze fondamentali per una comunità realmente aperta e democratica, che “non lasci nessuno indietro” passano proprio per il funzionamento degli ospedali, per il presidio talvolta eroico dei medici di base, per i servizi sanitari di prossimità. Per questo la Regione deve andare fiera di quanto ha già e impegnarsi per migliorare ulteriormente l’esistente. Il CRO, il Burlo Garofolo, il Gervasutta sono centri di eccellenza di livello internazionale nei propri ambiti specifici,  e vanno mantenuti tali. Ma la qualità della vita dei pazienti deriva anche da aziende ospedaliere territoriali di eccellenza di servizi domiciliari diffusi, anche nelle aree periferiche come la montagna, facendo attenzione alle individualità e a percorsi di continuità assistenziale. Il trattamento delle acuzie non può essere inoltre efficace se non è affiancato da altrettanta attenzione alle cronicità da un lato e alla riabilitazione dall’altro.