Legiferare nella direzione di questo DDL è quanto mai importante e urgente. Numerose e gravi sono state le crisi aziendali che hanno colpito il FVG, con migliaia di posti di lavoro perduti, a causa della fragilità delle politiche di innovazione e delle strategie imprenditoriali e di visione della nostra comunità. Quello della Safilo è un caso emblematico per tutti. In conclusione quell’azienda ha deciso di chiudere definitivamente solamente il sito in FVG.
L’impatto di queste crisi sui lavoratori, e dunque sulla comunità, sarà sempre più grave.
La situazione poi non potrà che peggiorare a medio e lungo termine, a causa dell’accelerazione del riscaldamento globale di origini antropiche già drammaticamente in atto. A breve termine a causa dell’evoluzione dell’epidemia Covid-19, la situazione poi è gravissima in quanto il nostro paese dipende per approvvigionamenti e mercati dalla Cina in misura molto significativa. Inoltre la straordinaria enfasi mediatica delle misure prese contro la diffusione del virus ha avuto un effetto estremamente negativo sul turismo e sui prodotti e cittadini italiani.
Va quindi subito dichiarato che in questa legge si dovrebbe aggiungere un nuovo Capo che preveda misure per il sostegno immediato a imprese colpite indirettamente dagli effetti del Covid-19. Queste misure dovrebbero però tutelare soprattutto i lavoratori, compresi quelli stagionali del turismo, non solo le imprese.
Tuttavia, essendo questo DDL orientato in una direzione importante, non verrà ostacolato nel suo iter consiliare, dal nostro gruppo.
Delude però, ma soprattutto preoccupa, il fatto che questo DDL sia decisamente poca cosa di fronte all’enormità dei problemi che vuole affrontare. Questi richiederebbero un mutamento di “paradigma”, nel senso di Kuhn, nell’interpretazione e gestione della crisi che ci sta colpendo. Ci troviamo qui invece, di fronte a misure concepite in uno spirito, ancorché apprezzabile, essenzialmente tradizionale; è dubbio che possa avere effetto al di là di elargire medicine per curare i sintomi, sotto forma di contributi a varie tipologie di imprenditori perché possano continuare con il loro business as usual. Immaginare che ci sia ancora una via per ritornare alla situazione pre-2008 è un’illusione che avrà conseguenze nefaste. Questo DDL appare infatti più un’ennesima Legge di Manutenzione, una omnibus, che una legge di riforma che davvero rilanci l’impresa. La prova che questa legge non scuota i pregiudizi e i modelli del nostro sistema produttivo e turistico è emerso chiaramente in Commissione, dove si è registrato un generale apprezzamento delle misure proposte. Tutti apparivano soddisfatti perché illusi con queste nuove misure di poter continuare a fare quello che hanno sempre fatto. Ma ciò purtroppo non funziona e non funzionerà più. In Commissione nessuno si è sentito messo in discussione, o ha sentito messo in discussione il suo modo di operare; questo va letto con preoccupazione, perché non è incrementando le risorse senza incanalarle in nuove direzioni che si può superare la crisi. È solo un’illusione, comprensibile per l’imprenditore o il rappresentante di un interesse, ma colpevole per la politica. Le crisi presenti e future non si superano con misure sintomatiche finanziariamente quantitative: queste non curano la malattia. Ci vogliono misure qualitativamente nuove che obblighino tutti a mettere in discussione in primo luogo i propri modelli di comportamento e sviluppo.
Con lo spirito, che ha visto la nostra attività di opposizione come Open-Sinistra FVG essere sempre costruttiva, anche per questo DDL, contribuiremo con osservazioni critiche, emendamenti e ordini del giorno. Vogliamo evitare che questa legge, certamente non dannosa, sia in larga parte inutile e pericolosa non solamente per il tempo prezioso che intanto fa perdere, ma per la debolezza con la quale guida il sistema verso una sua trasformazione.
Ecco le osservazioni critiche principali:
- Non di sviluppo si dovrebbe parlare. L’urgenza della sostenibilità ci dovrebbe aver ormai insegnato che ci sono limiti precisi allo sviluppo, e che lo sviluppo di per sé può essere anche dannoso, se non è guidato. Si dovrebbe parlare invece di progresso. ProgressoImpresa sarebbe l’appellativo migliore per questa legge. Il progresso è infatti illimitato e porta con sé l’idea di cambiamento di modello di sviluppo. Questa non è una legge che ci permetterà di innescare un’era di progresso, del quale abbiamo invece profondamente bisogno. Troppo generiche e vaghe sono le indicazioni sullo sviluppo sostenibile, l’economia circolare, la transizione energetica, i nuovi materiali e la digitalizzazione, come vengono proposte negli articoli 39-40, 48-49 nonché 19-20.
- Il cambiamento di paradigma di cui il Friuli Venezia Giulia ha bisogno si realizza attraverso una forte spinta verso le imprese innovative. Questa legge, invece, soffre del limite dell’azione politica attuale: è una legge settoriale che irrigidisce il sistema in tante canne d’organo, in silos comunicanti con difficoltà.
Non favorisce l’ibridazione e l’azione inter-settoriale, che è alla premessa dell’innovazione, è una legge tradizionale. Faccio alcuni esempi: stiamo assistendo alla demolizione del sistema distribuito dell’innovazione, realizzato nei decenni scorsi con i parchi scientifici e tecnologici, per mettere tutto in capo ad un ente pubblico di ricerca, Area Science Park, che ha contatti con il sistema produttivo solo per gli aspetti di punta. Non mi risulta che sia intervenuta significativamente in Commissione ad esempio, come invece mi sarei aspettato. Nessun articolo di questa legge parla di come l’impresa debba raccordarsi con il sistema della ricerca e dell’innovazione. Altrettanto grave è la mancanza di coordinamento con il sistema della formazione, c’è solo un fragilissimo riferimento nell’art. 45. Ma non c’è solo la formazione delle maestranze, c’è soprattutto quella degli imprenditori stessi. Sono loro l’anello debole del nostro sistema: spesso infatti, la fragilità della nostra imprenditoria deriva proprio dalla mancanza di preparazione dei vertici; molte delle crisi aziendali sono crisi derivanti dalla globalizzazione e dal passaggio generazionale.
Il settore dei servizi alla persona e medicale non è nemmeno menzionato quando invece sarà questo, anzi già lo è, la nuova frontiera. (Ma qui già si vogliono chiudere tutte le frontiere!). Per ovviare a questa mancanza di visione inter-settoriale della Direzione ho dovuto io stesso chiedere che venissero invitati alle audizioni i parchi e le Università.
- Per superare la frammentazione a silos che è la matrice di questa legge, ma che ne sarà anche l’effetto, ci sarebbe dovuto essere un Capo che prevedesse un’azione congiunta inter-assessorile. Si dovrebbe prevedere che le direzioni delle attività produttive e turistiche, della salute, della formazione e il lavoro, della digitalizzazione, agissero in modo coordinato.
- Nell’Art. 21 che tratta di imprenditoria giovanile e start-up, un articolo generico e antologico, manca qualunque riferimento all’imprenditoria innovativa e agli spin-off della ricerca o alla brevettazione. Mai si affronta nel DDL il tema della silver economy che, dopo quasi due anni che ne parlo, è stato almeno ripreso dall’Assessore alla Sanità; forse, avrebbe dovuto ascoltarmi anche quello alle Attività Produttive. Questa è una tematica importante che deve essere raccordata anche con gli articoli 43-45 in una più ampia trattazione delle strategie e Agenda 2030 della UE e dell’ONU.
- L’internazionalizzazione che è parte integrante della strategia di progresso è lasciata pericolosamente all’iniziativa opportunistica dei singoli. Pericoloso è l’Art.22 in particolare il comma 2 che nella modifica della legge 2/1992 Art.24 Comma 3.a) promette sostegno per attività di internazionalizzazione senza nessun freno a quei fenomeni di delocalizzazione da parte di imprenditori italiani in luoghi dove la manodopera è sottocosto, che invece tanto hanno pesato negativamente sul nostro sistema socio-economico. Ma soprattutto gravissima è la mancanza di coordinamento con le cabine di regia, le autorità di gestione e le altre strutture europee e di raccordo con l’Europa. Questa legge avrebbe dovuto essere intrisa di riferimenti al green deal. La direzione attività produttive avrebbe dovuto raccordare ogni azienda in un framework di ricerca e sviluppo europeo. La legge avrebbe dovuto pianificare le attività dell’autorità di gestione UE regionale per adattare il green deal alle nostre esigenze di progresso. E invece non se ne parla proprio! Sembra che la Regione FVG sia uscita dalla UE, o perlomeno lo abbia fatto la direzione attività produttive. Dov’è finita l’autorità di gestione?
- Molti articoli in questa legge come l’Art.21 e 18 sono troppo vaghi. Quest’ultimo poi, sull’ingegneria finanziaria, denuncia non senza una certa ingenuità, lo stereotipo che lo strumento finanziario possa da solo, genericamente, innescare le idee imprenditoriali.
- Questa legge soffre anche di un’altra sindrome che potrei definire quella dell’ipertrofia dell’intermediazione. Esistono le due Università, la SISSA, esistono i centri di ricerca e i parchi scientifici e tecnologici. Ma non vengono coinvolti, come se non si dovesse disturbare chi lavora isolato. In questi giorni si depotenzia invece Friuli Innovazione e si incentiva il Ditedi. Forse prima di delegare ad un altro soggetto, che sia Area Science Park per quanto concerne l’innovazione o il Ditedi per quanto concerne la digitalizzazione, la Regione dovrebbe dare indicazioni precise su cosa vuole che venga fatto. Si dovrebbe redigere un piano regionale dello sviluppo della ricerca e della digitalizzazione a cui partecipino rappresentanti di tutti i portatori di interesse. Solamente una volta definito il piano, si trovi l’agenzia che lo implementi. Nel DDL 80 avviene il viceversa. Si trova l’agenzia e buonanotte! Qui si mette su un piedestallo un’agenzia sperando che, come per magia, decida la cosa giusta da fare. Inevitabilmente darà risposte secondo i propri stereotipi. La politica non può abdicare le scelte ad organismi terzi. La politica ascolti certamente i tecnici, ma prenda le decisioni in prima persona. Esempio di questa ipertrofia è la nascita di un nuovo cluster, nell’assenza di una legge generale sui cluster. I cluster dipendono da una pluralità di direzioni. Andrebbe fatta una legge unitaria che imponesse un coordinamento a queste direzioni. C’è un rischio concreto che aggiungendo un altro cluster si aumenterà la confusione ordinamentale e operativa.
Veniamo infine alla questione più seria e conclusiva: la mancanza in questa legge di obiettivi e di indicatori quantitativi per misurare se questi sono stati raggiunti. Certamente è ben nota la legge di Goodhart “When a measure becomes a target, it ceases to be a good measure.” (Quando un indicatore diventa una misura, allora cessa di essere un buon indicatore – che è l’analogo colto, del nostro proverbio “Fatta la legge trovato l’inganno”) non suggerisco quindi di fissare obiettivi che possano alterare lo sviluppo. Ma ci troviamo di fronte una legge che nella metodologia di esplicazione e controllo nasce secondo un paradigma vecchio: erogare più risorse sperando che gli imprenditori, operando nella massima libertà, abbiano buone idee. Ma, esattamente come c’era bisogno di fare una legge che facesse progredire la nostra Regione verso un nuovo paradigma di progresso, così c’era bisogno di una legge che incarnasse un nuovo paradigma legislativo. Il DDL 80 invece certamente non è una legge di riforma ma è meramente una legge di Manutenzione, ancorché dignitosa. Ed è una legge di sistema, solamente nella misura in cui parlare di tutto, come in un’omnibus, di fatto tratta l’intero sistema.
Come è stato detto in questi giorni, rispetto ad un altro grave problema, la window of opportunity, ovvero la finestra per agire…però si sta chiudendo.