La riforma degli Enti Locali (UTI) è indispensabile per affrontare la complessità dei nostri tempi, garantendo comunque la qualità dei servizi. Tuttavia, il suo iter di realizzazione è stato sicuramente problematico, anche perché ha sostituito troppo spesso il principio di collaborazione con quello di autorità. Essa va perciò rivista in un’ottica maggiormente partecipativa, non per tornare al passato, perché la razionalizzazione degli enti locali è urgente per garantire la qualità dei servizi, ma per ripristinare un clima di collaborazione e fiducia tra Regione ed enti locali individuando soluzioni razionali e realizzabili per l’utilizzazione del personale.
La riforma della Sanità regionale era indispensabile e i principi sicuramente condivisibili. Tuttavia l’applicazione è risultata faticosa sul piano organizzativo perché hanno spesso prevalso resistenze di poteri consolidati e l’effetto inerziale sugli assetti organizzativi di un’impostazione “ospedale-centrica” che ha ostacolato lo spostamento di energie e risorse sul territorio. L’assetto istituzionale, derivato da valutazioni legate a equilibri politico-istituzionali piuttosto che a ragioni puramente organizzative, ha rivelato dei colli di bottiglia che è necessario superare anche mettendo in campo un’azione capillare di ascolto attivo e partecipazione.
Per una Regione aperta: lavorare per l’inclusione e difendere i diritti di tutti e per tutti.
L’Europa e l’Italia stanno vivendo una fase regressiva che si caratterizza per un sempre più esplicito rifiuto del riconoscimento dell’universalità dei diritti fondamentali dell’individuo a favore di un nuovo approccio basato sul riconoscimento di detti diritti solo a chi può vantare determinate “appartenenze” al corpo sociale percepito come dominante o maggioritario. Si tratta di appartenenze declinate (quasi sempre in modo assai confuso) su presunte identità etniche, culturali, linguistiche, religiose e persino razziali (si assiste a una inedita ripresa di concezioni di tipo razziale ancora confinate – ma per quanto? – a gruppi estremisti).
Si avverte una spinta crescente a concepire forme di società aventi caratteristiche del tutto contrapposte alle “società aperte” nelle quali l’esercizio dei diritti fondamentali dell’individuo è subordinato all’appartenenza, anche solo presunta, dello stesso individuo al gruppo che detiene le regole del gioco. In tale scenario il “diritto” perde le sue caratteristiche essenziali per tramutarsi in forme di “privilegio”, ben esemplificato dalle mutevoli narrazioni sul “noi” e “loro”. La crescente insofferenza verso gli stranieri e l’esplicita xenofobia manifestata da diverse forme politiche va quindi letta come parte del quadro più vasto sopra accennato e va contrastata attraverso politiche nazionali e regionali che rimettano al centro la dignità della persona, l’universalità dei diritti fondamentali e il contrasto a ogni forma di discriminazione. Nelle società chiuse infatti tutti gli individui sono potenziali vittime di discriminazioni che possono esplodere (o restare quiescenti) a seconda del contesto socio-economico del momento e le “ragioni” e le forme di discriminazione sono innumerevoli e in continuo mutamento e intreccio tra di loro (discriminazioni di natura etnica-nazionali, di condizione e appartenenza a un determinato gruppo sociale, di orientamento sessuale, ecc.).
Promuovere la resilienza a fronte dei mutamenti climatici e nuove forme di progresso: efficientamento energetico, economia verde e circolare, mobilità sostenibile.
Il 2015 ha segnato una svolta nella storia dell’Umanità e del suo rapporto con il pianeta. Nel 2015 l’ONU ha varato i 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile (17 SDG’s), si è tenuto il COP21 sul Clima e l’UE ha varato una robusta Agenda Urbana. Ormai non ci sono più dubbi, le prospettive di sostenibilità del pianeta così come l’abbiamo conosciuto sono preoccupanti se non viene ridotta drasticamente l’emissione di gas serra. Deve essere posto pertanto come obiettivo etico primario di qualsiasi azione politica la riduzione delle emissioni da combustibili fossili. Il Patto dei Sindaci 202020 ha risvegliato le coscienze di molti centri urbani, ma gli obiettivi da raggiungere entro il 2030 sono molto più ambiziosi. Tutti devono farsene carico, per il benessere immediato, ma soprattutto per quello delle generazioni future. Così come il debito sovrano è poco rispettoso dei cittadini che verranno domani e lo dovranno pagare così, bloccare i processi antropici che provocano l’aumento di temperatura e i conseguenti mutamenti climatici è doveroso verso chi verrà dopo di noi. È già tangibile in modo preoccupante la traccia su tutti i bilanci pubblici dell’intensificarsi degli eventi meteorologici estremi, ma il rischio dell’effetto valanga è molto alto.
Oltre alla riduzione delle emissioni da fonti fossili, altrettanto attenta deve essere la cura verso le risorse naturali, dall’acqua, all’aria, alla biodiversità. Non ci può essere una politica di sinistra che non ponga come centrali i temi della qualità dell’aria, dell’acqua e la tutela dell’ambiente.
Avvicinarsi all’Italia e all’Europa: da Regione di confine a Regione-ponte.
Quella di essere una “Regione ponte” rappresenta, per il Friuli Venezia Giulia, una vocazione storica. Un territorio posizionato nell’Europa centro-orientale, e sbocco al mare di quest’ultima, deve potersi raccordare in maniera forte e il più possibile diretta con il Paese e con i territori confinanti, per cogliere al meglio le occasioni offerte dall’integrazione e dalle sinergie culturali, sociali ed economiche. È necessario proseguire con ancora maggiore convinzione nel rafforzamento di collegamenti ferroviari, portuali, aeroportuali, oltre che investire nelle infrastrutture di comunicazione digitale, sempre più decisive in un’economia della conoscenza.