ENERGIA

La crisi energetica che stiamo vivendo avrà gravi conseguenze sociali ed economiche nel prossimo autunno. L’impennata del costo delle bollette elettriche e del gas sta portando alla chiusura temporanea di alcune linee produttive in molti impianti industriali, mette a rischio di chiusura decine di migliaia di aziende con la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, e sta condannando milioni di cittadini ad una pericolosa povertà energetica che metterà a rischio la loro salute.

Questa crisi energetica è certamente legata a quella tragedia dell’umanità che è la guerra causata dall’invasione russa dell’Ucraina, nella quale “anche se non ci siamo entrati ufficialmente, c’entriamo tutti” – è una carneficina che nulla potrà mai compensare e di cui tutti dovremmo prenderci la nostra quota di responsabilità per il suo scatenamento e la sua continuazione.

Ma la questione è ben più complessa e, per favore, non si usi la guerra come scusa.

L’origine di questa crisi è puramente speculativa.

L’Eni già nel 2021 ha realizzato 4,7miliardi di utile netto, il profitto più alto degli ultimi dieci anni, quasi 12.000 euro al minuto nel 2021, ed Edison ha distribuito alla chiusura del 2021, per la prima volta dopo 8 anni, un dividendo di 413 milioni. Saudi Aramco, la compagnia nazionale saudita degli idrocarburi, ha visto crescere i propri utili nel 2021 del 124%, a 110 miliardi, rispetto ai 49 del 2020. L’azienda di stato russa Gazprom ha dichiarato che i propri utili netti sono cresciuti di 4 volte nel 2021 fino a 7 miliardi, grazie ai prezzi crescenti di petrolio e gas dovuti alla ripresa dopo la pandemia. Bernie Sanders, leader della sinistra americana ha twittato all’inizio dell’anno che Exxon Mobil, Chevron, Shell & BP hanno fatto quasi 25 miliardi di utili nell’ultimo trimestre del 2021 – i livelli più alti degli ultimi 7 anni.

La crisi energetica è dunque iniziata ben prima della guerra, mossa da logiche speculative e finanziarie delle multinazionali degli idrocarburi, e dai fondi di investimento che spesso le controllano (e.g. i 5 principali azionsiti di BP sono State Street, BlackRock, Dimensional Fund Advisors, Fisher Investments e Menora Mivtachim – tutti operatori finanziari).  I prezzi sono stati gonfiati già nel 2021 per massimizzare i profitti di questi fondi di investimento sfruttando la ripresa economica post-pandemia e, lasciatemi insinuare, per frenare i processi virtuosi di decarbonizzazione e di transizione energetica, che avrebbero messo fuori gioco molti investimenti. Il mercato dell’energia, e in particolare quella derivante da fonti fossili è determinato da una drammatica collusione tra speculazione finanziaria, sfruttamento delle risorse naturali, povertà, corruzione, violazioni di diritti umani nel mondo, e soprattutto conflitti bellici.

Dovremmo essere tutti concentrati nello sforzo di contenere le emissioni di gas serra (CO2-equivalenti) per scongiurare la devastante crisi climatica dovuta all’aumento della temperatura media, che diventerà ingestibile se si avvicinerà ai 2°C; ed è già salita di più 1°C. Ricordo che dalla rivoluzione industriale l’uomo ha scaricato in atmosfera milioni di tonnellate di anidride carbonica e altri gas serra portando la quantità di CO2 presente in atmosfera al doppio rispetto ai minimi degli ultimi 700 mila anni – 410-415 ppm rispetto a 200-180 ppm, di cui quasi 100 ppm negli ultimi 50 anni.

La tragica scusa della guerra in corso permette invece lo sdoganamento di pratiche energetiche che pensavamo superate e favorisce interessi economici di aziende che si pensavano ormai destinate a riconvertirsi. Oggi si brucia carbone, come a Monfalcone, là dove ci si illudeva di non bruciare più nemmeno gas. Altro che sostenibilità!

Più dura questa guerra e più crescono gli utili, procacciati dai gestori dei fondi di investimento, che derivano da tecnologie che dovevano essere abbandonate? È evidente che tutta la narrazione bellica concorre a far crescere speculativamente il costo delle materie prime e dell’energia a danno, alla lunga, dei cittadini ancorché indirettamente azionisti! Per questo motivo anche utilitaristico, se proprio non si vuole fare un ragionamento etico si dovrebbe parlare di pace, di cessate il fuoco, per far abbassare la speculazione sulle energie. Il pianeta è tenuto in scacco, in un paradosso diabolico, che permette utili astronomici derivanti dagli idrocarburi fossili a spese dei cittadini più poveri e umili, ma certamente più numerosi.

Questa situazione congiunturale giustifica quindi l’introduzione di proposte energetiche inaccettabili come quello del nucleare sicuro. Questa è una contraddizione in termini, e comunque fino a quando non sarà chiarito quanti e dove saranno realizzati gli impianti e le discariche di scorie radioattive non può che essere una mera propaganda imbrogliona. Ecco che si sente riparlare di realizzare ulteriori rigassificatori (già ce ne sono tre in Italia) senza tenere conto dell’impatto ambientale in termini di diminuzione repentina della temperatura del mare e dell’inquinamento da ipoclorito di sodio, che tali impianti necessariamente producono a danno della vita marina. Ecco che si parla di termovalorizzatori di CSS, là dove si sarebbe dovuto parlare principalmente di riciclo e di recupero.

Sembra davvero una tempesta perfetta, quella che stiamo vivendo, innescata per bloccare il processo virtuoso di affrancamento dai combustibili fossili. Stiamo assistendo alla riscossa dei combustibili peggiori!

Le risposte sono due.

La prima è un’azione politica forte che non permetta più extra-profitti scandalosi da parte di chi controlla il mercato dell’energia. Tutti i paesi devono imporre, anche attraverso le organizzazioni sovranazionali a cui appartengono, moratorie a queste dinamiche.

La seconda non può che essere quella del potenziamento delle fonti alternative di energia rinnovabile. Queste sono ancora sfruttate pochissimo. E non serve pensare a soluzione che comportano un oneroso consumo di suolo come il fotovoltaico in area agricola, o l’agrivoltaico che, almeno in FVG, per angolazione solare e intensità di irraggiamento non permette esempi significativi di produzione agricola. Vanno sfruttate invece tutte le aree non altrimenti utilizzate come i tetti degli edifici e le aree abbandonate. In FVG solo in termini di aree militari dismesse e abbandonate disponibili dagli enti locali ci sono più di 100 Km2 di superficie.

L’accumulazione di energia e la sua distribuzione più efficiente, attraverso smart grids e lo sviluppo di comunità energetiche è un’altra frontiera da sviluppare sia dal punto di vista dell’innovazione tecnologica, che da quello dell’innovazione sociale e soprattutto legislativa.

Un altro settore fondamentale è l’idroelettrico che fino ad oggi è in concessione alle multinazionali dell’energia da 50 anni senza modifiche normative importanti. Tutto ciò a danno delle comunità dove si trovano invasi e dighe che subiscono il dramma delle captazioni d’acqua, che spesso non lasciano il flusso minimo vitale in torrenti e fiumi. È necessaria un’azione politica forte per resistere alla prepotenza di chi attualmente detiene questo patrimonio e ne divide le briciole con le comunità della montagna. Questi sono settori con grandi potenzialità di posti di lavoro e di innovazione e in un territorio come quello del FVG, che fu testimone della tragedia del Vajont, non può essere disgiunto dal tema della sicurezza.

Infine, e ancora per molti versi, tutto da esplorare, c’è il tema dell’efficientamento. A livello pubblico, con il miglioramento delle reti di distribuzione, a livello industriale, con il recupero, ad esempio, del calore con impianti di teleriscaldamento, a livello domestico e a livello individuale.

Nella voce ambiente abbiamo già sottolineato come tutto ciò è possibile però solamente se si incomincia a valutare ogni iniziativa alla luce di un bilancio energetico e non solamente da quello del bilancio economico-patrimoniale-finanziario che è troppo soggetto a speculazioni. Ogni azione dovrebbe essere corredata da una sua giustificazione in termini di emissioni.

La Direttiva (UE) Renewable Energy Directive 2018/2001 (RED II) dispone che gli Stati membri provvedono collettivamente a far sì che, nel 2030, la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia dell’Unione sia almeno pari al 32% e la quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti sia almeno pari al 14% del consumo. Ciò corrisponde ad una riduzione interna di almeno il 40% delle emissioni di gas serra nel sistema economico rispetto ai livelli del 1990. Ogni Stato ha redatto un Piano nazionale integrato per l’energia e il clima-PNIEC che, in seguito all’uscita del RED III deve essere ulteriormente potenziato. Per l’Italia, il livello fissato al 2030 è del 33% rispetto al livello nazionale del 2005. In particolare la quota di energia da FER nei Consumi Finali Lordi di energia nei trasporti è del 22%. Il piano prevede il sostegno finanziario all’energia elettrica da fonti rinnovabili, l’autoconsumo dell’energia elettrica prodotta da tali fonti, contributi per le comunità energetiche e l’accumulazione di energia.  Le fonti energetiche rinnovabili non fossili, eolica, solare (solare termico e fotovoltaico) e geotermica, energia dell’ambiente, energia mareomotrice, del moto ondoso e altre forme di energia marina, energia idraulica, biomassa, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas: la ricerca e la sperimentazione in questa direzione è prioritaria.