Archivio per Categoria Futuro

Intervento in aula, riforma delle UTI

Nel mio intervento in aula di ieri mattina ho tenuto a sottolineare come – al di là di condivisibili critiche sulle modalità scarsamente partecipate e inclusive con le quali la legge istitutiva delle UTI è stata adottata – la direzione complessiva della riforma del 2014 siano condivisibili.
Si tratta infatti di difendere il principio di una migliore efficacia ed efficienza nei servizi erogati ai cittadini attraverso una condivisione di strumenti e risorse, nella convinzione che – per dimensione organizzativa e per risorse disponibili – quasi mai i singoli comuni sono in grado di adempiere alle proprie funzioni in maniera piena ed ottimale e – a fronte della crescente complessità gestionale – non è pensabile che centinaia di Comuni svolgano in proprio tante procedure. La messa a comune procedurale garantisce infatti qualità ed omogeneità di servizi. Così è avvenuto in numerose UTI, come quella da me presieduta, per funzioni quali i tributi, il personale e la polizia locale, quest’ultima ha permesso di estendere servizi come una centrale operativa funzionante sulle 24 ore su un’area molto più vasta, nonché la centralizzazione della gestione delle contravvenzioni e di tutto il contenzioso. In altri ambiti, come la pianificazione sovracomunale, la Legge Regionale 26 ci ha permesso di definire ed allineare vari Piani Comunali che hanno senso solamente se si riferiscono ad aree più vaste, ad esempio piano paesaggistico, piano del rumore, piano della mobilità, piano della qualità dell’aria.
L’aspetto più significativo di questa riforma che non va assolutamente perduto è quello che nasce dall’Art. 7 della Legge Regionale 18/2015 (Concertazione delle politiche per lo sviluppo del sistema integrato) noto anche come Intesa per lo Sviluppo.
In tutta Europa è in discussione come realizzare la cosiddetta Multilevel Governance ovvero l’intesa, nel pieno rispetto delle funzioni reciproche, del raccordo tra i diversi livelli di governo.
Ebbene la Legge 18 e l’intesa per lo sviluppo che ne discende è forse uno tra i sistemi più avanzati per raggiungere questo risultato. Come Comune di Udine siglai nel 2016 a livello europeo una Charter for Multilevel Governance con centinaia di altri Comuni dell’UE volta a sperimentare forme di governo multilivello, proprio in forza di questa norma.
Non posso elencare tutti gli obiettivi che ha permesso questa intesa sovracomunale tra Autonomie Locali e Regione, ne cito solamente uno perché ha forte impatto sulle politiche di sostenibilità ambientale e di contrasto ai mutamenti climatici e alla decarbonizzazione: il progetto per un sistema di teleriscaldamento su area vasta che recuperi il calore che altrimenti andrebbe sprecato, anzi attualmente deve  essere disperso da un grande complesso industriale fortemente energico che opera in un Comune dell’UTI.
Se la direzione è giusta, però, non si nega la necessità di alcuni ritocchi, in particolare cercando di incrementare la democraticità e rappresentatività dell’ente intermedio, pur mantenendone una natura di secondo livello.

Clicca qui per leggere il mio discorso con la dichiarazione di voto.

Giornata Mondiale del Rifugiato: una breve riflessione

In occasione di questa Giornata Mondiale del Rifugiato, penso sia doveroso, almeno per qualche istante, immedesimarsi in chi stia vivendo questa condizione. E non penso solamente a coloro che vinta la paura del diverso e del razzismo, che certamente subiranno, sono costretti a lasciare i propri cari e le cose che sono loro familiari, e partire verso un altrove a cercare sicurezza, dignità, futuro e speranza –  in una parola sola – rifugio. Penso anche a chi invece rimane. Madri, padri e familiari che trepideranno per loro e, troppo spesso, non ne avranno forse mai più notizia. Dobbiamo aver cura di chi si rifugia da noi anche nel nome delle loro madri e dei loro padri, di chi non ha potuto accompagnarli e ce li ha affidati, ogni giorno augurandosi che possano avere una vita migliore, in salvo.

A Udine nei 10 anni nei quali sono stato Sindaco della città, non solamente non abbiamo mai mandato via nessuno, ma abbiamo cercato di offrire a chi cercava rifugio a Udine dignità e futuro, come del resto a tutti gli altri che sono parte della nostra comunità. Abbiamo promosso progetti SPRAR per quasi un centinaio di persone, ospitato fino alla maggiore età ogni anno oltre 120 minori non accompagnati e abbiamo soprattutto avviato l’iniziativa di accoglienza diffusa AURA (Accoglienza Udine Rifugiati Richiedenti Asilo) in collaborazione con molte cooperative e associazioni per oltre 350 posti. Iniziative che, oggi, qualcuno che non mi rappresenta vorrebbe chiudere. Abbiamo anche dato a molte altre migliaia di persone, arrivate quando tutti gli altri posti erano già occupati, accoglienza dignitosa con la Croce Rossa alla Cavarzerani.

Provo orrore per la distinzione tra migranti non economici e migranti economici, che distingue tra i primi, forse meritevoli, e gli altri colpevoli di essere poveri. Forse sono tutti migranti ecologici, perché abbiamo reso questo pianeta meno abitabile.

Provo orrore in questi giorni per le dichiarazioni del vice-premier italiano Salvini, per la sua crudeltà nei confronti di chi si torva sulla nave Aquarius alla deriva nel Mediterraneo, per il suo gongolante cinismo. Provo orrore per la nave della marina americana che ha abbandonato in mare i corpi dei migranti morti annegati senza un gesto per le loro famiglie, perché una marina che ha dieci portaerei nucleari, non aveva delle celle frigorifere.

Provo paura che questo pensiero possa diffondersi e diventare dominante ora che viene legittimato così ad alto livello.

Penso invece come la filosofa francese Simone Weil: ““Tu non mi interessi” è qualcosa che nessuno può dire se non commettendo una crudeltà e ferendo la giustizia”. “Perché dalla più tenera infanzia sino alla tomba, in fondo al cuore di ogni essere umano, c’è qualcosa che malgrado tutti le esperienze dei crimini subiti, sofferti o osservati, si aspetta indomabilmente che gli si faccia del bene e non del male”.

 

Gig Economy e nuove professioni: la Carta dei diritti dei lavoratori digitali di Bologna

Nei mesi scorsi si è discusso molto nei social e nella stampa delle tutele dei lavoratori nei nuovi settori della Gig Economy: uno dei più grandi campi in espansione in questo settore è dato dai fattorini delle consegne a domicilio (si pensi a Foodora, Glovo, Deliveroo e Just Eat; alcune già presenti nel nostro territorio).

Una notizia che fa ben sperare per uno sviluppo delle tutele e dei diritti di queste nuove professioni arriva dalla città di Bologna, con la realizzazione della Carta dei diritti dei lavoratori digitali di Bologna che stabilisce una serie di impegni minimi per il datore di lavoro nei confronti del lavoratore (fra cui una paga minima oraria, contratti trasparenti, assicurazione e indennità di lavoro per i lavoratori delle piattaforme digitali che firmeranno la carta).

Questo può considerarsi un punto da cui partire anche per la nostra Regione, un punto dove le tutele del lavoratore sono messe in primo piano e dove gli obiettivi sono molteplici, fra cui:
– il miglioramento delle condizioni di lavoro a prescindere dalla qualificazione giuridica del rapporto;
– la promozione del dialogo sociale tra imprese, organizzazioni sindacali e lavoratori digitali nel contesto urbano;
– il miglioramento della trasparenza del mercato del lavoro digitale e
– la promozione/diffusione di una nuova cultura del lavoro digitale in Italia e in Europa.

Perché non dobbiamo dimenticarci che nella nuova economia globale non possono esistere ancora delle “zone grigie” che provocano problemi in tema di tutela della dignità della persona e sicurezza del lavoro: lo stesso art. 4. della nostra carta costituzionale recita “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

Sempre nella Costituzione, art. 36, c. 1: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Concludendo, non dimentichiamoci mai che nessuno deve rimanere indietro.


Vai alla notizia tratta dal sito wired.it Carta dei diritti dei lavoratori digitali di Bologna

Tagliare i fondi all’accoglienza diffusa non è solo una cosa indegna, ma anche un errore

Qui sotto la lettera integrale inviata ai principali quotidiani regionali relativa al dibattito sull’accoglienza diffusa: queste riflessioni sono sottoscritte insieme a Gianfranco Schiavone (Presidente ICS – Ufficio Rifugiati Onlus di Trieste).


Il presidente Fedriga ha annunciato la propria profonda contrarietà al sistema della “accoglienza diffusa” dei richiedenti asilo e l’intenzione di chiedere a Roma, attraverso una generalità di giunta, che questo modello cessi a favore dell’internamento di tutti i richiedenti asilo in strutture chiuse di grandi dimensioni (si suppone che ciò riguarderebbe anche le famiglie e i minori, che oggi costituiscono circa un terzo delle presenze).

Ci sono almeno quattro aspetti importanti che i cittadini debbono sapere in relazione a queste proposte di Fedriga, in modo che valutino con piena consapevolezza cosa si sta effettivamente annunciando.

1) L’accoglienza diffusa dei rifugiati è prevista da una legge nazionale che, con modifiche, è in vigore da molti anni e che ha come obiettivo proprio quello di superare l’approccio errato avuto dal nostro Paese ad inizio del decennio scorso (quando il numero dei richiedenti asilo era molto basso) di inviare le persone in grandi strutture nelle quali attendere l’esame della domanda di asilo. Oggi oltre 1000 comuni italiani sono coinvolti nell’accoglienza diffusa (anche nelle regioni governate dal centro-destra). Città della nostra regione come Trieste e Udine non sono quindi le uniche, ma solo quelle che hanno cercato di sviluppare maggiormente questo modello, con buoni risultati in termini di integrazione sociale e di sicurezza.

2) L’accoglienza diffusa è nata proprio per superare le concentrazioni di persone in grandi strutture, spesso isolate dal contesto sociale. Ove esse sono sorte (si pensi al caso di Gradisca, per non parlare dei molti “mostri” di cui è costellata l’Italia – Mineo – Cona- Bari Palese – Crotone etc) si è generata una seria ghettizzazione delle persone con enorme sperpero di denaro pubblico perché i percorsi di integrazione sociale di coloro che rimangono isolati, come chiunque può intuire, sono più lenti e difficili. Le grandi strutture hanno attratto altresì gli appetiti della malavita organizzata, come è stato nel caso di Mafia Capitale, per aggiudicarsi gli appalti (pasti, sorveglianza etc) mentre l’accoglienza diffusa coinvolge tanti piccoli operatori economici (ad esempio a Trieste e Udine sono oltre 200 gli affittuari delle case, ma si pensi anche ai piccoli negozi rionali per la rivendita degli alimentari etc) sostenendo l’economia locale. Inoltre al posto di guardiani e sorveglianti l’accoglienza diffusa punta a operatori sociali qualificati, in genere giovani laureati (ad esempio Trieste e Udine impiegano circa 300 persone) mediatori linguistici, insegnanti di italiano etc.

Tutti gli studi scientifici pongono l’accento sui seri rischi che nascono dal ricorso a strutture che isolano e separano i migranti dal resto della popolazione mettendo in guardia in particolare sul fatto che tutte le strutture ghettizzanti e isolate sono meno sicure e favoriscono la diffusione di atteggiamenti estremisti, a differenza di quanto accade nelle esperienze di accoglienza diffusa.

3) Forse Fedriga ritiene di evitare le problematiche di rapporto tra struttura e territorio prevedendo centri chiusi dai quali non è possibile uscire; si tratterebbe quindi di vere e proprie strutture concentrazionarie di internamento di persone, uomini, donne, bambini, provenienti dai più diversi paesi del mondo, di lingue, culture, religioni diverse (verrebbero internati anche i cristiani che pur non mancano tra i richiedenti asilo?) che condividono tra loro l’unica caratteristica di essere giunti nel nostro Paese per chiedere asilo. Questo scenario è totalmente al di fuori dell’ordinamento democratico della Repubblica Italiana che prevede la limitazione della libertà solo nei confronti di persone che hanno commesso seri reati penali o che, al più, prevede per tempi brevissimi delle forme di trattenimento amministrativo (di assai dubbia efficacia) per eseguire delle espulsioni già confermate dall’autorità giudiziaria.

La proposta di puntare su centri chiusi e controllati manifesta una visione autoritaria e intollerante della società e rischia di ricreare luoghi che con preoccupazione ricordano i “campi di concentramento” e i totalitarismi che hanno prodotto le catastrofi del ‘900.

4) Infine, anche volendo tacere su quanto sopra, il presidente Fedriga non dice dove nella sua visione dovrebbero sorgere i presunti luoghi di internamento dei richiedenti asilo. In un unico luogo nel quale vivrebbero migliaia di persone o invece in tanti luoghi, con un approccio, per così dire, di internamento diffuso? Vuole spiegare Fedriga come verrebbero scelti questi luoghi e come verrebbero presidiati? E infine chi ci vorrebbe vivere vicino?

Furio Honsell, Consigliere regionale Open Sinistra FVG

Gianfranco Schiavone, Presidente di ICS – Ufficio Rifugiati Onlus di Trieste