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Relazione di minoranza Honsell su Proposta di referendum abrogativo statale n. 9

La Legge n. 86 del 26 giugno 2024 dal titolo “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione è una legge pericolosa a causa del modo raffazzonato con cui affronta l’importante questione che a partire dall’articolo 5 dei principi fondamentali della Costituzione (“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”) giunge sino alla riforma del 2001 relativa al Titolo V della stessa.

La norma proposta dal Governo di destra conduce alla violazione dei principi di uguaglianza e di solidarietà che sin dall’Illuminismo hanno contemperato il principio della libertà. Per una pluralità di materie e ambiti cruciali quali, solo per citare i prime quattro ovvero istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, e tutela e sicurezza sul lavoro, la norma prevede di definire degli standard minimi, detti Livelli Essenziali di Prestazioni (LEP), ma (A) ne delega al Governo la determinazione, (B) non definisce con chiarezza nessun meccanismo di ripartizione di qualsiasi tipo di risorsa per assicurarli e renderli esigibili su tutto il territorio nazionale (al di là di un confuso articolo 4, comma 1) e C) spalanca la porta alla possibilità che i livelli di prestazione effettivi possano essere molto diversi tra le regioni al di sopra di tale livello standard, là dove il gettito di uno o più tributi erariali maturati sul territorio regionale possano essere diversi (articolo 5, comma 2), in quanto le modalità di finanziamento saranno la compartecipazione a tale gettito.

Tutti e tre questi punti sono estremamente critici e forieri di conseguenze nefaste.

Delegare il Governo in materia di definizione dei LEP è giuridicamente inappropriato, perché non si tratta di una questione di carattere esecutivo, bensì prettamente normativo. Quale sarebbe, allora, il ruolo del Parlamento? Nell’articolo 3 è previsto un parere consultivo, facilmente superabile.

È evidente che sul territorio nazionale in numerosi ambiti e materie a cui fa riferimento la Legge 86/2024 ci sono attualmente profonde disuguaglianze. È sufficiente analizzare i dati di Eurostat rispetto ai cosiddetti NUTS-3 (territorial units for statistics) del Nord e quelli del Mezzogiorno. Non è dunque nemmeno pensabile il poter garantire in modo omogeneo e uguale LEP sul territorio nazionale a meno di abbassarli fino al punto che non si potrebbe che cristallizzare l’attuale situazione di disparità sul territorio nazionale.

Infine essendo le risorse finanziarie attribuite attraverso compartecipazione al gettito, addirittura eventualmente rivedibile, è evidente che alcune Regioni, ovvero i NUTS-1, sarebbero in partenza molto avvantaggiate a discapito di altre.

Parlare dunque di LEP in una Legge che non preveda esplicitamente di portare prima all’azzeramento delle disparità oggi presenti tra le regioni italiane e al loro interno, e che inevitabilmente porterà la cristallizzazione tali squilibri, è disgustosamente ipocrita o irrazionale. Lanciarsi dunque in questa impresa senza avere chiarito le premesse è assolutamente dilettantistico. Se davvero dovesse produrre effetti, la Legge 86/2024 non potrebbe che portare ad una concorrenza al ribasso tra le Regioni, che non avrebbero nessun interesse a irrobustire, ad esempio le tutele sul lavoro oltre il minimo necessario, in quanto diventerebbero meno appetibili alle logiche di profitto neo-liberiste che oggi informano il mercato delle multinazionali.

Inoltre, innumerevoli sono i punti critici e dubbi sulle nuove disparità che potrebbero ingenerarsi. Ad esempio rispetto alla tutela della salute, come si governerebbe l’attuale mobilità interregionale?

Alquanto bizzarro e totalmente inconsapevole è immaginare la tutela dell’ambiente a livello regionale. Le correnti atmosferiche che su tutto il pianeta si muovono da Ovest a Est sono i principali determinanti della qualità dell’aria nel Nord, ma nulla sapranno dei confini amministrativi regionali dopo l’entrata in vigore della Legge 86/2024. La qualità dell’aria nella pianura a sud delle Alpi si fa ‘un baffo a toritiglione’ del regionalismo ingenuo di questa legge ignorante.

Concepire un’istruzione con un orizzonte regionale come se ci fosse una ‘Scienza Lombarda’, o una ‘Scienza Irpina’, fa venire in mente quanto Orwell scrisse nei Ricordi della Guerra di Spagna, del 1943: la teoria nazista nega specificamente l’esistenza del concetto di ‘verità’. Per esempio esiste una ‘scienza tedesca’, una ’scienza ebraica’, ecc.

Cosa dire poi delle grandi infrastrutture che dovrebbero attraversare più di una regione e che dovrebbe dunque conformarsi a normative che inevitabilmente, con l’andar del tempo, si differenzieranno. Il riconoscimento che la diversificazione delle norme svantaggiasse lo sviluppo del Regno di Sardegna è quanto spinse Cavour, che certamente non era socialista ma nemmeno scioccamente populista, a cercare alleanze in Italia e in Europa per raggiungere al più presto l’unità d’Italia, che poté diventare una potenza economica di livello europeo solo a unificazione avvenuta. E fu proprio il non risolvere il problema dello squilibrio tra Nord e Sud a costituire il principale ostacolo al pieno sviluppo del nostro Paese, questione che non va imputata a Cavour in quanto morì pochi mesi dopo l’unità d’Italia.

La Legge 86/2024 aprirebbe una stagione molto infelice per il paese perché non porterebbe che all’acuirsi delle disparità. E ciò comporterebbe certamente danni ai più deboli, ma una minima conoscenza delle teorie sulle dinamiche socio-economiche, così come sono state dimostrate sperimentalmente da decenni dagli studiosi, porterebbe a sapere che ne uscirebbero svantaggiati anche i privilegiati. Non dimentichiamo che il mercato principale per il Nord è il Mezzogiorno. L’IVA-scambi-interni è una delle fonti principali della compartecipazione al gettito del Friuli Venezia Giulia, come si è visto nell’ultimo assestamento di bilancio.

Infine anche sul piano etico, questa norma è tutta improntata sul saccheggio del bene comune, nel nome di un regionalismo di scarso spessore. Il senso di una res-publica è che il gettito prodotto a livello locale non è delle Giunte regionali delle regioni dove è stato prodotto, ma è dei cittadini che fanno parte della res-publica nella sua globalità.

In conclusione la Legge 86/2024 è quanto di più sconclusionato e confuso si potesse proporre in materia di delega ed autonomia. È frutto di un regionalismo ingenuo e sciocco. È un incosciente slogan politico che non potrà che portare innumerevoli disagi ai cittadini di ogni ceto sociale e di ogni regione. Invertire in pochi anni un processo di quasi due secoli è un misto di ingenuità e pericolosa arroganza che va al di là dell’immaginazione. Non vi può essere che un’abrogazione totale della Legge 86/2024, per questo noi del Gruppo consiliare regionale Misto (composto dalle forze politiche Open Sinistra FVG, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra) l’abbiamo sottoscritta. Come si è detto l’articolo 5 della Costituzione già nei principi generali prevede l’autonomia degli enti locali, ma qui non si tratta più di autonomia bensì di irrazionale prepotenza.

La Regione FVG, regione piccola e ricca di diversità, è regione autonoma e speciale proprio perché fragile. Questo è sempre stato il senso delle specialità regionale in Italia, tutelare chi vive in contesti maggiormente problematici. L’autonomia differenziata è invece una forma di bullismo istituzionale, che va dunque in direzione opposta a quella che portò alla definizione dell’autonomia del Friuli Venezia Giulia.

Una di noi ha espresso voto favorevole ad una abrogazione parziale di questa legge, mentre gli altri due hanno espresso invece voto decisamente contrario. La campagna referendaria ispirata dal movimento della Strada Maestra che ha visto l’ANPI, i sindacati e tanti partiti e associazioni politiche impegnate nel raggiungimento di quasi un milione di firme questa estate, ha promosso solamente il referendum sull’abrogazione totale, ci ha visti tutti impegnati. A mio personale avviso questa norma è infatti inemendabile per sottrazione, anzi rischia di diventare un Cavallo di Troia qualora venisse approvata da un Referendum anche in forma ridotta. Nel corso del dibattito ciascuno al nostro interno avrà comunque modo di difendere la diversità della propria scelta. Piena condivisione invece c’è stata nel sostenere l’abrogazione totale di questa legge. Il regionalismo e la specialità sono una cosa molto seria che richiede ragionamento, analisi e programmazione molto dettagliati, caratteristiche queste di cui la Legge 86/2024 è priva.

Cittadine e cittadini antifascisti, Buon 25 Aprile!

Partigiani e loro familiari, rappresentanti del Comune di Aviano, e dei Comuni della Magnifica Comunità di Montagna, Presidente dell’ANPI di Aviano Angelo Caporal, Rappresentante dell’Associazione Partigiani Osoppo, e delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, cittadine e cittadini, è con viva emozione che mi rivolgo a voi presso questo Monumento alla Resistenza che riporta 63 nomi di partigiani e di tanti avianesi militari e civili uccisi dai fascisti e dai nazisti dopo l’8 settembre 1943.

L’orazione commemorativa sarebbe perfetta e potrebbe già terminare dopo la lettura di questi nomi e delle poche ma intense parole con cui, nello splendido libro di Pietro Angelillo e Sigfrido Cescut “I luoghi delle Pietre e della Memoria”, è delineato lo slancio ideale e la drammatica vicenda di ciascuno. Il nome è la cifra dell’irripetibile unicità di ogni singola persona umana e appunto così l’Associazione Libera celebra il 21 marzo di ogni anno la Giornata contro le Mafie, leggendo, in tante piazze d’Italia, i nomi dei morti ammazzati di Mafia. E questi elenchi sono già poesia. Tale scelta nacque, come spesso ricorda Don Ciotti, per rendere giustizia a quella piccola donna vestita di nero, Carmela Antiochia, che ad una manifestazione che ricordava il sacrificio di Giovanni Falcone, a lui si rivolse così: “Sono la mamma di Antonio Montinaro, ucciso con Giovanni Falcone, di cui era il caposcorta, perché non pronunciano mai il nome di mio figlio?” E se leggere tutti i 63 nomi richiederà tempo, sarà tempo nel quale dimostreremo nel modo più alto la nostra umanità e riconoscenza, insieme all’impegno a riscattarne la morte facendo vivere oltre ai nomi quei valori di libertà, giustizia e uguaglianza, che loro seppero solamente immaginare profeticamente e a cui sacrificarono la giovane vita. Questa è la ragione che ci porta a ritrovarci qui oggi, piuttosto che altrove a Udine, a Trieste, a Pordenone. Siamo qui per loro, per coloro che combatterono sul Piancavallo, nella Valcellina, nella Valcolvera, nella Valle del Vajont, e in tutte le altre valli di questa straordinaria parte del mondo che è il Friuli Occidentale e che tanto sangue partigiano ha versato per la lotta di Liberazione dal fascismo. I nomi sono importanti – sono quanto ci sopravvive nel tempo – pertanto, il diritto al nome è diritto fondamentale che dovremmo garantire a ogni nato in Italia, come richiede l’obiettivo 16.9 dei 17 SDG dell’ONU: entro il 2030 fornisce l’identità legale per tutti, comprese le registrazioni gratuite di nascita. Invece il nostro paese, accecato dal populismo più razzista, non lo garantisce più, perché vige ancora l’Art.1, comma 22, lettera g), dell’infame Legge 94/2009, la Berlusconi-Maroni, “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, che modificò il comma 2 dell’articolo 6 del “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” (il D.Lgs. 286/1998), che oggi richiede che per i provvedimenti inerenti agli atti di stato civile come la dichiarazione di nascita, sia necessario esibire il permesso di soggiorno. I figli degli irregolari in Italia non hanno pertanto il diritto a un nome, se non a rischio di denuncia dei loro genitori. Da anni mi batto, insieme ad altre cittadine e cittadini, perché tale norma vergognosa sia cancellata dalla nostra legislazione; non basta una circolare amministrativa per curare questa ferita aperta nella nostra coscienza civile, ma la destra odiatrice vi si oppone con tutto il suo nazionalismo asfissiante.

Voglio adesso recitare la splendidamente ruvida e dissonante poesia del poeta-sindacalista Leonardo Zanier, l’autore di Libers di… scugnì lâ, scolpita sul monumento di Piancavallo, che con straordinaria concisione riassume l’epopea che oggi celebriamo. La leggerò in friulano perché il friulano è una delle lingue della Resistenza:

Via un zovin:
da cuasi ogni famea
via in Russia:
a impará a copâ
via a pît
ta glaça o tal pantan
plui no scrivin:
si vai in ogni cjasa
pôs a tòrnin:
‘l è dûr sierâ a vincj ans
chei ch’a tòrnin:
devéntin partigjans.

Ma voglio citare oggi anche la frase di Pietro Calamandrei scolpita sul Monumento alla Resistenza a Udine, città insignita della medaglia d’oro per la Lotta di Liberazione a nome di tutto il Friuli, e quindi anche di questi luoghi, monumento presso il quale come sindaco ebbi l’onore di esprimere il mio impegno antifascista per dieci anni : quando considero questo misterioso moto di popolo questo volontario accorrere di gente umile/ fino a quel giorno inerme e pacifica che in una improvvisa illuminazione senti’ che era giunto il momento di darsi alla/ macchia di prendere il fucile di ritrovarsi per combattere contro il terrore mi viene fatto pensare a certi inesplicabili/ ritmi della vita cosmica ai segreti comandi che regolano i fenomeni collettivi come le gemme degli alberi che spuntano/ lo stesso giorno come le rondini di un continente che lo stesso giorno si accorgono che e’ giunta l’ora di mettersi in viaggio/ era giunta l’ora di resistere era giunta l’ora di essere uomini per vivere da uomini.

Questa frase fa comprendere come la persona umana, da sola, non ha né senso né speranza. La nostra umanità non può essere tale se non si riconosce spontaneamente collettiva e solidale, perché i diritti umani e civili o sono per tutti oppure non sono!

Ma oggi, in questo luogo, non è possibile non ricordare quanto Calamandrei disse agli studenti milanesi nel 1955, perché descrive proprio il senso dell’atto che stiamo compiendo: Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione.

La nostra Costituzione è nata proprio qui sul Piancavallo, dove sin dai primi mesi del 1944 salirono in montagna antifascisti, attivisti politici, comunisti, socialisti, indipendenti – giovani e reduci delle guerre di aggressione imperialiste dell’Italia in Africa, Grecia, Albania, Jugoslavia e Russia che sfuggirono coraggiosamente alla deportazione in Germania e all’arruolamento nelle formazioni fasciste della repubblica di Salò, costituendo i primi battaglioni delle divisioni Garibaldi e Osoppo.

E proprio qui sul Piancavallo maturò forse l’esempio più luminoso di quello spirito che è alla base della nostra Costituzione e ne costituisce la bellezza e la forza: in essa tutti ci riconosciamo democraticamente in modo unitario come cittadini della Repubblica Italiana una e indivisibile, come recita l’Art. 5, al di là delle diversità delle nostre mentalità e ideologie, dei nostri conformismi, come li chiamava Gramsci. Si può ben dire che qui a Piancavallo, ben più di quanto avvenne altrove, nacque nell’unità di intenti e di ideali civili fondamentali, in uno spirito di pluralismo e di difesa della libertà di opinione di chi la pensa diversamente da noi, quel processo democratico che è la vita di una Repubblica. Qui, partendo dal basso, dai comandanti dei battaglioni, inizialmente addirittura contro la volontà stessa dei comandanti di rango più elevato, grazie all’intelligenza civile e la determinazione di uomini profondamente diversi tra loro per formazione e storie, fu istituito il primo Comando Unificato Garibaldi-Osoppo per combattere uniti in modo più efficace il fascismo e il nazismo. I protagonisti furono Mario Modotti “Tribuno”, operaio dei cantieri di Monfalcone, membro di Soccorso Rosso e attivista comunista, poi GAPpista, che insieme a Giulio Quinto Contin “Richard” costituirono il primo battaglione garibaldino “Nino Bixio” nel Friuli Occidentale, e Pietro Maset “Maso” capitano dell’8° reggimento Alpini della Divisione “Julia” che, contattando ufficiali e militari sbandati e raccogliendo armi sin dall’autunno del ’43, fu uno dei primi organizzatori della Resistenza nel Friuli Occidentale contribuendo alla nascita del nucleo della “Osoppo Friuli”, il battaglione “Piave”. Qui sul Piancavallo fu istituito uno dei pochissimi esempi di Brigata Unificata Garibaldi-Osoppo la “Ippolito Nievo A”.

Il 7 agosto 1944 iniziò quindi l’epopea di questa brigata che vide inquadrati oltre 600 uomini in vari battaglioni: il “Bixio”, il “Gramsci”, il “Mazzini” erano garibaldini, il “Piave”, il “Cellina e il “Vittoria” erano osovani. La loro azione congiunta contribuì allo sviluppo della Repubblica Libera della Carnia difendendola da sud e provvedendo a importanti linee di rifornimento. Questa Repubblica libera anticipò nella sua organizzazione la nostra Repubblica Italiana sotto molti aspetti: abolì la pena di morte, assicurò una giustizia gratuita, l’educazione pubblica, la casa, la tutela dei beni comuni e di fatto diede per la prima volta il voto alle donne, in qualità di capofamiglia.

L’estate del ’44 fu un’estate di gioia e speranza di una prossima liberazione. L’organizzazione della “Ippolito Nievo A” fu esemplare. La Brigata era approvvigionata da un’unica intendenza che riforniva cibo, vestiario, attrezzature dove prima ce n’erano due. Aveva coordinato una specifica attività di spionaggio d’intesa con i GAP che operavano in pianura. Aveva istituito un tribunale militare di brigata. Nei paesi liberi come Claut molte erano le donne partigiane che operavano in vari servizi funzionali all’Ippolito Nievo A. A Claut venivano forniti inoltre servizi ospedalieri e funzionava anche un ufficio stampa per contrastare la disinformazione e la propaganda fascista che vigliaccamente gettava fango sul movimento partigiano, presso i civili in pianura.

Fu una stagione che ebbe però durata tragicamente breve, perché il 13/11/44 fu emanato il proclama Alexander che comunicò ai patrioti la decisione alleata di fermarsi per l’inverno sulla linea gotica invitando le truppe partigiane allo scioglimento. Forze che fino ad allora erano riconosciute quasi come forze regolari dagli stessi nazifascisti qui a Piancavallo (si consideri l’episodio dello scambio di prigionieri del 3/08/44), si trovarono così abbandonate nell’affrontare le grandi offensive nazi-fasciste dell’autunno del ’44 e il terribile inverno del ’45. Vicende drammaticamente descritte da un altro eroe della Ippolito Nievo A, Angelo Carnelutto  “Clark”, nel suo libro “Ricordi vivi di vita partigiana”. Queste offensive, in cui si distinsero per ferocia i fascisti della X Mas (il cui labaro continua vergognosamente a sfilare a Gorizia e in Piazza Unità a Trieste anche alla presenza del Presidente del Consiglio Regionale) portarono allo spezzamento del fronte della Brigata, al suo frazionamento e infine, alla caduta della Repubblica Libera della Carnia. Le forze partigiane sopraffatte per numero di mezzi e di uomini furono decimate e disperse. Molti partigiani, spesso impossibilitati a rimanere in montagna per l’arrivo dell’inverno, ritornarono alle loro case e vennero catturati. Furono mesi che videro feroci violenze fasciste e naziste non solo contro le formazioni partigiane, ma anche contro i civili con incendi e rastrellamenti. Non dobbiamo però più riferirci a queste azioni come a rappresaglie sui civili provocate dalle azioni partigiane. L’OZAK, Operationszone Adriatisches Küstenland, ovvero questi territori, erano comandati da criminali di guerra come Odilo Globočnik, che provenivano dall’Europa Orientale dove avevano perpetrato la più spietata guerra contro i civili, come metodo di controllo dei territori.

E come nel mito narrato dalle grandi tragedie greche, nelle ultime settimane di guerra si assisterà anche alla morte di tutti e tre gli eroici comandati della Brigata Unificata “Ippolito Nievo A”. Richard sarà colpito in un’imboscata, catturato, sarà lasciato morire dissanguato il 18 marzo 1945 a 38 anni. Maso sarà tradito, e cadrà in combattimento sul Col Sauc il 12 aprile del 1945 a 34 anni. Infine Tribuno, tradito anche lui e catturato a Bicinicco nel febbraio ’45 dai fascisti della X Mas, sarà torturato nella famigerata caserma “Piave” di Palmanova e poi fucilato nel carcere di Udine a 32 anni il 9 aprile del 1945 insieme ad altri 29 partigiani tra cui il comandante Mario Foschiani “Guerra” commissario politico della Divisione Garibaldi “Carnia”.

La guerra di Liberazione sulle montagne del Friuli Occidentale, a Piancavallo, e le realtà civili e organizzative che permise di costituire furono l’embrione di ciò che sarà di lì a qualche anno la Repubblica democratica Italiana. Questo luogo, a 1800 m s.l.m. fu e rimane quindi un punto archimedeo, un punto d’appoggio di straordinaria attualità anche in questa nostra “grande epoca”, come Karl Kraus chiamava ironicamente la sua, poco prima di iniziare a scrivere “Gli Ultimi giorni dell’Umanità” nel 1914. Perché in questa nostra epoca al governo c’è una forza politica che fa molta fatica a dichiararsi antifascista e che si ispira a personaggi che non partecipavano certamente alle riunioni clandestine del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia dal quale dipendevano tutte le forze partigiane, semplicemente perché combattevano a fianco dei nazisti.

Cittadine e cittadini, il nostro impegno antifascista dopo 79 anni di liberazione deve essere oggi, quindi, più fermo e determinato di sempre. Festeggiamo dunque con rinnovata consapevolezza la preziosa eredità etica e storica del 25 Aprile!

Se oggi possiamo dirci cittadine e cittadini, e non sudditi, lo dobbiamo solamente al sacrificio delle migliaia di giovani, come questi 63 che ricordiamo oggi, che immaginando profeticamente un mondo che non avevano conosciuto, hanno riscattato la feroce barbarie del ventennio fascista che aveva soppresso i partiti e i sindacati, represso il dissenso politico, varato vergognose leggi razziali, e infine condotto l’Italia ad una sciagurata guerra di aggressione imperialista a fianco dei nazisti, fino a cedere loro la sovranità sul Friuli Venezia Giulia. Furono giovani che maturarono nella lotta armata e nella resistenza civile i più alti principi di solidarietà, libertà e uguaglianza che informano la nostra Costituzione; che è la Grande Incompiuta, come la chiamava Calamandrei. Incompiuta, non solamente perché era ed è ancora ben lontana, ahimè, dall’essere pienamente realizzata, ma perché la Costituzione è pensiero vivo, che si deve fare azione e lotta continua. La Costituzione è l’unica legge che non procede dall’alto verso il basso, partendo dall’autorità per limitare la libertà del popolo, ma va all’incontrario, parte dal basso e fissa i limiti dell’autorità, perché solamente al popolo appartiene la sovranità, come recita l’articolo 1.

La Resistenza partigiana fu matrice di diritti individuali come la libertà e l’autodeterminazione, le pari opportunità, la sanità, la scuola, la giustizia ma anche di diritti collettivi come, la democrazia, l’ambiente e il paesaggio, la cultura, la tutela delle minoranze, la salute.

Per ogni antifascista la Resistenza è principio e riferimento etico: perché non è sufficiente esistere, l’imperativo morale è r-esistere.

Si deve resistere, in primo luogo, all’indifferenza nei confronti delle violazioni dei diritti degli altri. Perché i diritti o sono di tutti oppure non sono. E l’attendismo, o l’indifferenza o il non-dissenso, come fu in Italia un secolo fa durante il fascismo, è già complicità. Non deve venire mai meno la forza di scandalizzarci e il coraggio di dimostrarlo di fronte alle tragedie contemporanee che violano l’Art. 10 della nostra Costituzione. Quella dei migranti economici che attraversano il Mediterraneo, e possono ben chiedersi usando le parole di Virigilio, quaeve hunc tam barbara morem permittit patria? hospitio prohibemur harenae; bella cient primaque vetant consistere terra. Eneide I,541 (qual è questa patria che permette usanza tanto barbara per cui ci viene negato il rifugio della sabbia e che ci vieta l’approdo alla terra più vicina?) Oppure quella dei migranti lungo la rotta balcanica che fa tappa presso quella vergogna collettiva che è la topaia del Silos a Trieste. O quella dei civili nella striscia di Gaza contro i quali viene combattuta una guerra indiscriminata che non viene condannata perché pochi nel mondo osano alzare la voce contro i doppi standard che da decenni sono applicati spietatamente contro quel popolo, denunciati da Amnesty International. O quella delle disumane vasche di plexiglas e rete del Centro di Permanenza per i Rimpatri di Gradisca. O ancora quella della povertà nella quale vivono tante persone anche nella nostra regione, il cui Presidente si vanta di avere un PIL pro-capite maggiore della media nazionale, e non rileva la povertà delle disparità economiche, del precariato e dello sfruttamento lavorativo, e del caporalato; povertà che vede la nostra regione sopra la media nazionale per numero di persone che rinunciano alle cure a causa del collasso della sanità pubblica universalistica.

Ognuna di queste tragedie viola articoli ben precisi della nostra Costituzione mettendoli a rischio. Incomincio dal diritto alla salute, sancito all’Art. 32 come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. La Partigiana Tina Anselmi, primo ministro donna della Repubblica, seppe interpretarlo con la Legge 833 e l’istituzione nel 1978 del Servizio Sanitario Nazionale, sulla base dei principi di uguaglianza, universalità ed equità. Questo servizio, divenuto poi sistema aziendale, appare oggi messo profondamente in discussione. I processi di privatizzazione e di finanziarizzazione della sanità in atto stanno accrescendo le disuguaglianze in salute e portano a intendere la salute non come bene comune, ma come mera prestazione di cura quando la malattia è già in atto, azzerando la medicina di iniziativa, di prevenzione e di riabilitazione. La salute va intesa invece in modo olistico, come One Health secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, non solamente quindi come assenza di malattia, ma anche come benessere, mentale, relazionale ed emozionale, degli esseri umani come delle altre specie viventi su questo pianeta e dell’ambiente. È illusorio pensare che la salute si possa garantire individualmente con assicurazioni integrative, perché anche se è bene individuale, la salute degli altri è un determinante della nostra salute. Quest’anno festeggiamo il centenario della nascita di un eroe civile quale Franco Basaglia, che invocò un nuovo umanesimo, a partire dalla restituzione di un’umanità ai malati mentali. Purtroppo in questa regione stiamo assistendo alla demolizione della sua eredità proprio ad opera dell’attuale Assessorato alla salute.

Si deve resistere al risucchio semplicistico degli slogan populisti dei demagoghi e all’uso politico della Storia, che attraverso post-verità e narrazioni deformanti annebbia le nostre coscienze. Esempi emblematici sono le censure in RAI, ma anche la Giornata del Ricordo, che viene celebrato nel giorno della firma del trattato di pace di Parigi del 1947, che quindi implicitamente strumentalizza l’esodo istriano-dalmata per rivendicare l’imperialismo fascista sui territori oggi sloveni, capovolgendo i ruoli nelle azioni di pulizia etnica perpetrate durante il fascismo in quei territori. Altri esempi sono i tentativi di rivalutazione di fascisti e neo-fascisti, celebrando ricorrenze e intitolando premi a figure discutibili, come ha fatto recentemente la Regione FVG, con ben 30mila euro, e soprattutto la rilettura della lotta di Liberazione, come guerra civile ponendo condizioni sempre più difficili all’ANPI per promuovere la storia più nobile del nostro paese nelle scuole.

Si deve resistere, e difendere l’art. 4 relativo al diritto al lavoro, che invece ormai vede la morte sul lavoro non avvenire più in casi singoli ma addirittura a gruppi come nel disastro ferroviario di Brandizzo, o quello nel cantiere Esselunga a Firenze o quello nella centrale idroelettrica di Suviana. Piuttosto che Repubblica fondata sul lavoro, il nostro paese sembra una repubblica fondata sulla morte dei lavoratori, sul lavoro sfruttato delle esternalizzazioni, dei subappalti e del caporalato. A lungo ci siamo battuti contro l’esternalizzazione del ruolo dei Guardiadighe presso le grandi derivazioni idroelettriche pordenonesi gestite da Edison, ma inutilmente.

Si deve resistere alla criminalizzazione del dissenso oggi utilizzata da chi è al potere e che sempre più frequentemente si traduce in violenza fisica, come quella delle forze dell’ordine a Firenze e Roma nei confronti delle proteste studentesche, oppure psicologica come quella del sindaco di Pordenone con le minacce di cause di risarcimento milionarie ai cittadini che vogliono contrastare la sciagurata scelta di abbattere i tigli dell’ex-fiera, o come quelle di grandi gruppi industriali ad altri cittadini che hanno fatto una petizione contro l’uso privato dei beni comuni come l’acqua e l’aria delle nostre lagune. Dobbiamo difendere gli Artt. 17, 18, 21 della nostra Costituzione ovvero sulle libertà di riunione, associazione ed espressione

Si deve resistere alla dilagante mentalità dell’opportunismo egoista e prepotente, meschino ma servile, forte con i deboli e debole con i forti, che si manifesta nella maschilistica sopraffazione dell’altro, e soprattutto dell’altra, e che si incarna negli uomini cosiddetti di successo, che “scendono” in politica con slogan demagogici e populisti, che ragionano solamente in termini di valore di scambio, di possesso e di utili finanziari, giustificando così qualsiasi disumanità nel lavoro. Provo ancora forte la vergogna per quel tributo servile a Berlusconi che tutto il paese, a parte alcuni di noi, hanno voluto tributare alla sua morte presentandolo come modello, come fece Fedriga in Consiglio Regionale, indifferente al fatto che fosse stato condannato per frode fiscale.

Si deve resistere alla logica della guerra, nella quale stiamo scivolando malgrado l’Art. 11 della nostra Costituzione, e alle seduzioni dell’industria bellica, anche se creano posti di lavoro e utili vertiginosi, e dobbiamo rifiutare i discorsi che parlano dell’inaccettabilità di una pace ingiusta e così giustificano una guerra giusta. Questo rifiuto deve essere ancora più esplicito e fermo proprio qui ad Aviano base di F-16 ed F-35, il costo di uno solo dei quali darebbe cure mediche per interi ospedali nella maggior parte dei paesi del mondo. Come sosteneva Simone Weil, la guerra è solamente la celebrazione della forza, di quella violenza che trasforma vinti e vincitori in cose.

Si deve resistere ad un governo di estrema destra che oggi ci governa e violerà il principio di uguaglianza, sancito dall’Articolo 3 della Costituzione, il dovere di Solidarietà sancito dall’Art.2, nonché l’unità della Repubblica sancita dall’Art. 5, se passeranno le sue leggi fasciste di Autonomia Differenziata che assicureranno solamente i LEP (livelli essenziali di prestazione) come base comune, permettendo la secessione dei ricchi che potranno invece godere di maggiori servizi. Queste norme riconfigureranno l’Italia in un collage di territori privilegiati o svantaggiati per legge. Ci si deve opporre a chi vuole cambiare la Costituzione introducendo il premierato, spezzando quel sistema delicatissimo di pesi e contrappesi che concreta quella separazione dei poteri, che sin dalla Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen del 1789 costituisce il principio della democrazia.

Voglio infine ricordare la vigliacca irrazionalità di questo paese che ha varato il DL 30 aprile 2022, n. 36 che istituisce all’Art. 43 un Fondo per il ristoro dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità per la lesione di diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945. Ma, al tempo stesso, attraverso, l’Avvocatura dello Stato ne ha sollevato l’incostituzionalità allungando di un ulteriore capitolo l’annosa saga dei risarcimenti per i crimini nazisti, sorta in anni recenti, molto dopo la scarsa persecuzione penale postbellica, frenata prevalentemente da motivazioni politiche. È una vicenda sviluppatasi parallelamente alla persecuzione penale conseguente alla scoperta dell’armadio della vergogna, terminata nel 2013 e seguita dalla mancata consegna dei condannati da parte della Germania.

Voglio infine concludere questa orazione citando un altro partigiano del Friuli Occidentale, che ho spesso ricordato nelle commemorazioni ufficiali a Udine: Luciano Pradolin “Goffredo”. Comandante del battaglione “Meduna” della Osoppo. Protagonista della battaglia sul Rest a difesa della Repubblica della Carnia, fu catturato a Maniago nel gennaio 1945 e portato nel carcere di Udine dove, dopo un processo sommario  l’11 febbraio 1945 venne fucilato a 24 anni, insieme ad altri 23 prigionieri, molti dei quali di Tramonti, lungo il muro del cimitero di Udine, come rappresaglia per l’assalto al carcere di Via Spalato a Udine avvenuto il 7 febbraio 1945, che aveva portato alla liberazione di 73 detenuti, tra partigiani e prigionieri politici da parte di “Romano il Mancino” Glindo Citossi, comandante del gruppo dei GAP dei Diavoli Rossi. Pradolin scrisse varie lettere alla famiglia dal carcere, una di queste alla sorella Rina, che compare anche nella famosa raccolta dell’Einaudi “Lettere dei condannati a morte della resistenza” e riporta alcuni versi della poesia di Leopardi “Nelle nozze della Sorella Paolina”, tratta dai Canti. Ebbene, al di là del fatto che l’edizione contiene alcuni errori che invece non sono presenti nell’originale della lettera, penso che tale straordinario documento andrebbe letto e discusso nelle scuole perché offre a mio avviso un’interpretazione nuova, ma autentica, di tale poesia. Nobilita la poesia stessa ma mostra anche come il fascismo e il neofascismo, come riconosciuto da Gobetti e da Flaiano, è un rischio secolare sempre in agguato nella mentalità di tanti cittadini di questo paese.

O miseri o codardi
Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso
Tra fortuna e valor dissidio pose
Il corrotto costume. Ahi troppo tardi,
E nella sera dell’umane cose,
Acquista oggi chi nasce il moto e il senso.
Al ciel ne caglia: a te nel petto sieda
Questa sovr’ogni cura,
Che di fortuna amici
Non crescano i tuoi figli, e non di vile
Timor gioco o di speme: onde felici
Sarete detti nell’età futura:
Poiché (nefando stile,
Di schiatta ignava e finta)
Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta.

La Festa della Liberazione è la ricorrenza più significativa per ogni cittadina e cittadino che sente il bisogno di riaffermare i valori antifascisti di libertà, democrazia, solidarietà, che sono tanto facili da perdere ma così difficili da riconquistare!

Viva la Resistenza, Viva la Repubblica Italiana e la sua Costituzione, che da questa sono nate e vivano i 63 partigiani del monumento alla Resistenza di Piancavallo, che oggi abbiamo celebrato insieme!

 

 

 

 

Relazione minoranza Honsell DDL 8 “Misure intersettoriali”

Ecco la sintesi di questo DDL: altri 337,37 milioni di Euro freschi riversati con rapida disinvoltura su una manciata di interventi ordinari e generici, che ne delegano l’erogazione a enti e soggetti intermedi, drammaticamente al di fuori del controllo del Consiglio; quasi non si volesse pensarci su troppo, oppure non lo si volesse lasciar fare a chi intendesse farlo – come noi del Gruppo Misto cercheremo invece di fare in questa relazione.

In passato questa norma finanziaria veniva chiamata “il mini-assestamento di autunno”; ma non è certamente “mini” per gli importi coinvolti. Non si erano mai viste tali somme, a memoria di consigliere. Semmai, e lo dico con sconforto, è “mini” l’ampiezza dell’orizzonte strategico che esprime il DDL.  Ben 135 milioni vanno ai fondi di rotazione agricoli ed industriali da usarsi per finanziare iniziative sottoposte alla valutazione degli istituti di credito a cui insindacabilmente viene lasciato il compito di giudicarne l’interesse. Questo non potrà che essere misurato in termini di ritorni di utili meramente finanziari e non certo socio-economici. Altri 60 milioni di euro vanno al sistema sanitario regionale, ovvero in mano a un manipolo di direttori generali, che ne disporranno tenendo ben in mente i criteri aziendalistici rispetto ai quali verranno valutati, e solitamente lautamente premiati, ovvero la chiusura in attivo del bilancio. Di tempi di liste di attesa, di premialità per i lavoratori al fine di migliorare il clima aziendale, di reclutamento, nemmeno una parola chiara. Addio quindi, anche a questi 60 milioni. Ulteriori 100 milioni sono trasferiti sui fondi della Protezione Civile, con il nobilissimo motivo di ristorare i danni causati dagli uragani dello scorso fine luglio. Peccato che sono fondi cosiddetti “fuori bilancio”, chissà se poi scopriremo, come fu per i fondi della tempesta Vaia, che verranno impiegati in zone che non erano state minimamente colpite per fare nuove strade impattanti di dubbia utilità, se non per coloro che le progetteranno e realizzeranno o per farsi vedere alla tappa del Giro d’Italia? Cosa resta del tesoretto? 15 milioni per la messa a norma degli impianti sportivi che permette di scorrere le graduatorie in essere. Misura accolta dall’evidente tripudio di quasi tutta l’aula – chissà di quanto materiale sintetico vedremo ricoprire campi precedentemente in erba, grazie a questa norma? Tripudio generale anche per gli sciagurati ulteriori 6 milioni di incentivo ai consumi di carburanti per l’autotrazione di veicoli privati che portano in totale a 66 milioni il contributo nel 2023. Tutto ciò mentre il clima aziendale presso le società del TPL si deteriora vergognosamente nell’indifferenza della Regione, che dovrebbe invece controllare quel contratto che è uno degli ambiti caratterizzanti la propria specialità regionale. Se questa misura agevolativa andasse solamente a chi avesse bisogno perché vive in aree non servite adeguatamente dal TPL ne basterebbe una frazione infinitesima. Cosa resta? Ah sì! Ci sono oltre 10 milioni per l’emendamento jolly, a cui si è fatto cenno con il consueto accompagnamento di ammiccamenti in Commissione, ma ancora ignoto all’atto della stesura di questa relazione, i cui milioni per adesso sono posizionati sui misteriosi capitoli dei “Nuovi provvedimenti legislativi”. Non rimangono così che alcuni milioni, pochi punti percentuali sul totale, dispersi su una discreta moltitudine di interventi, alcuni dei quali certamente funzionali.

Ciò che colpisce del percorso di questa norma è che nemmeno in una delle tante sedute ci sia mai stato un momento strategico, dove chi dovrebbe guidare la politica della regione ritenesse necessario condividere la propria strategia o i propri progetti per fronteggiare le criticità e le complessità del prossimo futuro. Sembra che la Giunta e la maggioranza in Consiglio abbiano innestato il pilota automatico. Altro che “Io sono il governatore del Friuli Venezia Giulia” come si è espresso il Presidente Fedriga di fronte al Presidente della Repubblica Mattarella in occasione della commemorazione della strage del Vajont. Di “governo”, così come vorrebbe l’etimologia della parola, non mi sembra ci sia traccia, ci sono solamente i riflessi condizionati di un ordinario amministratore di sostegno. Forse il messaggio del Presidente Fedriga al Presidente Mattarella, con quell’incipit, alludeva all’Autonomia Differenziata, che il suo partito persegue in ossequio all’asfittico principio che i privilegi vadano blindati. Attenzione allo sconquasso di tale norma, si ritorcerà contro proprio alle regioni che la propongono. Mancheranno i lavoratori! Comunque sia, di “memorabili gesta da governatore” in questo DDL 8 non mi sembra ce ne siano.

Colpisce invece, ad esempio, che al sistema scuola-università siano destinati meno di 1,5 millesimi dell’ammontare di questo assestamento. Certamente a chi dice di governare non preoccupa molto il fatto che siano proporzionalmente tanti, nel decrescente numero di giovani che se ne vanno della nostra regione, perché non trovano né affitti né tasse universitarie concorrenziali da parte delle università locali rispetto a quelle situate in aree più dinamiche del nostro paese – aree più dinamiche anche perché non hanno avuto amministrazioni di destra negli ultimi 5 anni. A chi dice di governare, non preoccupa nemmeno subire supinamente i piani di accorpamento delle scuole. Non c’è nemmeno la garanzia che non saranno accorpate le scuole di insegnamento slovene. Abbiamo sentito infatti ripeterci “che se ci sono meno scolari allora ci devono essere meno scuole”. Ma questo ragionamento va capovolto, esercitando quel gioco del rovescio mediante il quale, come diceva Antonio Tabucchi, spesso emerge la verità, ovvero: se ci sono poche scuole allora ci saranno meno scolari! Quanto si sarebbe potuto fare con parte delle tante risorse disponibili, per rendere più attrattivo il sistema scuola-università! Così andiamo proponendo inascoltati dai tempi del COVID.

Colpisce anche il ritiro nel 2023, con balzo a piè pari al 2024, dei 10 milioni di finanziamenti per i famosi progetti bandiera sull’idrogeno, così come di altri 14 milioni per la riconversione di aree industriali dismesse per la creazione di centri di produzione di idrogeno da fonti di energia rinnovabili, che avrebbero dovuto essere il fiore all’occhiello della Regione. Floscia pende dal pennone la bandiera, degli eponimi progetti, e il fiore all’occhiello, della giacca del Presidente Fedriga, è appassito già da molte primavere. Non è successo ancora quasi nulla in quel settore se non una moltitudine di annunci. Si deve concludere che quindi è soltanto l’annuncio, ciò che si ricerca. Quest’anno la scusa è che i ritardi siano ascrivibili al governo statale, ma non avevamo messo delle risorse regionali? E il governo statale non aveva promesso innovazione? Carsicamente riaffiorano (mai avverbio fu più calzante vista la nostra regione) 5 milioni dei 15, finanziati ormai tanti annunci fa, per i famosi progetti benedetti dall’accordo con NOVARTIS. Tranquilli! Mi hanno assicurato in Commissione che la casa farmaceutica non c’entra più nulla.

Preoccupa, in modo esemplare, il comma 17 dell’articolo 5. Sempre più spesso vediamo infatti, e a tutti i livelli, l’esercizio della legislazione derogatoria eccezionale. In questo caso si eliminano disposizioni che erano state introdotte per rendere più trasparente l’utilizzo di contributi e di ristori. Ma, se davvero era necessario intervenire d’urgenza – ricordo che gli eventi calamitosi sono avvenuti più di due mesi fa! – e se l’esperienza di Vaia insegna, i fondi per i ristori non sembra siano impiegati solamente per interventi direttamente legati alle emergenze per cui sono varati, perché dunque non si rispettano le disposizioni standard per i provvedimenti amministrativi. La legislazione in deroga eccezionale è molto pericolosa. L’esempio della cosiddetta Soprintendenza Straordinaria PNRR insegna che può provocare danni al patrimonio ambientale che è chiamata a difendere: leggi ovovia, tigli a Pordenone, ecc.

Parlando sempre di normativa derogatoria eccezionale all’articolo 5, comma 15, andrebbe specificato almeno che i ricoprimenti dovrebbero mantenere forma e colore invariati, e all’articolo 7, comma 3, la deroga prevista risulta ambigua e andrebbe riformulata.

In tema di ambiente, almeno leggendo i documenti che ci sono stati dati, non appare che le azioni promesse dalla L.R. bandiera n. 4/2023 FVGreen siano iniziate. Alla Tabella D, riferita all’articolo 4 infatti, vengono tolti oltre 2 milioni dai capitoli pertinenti. Forse qualcosa rientrerà con gli acquisti previsti alla tabella J dell’articolo 10, ma non ho sentito parlare di software per misurare gas climalteranti o per stilare il bilancio delle emissioni. Questa regione voleva candidarsi a raggiungere l’obiettivo di emissioni 0 di gas serra con 5 anni di anticipo rispetto all’Europa, ma se continua a non dotarsi degli strumenti per misurarli, non saprà nemmeno da dove cominciare e ci sentiremo ripetere con spudoratezza che gli incentivi per il carburante agevolato ad autoveicoli privati e alle compagnie low-cost, tramite la società aeroporto, hanno questo fine (!?).

Una riflessione approfondita va fatta sul tema dell’acqua. Se da un lato vengono assegnati 500.000  euro all’autorità d’ambito (ricordo comunque che il piano d’ambito almeno ai miei tempi era dell’ordine del miliardo di euro) è risultato invece inequivocabilmente, nella recente audizione dell’Assessore e dei portatori, non di acqua, ma d’interesse relativamente alla rinaturalizzazione del  Lago dei Tre comuni, la più totale mancanza di qualsiasi strategia regionale di mitigazione e di adattamento ai mutamenti climatici soprattutto per quanto riguarda le risorse idriche. Anzi il PNRR sembra essere il motore, di una scelta – ovvero la riduzione del flusso nel Tagliamento a fini di approvvigionamento agricolo – che potrebbe avere gravi conseguenze perché tale riduzione del flusso sarebbe proprio in corrispondenza dei pozzi di approvvigionamento del CAFC presso il Mulino del Bosso. Il Consorzio Ledra Tagliamento, nell’incontro avuto, ha mostrato documenti che attestano come l’approvvigionamento dei pozzi derivi dal versante orientale e quindi tale riduzione non dovrebbe alterare la disponibilità d’acqua dell’acquedotto più importante del CAFC, ma il “marcatore solfati” sembra dare indicazioni opposte. La Regione e l’Assessore all’ambiente non possono rimanere passivi a guardare, lasciando che a decidere della questione sia solamente la disponibilità di denaro data dal PNRR. Sarebbe urgente avere un gruppo di studio permanente per la questione idrica nella nostra regione, come avevo già proposto, peraltro inutilmente, ormai da diverse finanziarie. È comunque drammatica la mancanza di progettualità almeno in tema di mitigazione e adattamento se non di prevenzione dei mutamenti climatici. Non si può rispondere a questi eventi solamente derogando alle norme che disciplinano le modalità di erogazione dei contributi alla protezione civile.

Dei tre principali settori nei quali si manifesta la specialità di questa Regione ovvero trasporto pubblico locale, del quale ho già espresso il disinteresse da parte della Regione di svolgere il ruolo di controllore che le compete, ci sono la Sanità e gli Enti Locali. Circa la sanità ribadisco ancora una volta l’impossibilità di scalfire le logiche aziendalistiche che fischiano il fuori gioco al Consiglio. Incidentalmente ho chiesto in Commissione quali sono le strategie che la Giunta ha approvato per contenere le liste d’attesa con i 10 milioni assegnati a luglio. Ho ricevuto in risposta un foglietto con il numero di una delibera scarna che rimandava ad un riparto meno espressivo per specifiche e lunghezza, ancorché enormemente più pingue, degli appunti personali che ci facciamo quando andiamo al supermarket il sabato mattina. Mancano chiari indicatori di input, e indicatori di risultato. Certamente a partire da quel numero di delibera, come in una caccia al tesoro, si può risalire a molti atti, ma dubito che strategie definite in modo così frammentario possano essere misurabili, evidence based. Questa, non mi sembra una metodologia rigorosa per affrontare uno dei problemi più gravi che affliggono i nostri cittadini. Comunque un terzo di tale importo va al famoso privato accreditato. Il rimanente a non meglio precisati “acquisti di prestazioni aggiuntive” e forse qualche centinaio di euro ad assunzioni temporanee. Adesso capisco perché fu bocciato il mio emendamento nello scorso assestamento che chiedeva che in Commissione di spiegassero le strategie proposte dalle Aziende per far fronte a tale emergenza.

Circa gli Enti Locali, infine, si saluta con soddisfazione che, dopo aver smantellato in modo certosino qualunque possibilità di organizzazione sovracomunale quale poteva essere una ristrutturazione delle UTI, questa Giunta finalmente si renda conto che la tanto sbandierata re-introduzione delle Province come enti di area vasta, non è lo strumento efficace per affrontare la programmazione e lo sviluppo del terriotrio. Alla Tabella K riferita all’articolo 11 finalmente, come noi andavamo ripetendo ormai da 6 anni, si incomincia a utilizzare il vocabolo “sovracomunale”, premiando le iniziative non di area vasta, ma sovracomunali. Non si può che essere lieti che finalmente questa Regione abbia riscoperto una parola nel vocabolario! Sono lieto di vedere riemergere la logica delle UTI, chissà che tra qualche anno non si ritorni a 6 anni fa!

Un ragionamento diverso su questo DDL può partire a nostro avviso da considerazioni sulla natura delle entrate ovvero i 337,37 milioni dell’assestamento. Ebbene 250 milioni di questi derivano dall’iscrizione di 250 milioni di ulteriori entrate tributarie “giustificati del favorevole andamento delle stesse” come riportato in relazione. Mentre 87,37 derivano dal conguaglio di compartecipazioni ai tributi erariali spettanti alla Regione per annualità pregresse. Leggendo le Tabelle di variazione, circa la metà di questo importo, ovvero poco più di 140 milioni derivano dall’IVA “scambi interni”, che come avevo evidenziato anche nello scorso assestamento è tassa indiretta che colpisce tutte le fasce di reddito in modo uguale e dunque proporzionalmente in modo assolutamente iniquo le fasce più povere. E aspetto ancora più grave tale incremento è dovuto, in una misura che apparentemente nessuno ha il coraggio nemmeno di tentare di valutare, proprio dall’inflazione e dunque non costituisce ricchezza, bensì implica ulteriore povertà per i cittadini. Queste considerazioni indicano in primo luogo che le risorse in entrata, ancorché per certi versi ancora ipotetiche seppur tecnicamente giustificatissime, valgono meno di quanto numericamente sembrino. Non a caso alcune delle poste, anche in questo assestamento, sono dettate dal compensare l’aumento dei costi di interventi progettati e finanziati in passato. Ma soprattutto, l’analisi sin qui svolta indicherebbe che queste nuove risorse andrebbero impiegate per ridurre le disparità socio-economiche, nella direzione della maggiore equità. Tale riequilibrio si potrebbe realizzare restituendo l’ammontare delle addizionali regionali solamente alle fasce più deboli, irrobustendo gli strumenti per la stabilizzazione lavorativa, e potenziando il sistema di welfare e di inclusione sociale a favore degli “ultimi”. Purtroppo gli ultimi sono spesso invisibili a chi governa, infatti queste norme vanno invece quasi tutte a sostenere chi comunque non ha fragilità strutturali. Esempio emblematico sono i fondi di rotazione, assoggettati alla bancabilità sancita da un ente privato. Altro tema importante è quello relativo alle stabilizzazioni come discusse al comma 4 dell’articolo 7. Le risorse su questi incentivi di politica attiva del lavoro dovrebbero permettere di esaurire tutte le domande inevase presentate nel 2022 e del 2023. Ci risulta invece che ciò non sarà ancora raggiungibile, e se avverrà, avverrà solo nel 2024.

Oltre all’equità queste risorse in entrata andrebbero investite nella prevenzione, sia sanitaria che ambientale – anche se non occorrerebbe fare questa distinzione perché non c’è vera salute se non in un ambiente che dia benessere. Come si è già detto, andrebbero varati piani di mitigazione e di utilizzo di aree dismesse degradate pubbliche e piani di bonifica per contenere i danni delle improvvide azioni del passato.  Ma come ci è stato spiegato in relazione ad altre progettualità Regionali, si è evidentemente deciso, anche in questo caso, di “tenere il motore al minimo.”

Non ci saranno in eterno queste disponibilità finanziarie. In conclusione, come Gruppo Misto riteniamo che le enormi risorse di questo DDL non vengano investite in modo fruttuoso, quanto invece avrebbero potuto. Ci chiediamo se ci saranno risorse anche quando i problemi che segnaliamo non saranno più procrastinabili, o si agirà in modo estemporaneo anche allora?

Per tutti i motivi sopra esposti, in Commissione abbiamo dato voto contrario a questo mini-assestamento. Nel corso del dibattito in aula presenteremo comunque emendamenti e ordini del giorno nelle direzioni innovative che abbiamo indicato. Se però, come ormai avviene da quando si è insediata la Giunta Fedriga, la maggioranza preferisce presentare un provvedimento fotocopia la prossima occasione piuttosto che accogliere in anticipo un emendamento proposto dall’opposizione, il nostro voto sarà contrario sia per i contenuti che per le modalità operative del sedicente “governo” di questa regione.

Relazione di minoranza Honsell DDL 5 “Rendiconto generale esercizio finanziario 2022”

Il rendiconto non è un mero adempimento contabile – è invece uno strumento per analizzare i risultati di un anno di attività. Certamente sarebbero auspicabili anche altri strumenti per valutare gli indicatori di risultato. I bilanci meramente contabili dovrebbero essere integrati anche da qualche valutazione di sintesi derivante dal controllo di gestione o svolta da parte di organismi indipendenti, come il sistema di valutazione Bersaglio della Scuola Sant’Anna di Pisa relativamente alla Sanità. Purtroppo la cultura del risultato non è ancora sufficientemente diffusa, e men che meno disciplinata, nel nostro sistema amministrativo però.

Questo rendiconto offre comunque molti spunti, soprattutto perché i corposi documenti che sono stati redatti dall’Assessore e dal suo staff, guidato dalla Dott.ssa Bonini e il Dott. Zacchigna, sono accuratissimi. Ringrazio tutti loro per la disponibilità al chiarimento e alle spiegazioni che mi hanno dimostrato.

Preso atto della Dichiarazione di affidabilità (Déclaration d’Assurance) del Rendiconto generale della Regione Friuli Venezia Giulia per l’esercizio 2022, e di legittimità e regolarità delle relative operazioni, deliberata dalla Sezione di Controllo della Corte dei Conti della regione FVG, non vanno sottovalutate però alcune conclusioni  non proprio elogiative, ivi contenute, che riporto verbàtim (il corsivo è mio): “[…]si ritiene, invece, opportuno ritornare sul tema della piena applicazione della contabilità armonizzata con particolare riferimento al titolo II del d.lgs. n. 118/2011. … Sul punto, giova … richiamare quanto espresso in sede di giudizio di parificazione del rendiconto 2021 della Regione FVG, dove la Sezione ha sottolineato che <<anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, … la rinuncia della Regione all’applicazione del titolo II del decreto legislativo 118/2011, e quindi all’applicazione della contabilità armonizzata al sistema sanitario, seppure attualmente consentita nell’ordinamento, ha generato effetti contrari alle logiche che sovraintendono al coordinamento della finanza pubblica e ad una razionale gestione della spesa … l’omogeneità dei criteri di gestione che discende [da questi strumenti, assicura] chiarezza e certezza della situazione economico patrimoniale e finanziaria degli enti del servizio sanitario di ogni Regione, … [questi strumenti] pertanto risulterebbero estremamente utili ai fini di una ragionevole programmazione per un settore di spesa che grava in modo tanto significativo sulla finanza regionale….>> Anche per il Friuli Venezia Giulia, quindi, l’applicazione dell’armonizzazione è un obiettivo non più procrastinabile”.

La reiterazione, anno dopo anno, di queste osservazioni da parte della Corte dei Conti, e proprio relativamente al bilancio della Sanità della Regione che è alquanto opaco anche perché le aziende sanitarie non vengono nemmeno ricomprese in sede di Bilancio consolidato, appare come un segnale di serio allarme per il Consiglio, soprattutto alla luce delle difficoltà che investono tale sistema in questi anni!

Confrontando le relazioni sui rendiconti degli ultimi 3 anni si presentano alcuni numeri caratteristici, che vale la pena di prendere considerazione e analizzare e suscitano una certa preoccupazione:

Pareggio di

competenza

Entrate accertate

 

Fondo pluriennale

vincolato

Avanzo di amministrazione

applicato

Risultato di

amministrazione 

disponibile (avanzo libero)

2020 9.770.503.600,55 7.603.571.615,93 1.803.605.538,26 363.326.446,36 362.319.690,31
2021 9.547.217.033,59 7.798.238.353,30 1.098.440.133,7 650.538.546,59 691.945.014,63
2022 11.179.324.434,85 8.075.628.768,35 2.081.924.093,52 1.021.771.572,98 912.506.347,10

 

Cresce a dismisura, quasi di due terzi all’anno in media, l’avanzo di amministrazione applicato e l’avanzo libero del risultato di amministrazione. Alla luce del modesto incremento delle entrate, ciò evidenzia che questi anni e in particolare il 2022 sono stati anni di promesse a cui non è stata data esecuzione, molti stanziamenti sono andati in economia e troppe stime sono state fatte inutilmente al ribasso. Tutto ciò è in linea con l’impressione, da noi più volte sottolineata, del resto, che i tanti movimenti contabili avvenuti nel 2022, e negli anni precedenti, sono stati piuttosto sterili a fronte dei gravissimi problemi socio-economici e ambientali che la regione sta vivendo.

Altre considerazioni molto importanti, e insoddisfacenti ahimè, sono quelle che derivano dalla Tabella relativa ai risultati di gestione articolata per Missione. Ad esempio:

Missione 13. Tutela della salute 17. Energia e diversificazione delle fonti energetiche  (utilizzato) 10. Trasporti e diritto alla mobilità – percentuale utilizzata (utilizzato)
2020 3.281.871.153,31 17.110.941,38                16,62% 1.104.102.612,92          31,12%
2021 3.354.631.872,89 17.635.454,75 1.204.517.092,61          72,18 %
2022 3.684.026.330,09 42.176.444,11 1.844.714.744,73          57,86%

 

A fronte di questi dati verrebbe da scrivere: senza parole.

Ci si chiede invece come mai per la tutela della salute si sia speso poco più dell’incremento dovuto all’inflazione ovvero 282 Milioni di euro, che nel 2022 si è impennata di ben 8,4% rispetto al 2021? Non a caso le liste di attesa sono ancora così lunghe! Come mai si spende così poco per la transizione energetica, malgrado gli annunci? Il diritto alla mobilità è davvero reso esigibile oppure si impegna denaro che poi produce solo progetti e non viene speso?

Anche la quota relativa alla Missione 12 (Diritti sociali, politiche sociali e famiglia) appare piuttosto misera, solamente 428.104.011,01 con un modesto indice di spesa del 85,49%.

Numerosi sarebbero gli ulteriori dati da evidenziare e da analizzare, ma si sarebbe dovuto fare ciò in Commissione. Ancora una volta invece rilevo la difficoltà a discuterne in quella sede e la scarsa attenzione che colà è stata riservata a questo documento.

Mi limito a menzionare solamente tre dati. Il primo riguarda il fondo di cassa determinato all’inizio dell’esercizio:

Fondo di cassa a inizio anno
2020 2.529.366.104,91
2021 3.732.814.902,05
2022 5.016.651.531,75
2023 6.026.098.223,10

 

Cresce significativamente a conferma di un certo attrito nella capacità di promuovere la circolazione del denaro da parte della Regione.

Il secondo riguarda le principali variazioni alle previsioni finanziarie intervenute in corso d’anno nel 2022. Questi riguardano soprattutto i trasferimenti correnti da Amministrazioni pubbliche (+575.099.642,28) e da Imprese (+161.149.406,65).

Interessantissimo inoltre è notare, che già alla pagina 1 del Bilancio c’è un’anomalia significativa. Appaiono ben 756.215.002,11 in più nella voce Entrate correnti di natura tributaria, contributiva e perequativa derivanti da imposte, tasse e tributi devoluti.  Queste somme sono state solamente accertate e direttamente iscritte nell’avanzo perché arrivate a fine anno. Si poteva prevederle invece, stanziarle e usarle meglio? Da un’analisi successiva, basata sulla Nota Tecnica del Bollettino 250 del 12/2022 del MEF risulta che ben il 12% del gettito IVA, relativo agli “scambi interni”, l’unico sul quale vi è una compartecipazione della Regione, deriva dall’aumento dell’inflazione! Quantitativamente ciò significa che circa 150 milioni tra questi 756, ricevuti in più dalla Regione, sono l’effetto perverso dell’inflazione. Questo è un dato molto inquietante, che dovrà far riflettere nella legge di assestamento, perché le imposte indirette come l’IVA, non colpiscono in modo equo i cittadini, ma pesano di più sui ceti deboli. Sarebbe quindi moralmente indispensabile restituirgliele e solamente sulla base del bisogno!

L’ultimo dato riguarda la tempestività dei pagamenti. Ci sono stati pagamenti della Regione dopo la scadenza dei termini previsti per legge per ben euro 44.482.456,19!

Tutte queste considerazioni ci portano come Gruppo Misto, e in particolare per la componente che io rappresento di Open Sinistra FVG, a esprimere convintamente un voto negativo a questo Rendiconto. Malgrado le osservazioni della Corte dei Conti prima riportate e altre più tecniche, non mettiamo certamente in dubbio la sua sostanziale esattezza. Incidentalmente faccio notare che sarà interessante capire se nella Parifica che la Corte dei Conti redigerà tra alcuni giorni ci saranno ulteriori osservazioni. Sarà stato finalmente colmato lo squilibrio relativo alle spese per la prevenzione in sanità?

Il voto contrario deriva dalle considerazioni svolte in questa relazione, che ci portano alla bocciatura della strategia di gestione della Giunta Fedriga. È profonda l’insoddisfazione per come l’enorme mole di denaro a disposizione della Regione nel 2022 sia stata essenzialmente “tenuta sotto il materasso” ovvero non spesa per affrontare le gravi criticità sociali e ambientali che attanagliano la nostra regione.

Qui il testo del DDL 5 “Rendiconto generale esercizio 2022” fuoriuscito dalla Commissione