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Relazione di minoranza Honsell su Proposta di referendum abrogativo statale n. 9

La Legge n. 86 del 26 giugno 2024 dal titolo “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione è una legge pericolosa a causa del modo raffazzonato con cui affronta l’importante questione che a partire dall’articolo 5 dei principi fondamentali della Costituzione (“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”) giunge sino alla riforma del 2001 relativa al Titolo V della stessa.

La norma proposta dal Governo di destra conduce alla violazione dei principi di uguaglianza e di solidarietà che sin dall’Illuminismo hanno contemperato il principio della libertà. Per una pluralità di materie e ambiti cruciali quali, solo per citare i prime quattro ovvero istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, e tutela e sicurezza sul lavoro, la norma prevede di definire degli standard minimi, detti Livelli Essenziali di Prestazioni (LEP), ma (A) ne delega al Governo la determinazione, (B) non definisce con chiarezza nessun meccanismo di ripartizione di qualsiasi tipo di risorsa per assicurarli e renderli esigibili su tutto il territorio nazionale (al di là di un confuso articolo 4, comma 1) e C) spalanca la porta alla possibilità che i livelli di prestazione effettivi possano essere molto diversi tra le regioni al di sopra di tale livello standard, là dove il gettito di uno o più tributi erariali maturati sul territorio regionale possano essere diversi (articolo 5, comma 2), in quanto le modalità di finanziamento saranno la compartecipazione a tale gettito.

Tutti e tre questi punti sono estremamente critici e forieri di conseguenze nefaste.

Delegare il Governo in materia di definizione dei LEP è giuridicamente inappropriato, perché non si tratta di una questione di carattere esecutivo, bensì prettamente normativo. Quale sarebbe, allora, il ruolo del Parlamento? Nell’articolo 3 è previsto un parere consultivo, facilmente superabile.

È evidente che sul territorio nazionale in numerosi ambiti e materie a cui fa riferimento la Legge 86/2024 ci sono attualmente profonde disuguaglianze. È sufficiente analizzare i dati di Eurostat rispetto ai cosiddetti NUTS-3 (territorial units for statistics) del Nord e quelli del Mezzogiorno. Non è dunque nemmeno pensabile il poter garantire in modo omogeneo e uguale LEP sul territorio nazionale a meno di abbassarli fino al punto che non si potrebbe che cristallizzare l’attuale situazione di disparità sul territorio nazionale.

Infine essendo le risorse finanziarie attribuite attraverso compartecipazione al gettito, addirittura eventualmente rivedibile, è evidente che alcune Regioni, ovvero i NUTS-1, sarebbero in partenza molto avvantaggiate a discapito di altre.

Parlare dunque di LEP in una Legge che non preveda esplicitamente di portare prima all’azzeramento delle disparità oggi presenti tra le regioni italiane e al loro interno, e che inevitabilmente porterà la cristallizzazione tali squilibri, è disgustosamente ipocrita o irrazionale. Lanciarsi dunque in questa impresa senza avere chiarito le premesse è assolutamente dilettantistico. Se davvero dovesse produrre effetti, la Legge 86/2024 non potrebbe che portare ad una concorrenza al ribasso tra le Regioni, che non avrebbero nessun interesse a irrobustire, ad esempio le tutele sul lavoro oltre il minimo necessario, in quanto diventerebbero meno appetibili alle logiche di profitto neo-liberiste che oggi informano il mercato delle multinazionali.

Inoltre, innumerevoli sono i punti critici e dubbi sulle nuove disparità che potrebbero ingenerarsi. Ad esempio rispetto alla tutela della salute, come si governerebbe l’attuale mobilità interregionale?

Alquanto bizzarro e totalmente inconsapevole è immaginare la tutela dell’ambiente a livello regionale. Le correnti atmosferiche che su tutto il pianeta si muovono da Ovest a Est sono i principali determinanti della qualità dell’aria nel Nord, ma nulla sapranno dei confini amministrativi regionali dopo l’entrata in vigore della Legge 86/2024. La qualità dell’aria nella pianura a sud delle Alpi si fa ‘un baffo a toritiglione’ del regionalismo ingenuo di questa legge ignorante.

Concepire un’istruzione con un orizzonte regionale come se ci fosse una ‘Scienza Lombarda’, o una ‘Scienza Irpina’, fa venire in mente quanto Orwell scrisse nei Ricordi della Guerra di Spagna, del 1943: la teoria nazista nega specificamente l’esistenza del concetto di ‘verità’. Per esempio esiste una ‘scienza tedesca’, una ’scienza ebraica’, ecc.

Cosa dire poi delle grandi infrastrutture che dovrebbero attraversare più di una regione e che dovrebbe dunque conformarsi a normative che inevitabilmente, con l’andar del tempo, si differenzieranno. Il riconoscimento che la diversificazione delle norme svantaggiasse lo sviluppo del Regno di Sardegna è quanto spinse Cavour, che certamente non era socialista ma nemmeno scioccamente populista, a cercare alleanze in Italia e in Europa per raggiungere al più presto l’unità d’Italia, che poté diventare una potenza economica di livello europeo solo a unificazione avvenuta. E fu proprio il non risolvere il problema dello squilibrio tra Nord e Sud a costituire il principale ostacolo al pieno sviluppo del nostro Paese, questione che non va imputata a Cavour in quanto morì pochi mesi dopo l’unità d’Italia.

La Legge 86/2024 aprirebbe una stagione molto infelice per il paese perché non porterebbe che all’acuirsi delle disparità. E ciò comporterebbe certamente danni ai più deboli, ma una minima conoscenza delle teorie sulle dinamiche socio-economiche, così come sono state dimostrate sperimentalmente da decenni dagli studiosi, porterebbe a sapere che ne uscirebbero svantaggiati anche i privilegiati. Non dimentichiamo che il mercato principale per il Nord è il Mezzogiorno. L’IVA-scambi-interni è una delle fonti principali della compartecipazione al gettito del Friuli Venezia Giulia, come si è visto nell’ultimo assestamento di bilancio.

Infine anche sul piano etico, questa norma è tutta improntata sul saccheggio del bene comune, nel nome di un regionalismo di scarso spessore. Il senso di una res-publica è che il gettito prodotto a livello locale non è delle Giunte regionali delle regioni dove è stato prodotto, ma è dei cittadini che fanno parte della res-publica nella sua globalità.

In conclusione la Legge 86/2024 è quanto di più sconclusionato e confuso si potesse proporre in materia di delega ed autonomia. È frutto di un regionalismo ingenuo e sciocco. È un incosciente slogan politico che non potrà che portare innumerevoli disagi ai cittadini di ogni ceto sociale e di ogni regione. Invertire in pochi anni un processo di quasi due secoli è un misto di ingenuità e pericolosa arroganza che va al di là dell’immaginazione. Non vi può essere che un’abrogazione totale della Legge 86/2024, per questo noi del Gruppo consiliare regionale Misto (composto dalle forze politiche Open Sinistra FVG, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra) l’abbiamo sottoscritta. Come si è detto l’articolo 5 della Costituzione già nei principi generali prevede l’autonomia degli enti locali, ma qui non si tratta più di autonomia bensì di irrazionale prepotenza.

La Regione FVG, regione piccola e ricca di diversità, è regione autonoma e speciale proprio perché fragile. Questo è sempre stato il senso delle specialità regionale in Italia, tutelare chi vive in contesti maggiormente problematici. L’autonomia differenziata è invece una forma di bullismo istituzionale, che va dunque in direzione opposta a quella che portò alla definizione dell’autonomia del Friuli Venezia Giulia.

Una di noi ha espresso voto favorevole ad una abrogazione parziale di questa legge, mentre gli altri due hanno espresso invece voto decisamente contrario. La campagna referendaria ispirata dal movimento della Strada Maestra che ha visto l’ANPI, i sindacati e tanti partiti e associazioni politiche impegnate nel raggiungimento di quasi un milione di firme questa estate, ha promosso solamente il referendum sull’abrogazione totale, ci ha visti tutti impegnati. A mio personale avviso questa norma è infatti inemendabile per sottrazione, anzi rischia di diventare un Cavallo di Troia qualora venisse approvata da un Referendum anche in forma ridotta. Nel corso del dibattito ciascuno al nostro interno avrà comunque modo di difendere la diversità della propria scelta. Piena condivisione invece c’è stata nel sostenere l’abrogazione totale di questa legge. Il regionalismo e la specialità sono una cosa molto seria che richiede ragionamento, analisi e programmazione molto dettagliati, caratteristiche queste di cui la Legge 86/2024 è priva.

22 marzo: Giornata Mondiale dell’Acqua

La Giornata Mondiale dell’Acqua vede quest’anno come tema il legame tra acqua e cambiamenti climatici.

Se l’obiettivo della giornata è sensibilizzare le istituzioni mondiali e l’opinione pubblica sull’importanza di ridurre lo spreco di acqua e di assumere comportamenti volti a contrastare il cambiamento climatico, a questo non possiamo non aggiungere il fattore che l’acqua, in quanto bene primario per la vita, deve essere pubblica.

L’acqua deve rimanere fuori dalla mercificazione, non va messa sul mercato e non va buttata in pasto alla speculazione. Su questi aspetti occorre vigilare perché alto è il rischio che la situazione di emergenza climatica e la siccità possano essere utilizzati per giustificare misure che vedono la sottrazione ai territori del controllo della propria acqua, magari in favore di società di gestione che finiscono per incassare eccezionali profitti e dividendi.

Se da un lato è necessario creare una cultura consapevole sulla risorsa acqua anche sull’importanza di ridurre lo spreco assumendo comportamenti volti a contrastare il cambiamento climatico, dall’altro bisogna bloccare ogni tentativo di sottrarre questa risorsa al controllo pubblico.

Relazione di minoranza Honsell alla PDLN n. 18 del Cons. Calligaris

Lo scopo di questa norma, sostenuta in modo fastidiosamente petulante dalla Sindaca di Monfalcone in Commissione con interventi interminabili concessi al di là di ogni consuetudine per un’audizione, è quello di restringere significativamente le condizioni per concedere il ricongiungimento familiare ai lavoratori stranieri regolari non comunitari sul nostro territorio. Gli inasprimenti sono: un maggiore tempo di residenza, ovvero almeno due anni solamente per presentare la domanda, e un maggiore reddito. Inoltre se il lavoratore è dipendente allora deve essere titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, che garantisca un reddito minimo maggiore più del doppio di quello attuale, incrementato di ulteriori quote corrispondenti al numero dei figli, oppure se il lavoratore è autonomo allora deve avere dichiarato un reddito da impresa di importo analogo negli ultimi due anni, asseverato da un commercialista ed assoggettato ad una verifica fiscale, all’incontrario, da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Riteniamo questa norma inaccettabile in quanto non conforme al diritto dell’Unione perché comprime se non addirittura viola il senso della Direttiva Europea 2003/86/CE del 22 settembre 2003 che nei considerando (2) e (4) riconosce il diritto di ricongiungimento familiare e dell’unità familiare come un diritto umano e libertà fondamentale, in quanto strumento necessario di protezione della famiglia e di rispetto della vita familiare di ogni individuo. Esso contribuisce a creare una stabilità socioculturale che facilita l’integrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri, permettendo di promuovere la coesione economica e sociale, obiettivo fondamentale della Comunità, enunciato nel Trattato.

Tutti i drastici inasprimenti creano condizioni più sfavorevoli ai cittadini stranieri rispetto a quelli comunitari, violando così in modo evidente il principio di non-discriminazione che è un principio dell’Unione. Ciò vale per l’innalzamento del limite del reddito da quello relativo alla soglia di povertà, per l’accesso alle misure socio-assistenziali, a quello per la concessione del patrocinio gratuito, che è ben superiore e per giunta assolutamente incongruente.  E ciò vale, anche, sia per la richiesta di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, che per la normativa italiana non può essere considerato più stabile di altre tipologie di contratti, quanto per la richiesta di una dichiarazione dei redditi da impresa pregressi.

Quanto rende però odiosa questa proposta di legge nazionale è che, nelle intenzioni dei proponenti, intende limitare il diritto al ricongiungimento e all’unità della famiglia a persone che comunque sono presenti in quanto lavoratori regolari sul territorio del nostro paese. I proponenti assumono quindi esplicitamente che ci siano persone costrette a lavorare nel nostro paese in condizioni così miserabili da non permettere loro nemmeno il diritto a poter vivere con la propria famiglia! I proponenti accettano quindi che nelle nostre città siano presenti lavoratori con contratti precari, temporanei, intermittenti o a chiamata, assunti a seconda del bisogno temporaneo delle aziende, a cui viene corrisposto un salario al di sotto della soglia che reputano di dignità, ma obbligano loro ad una condizione di solitudine.

Come Open Sinistra FVG riteniamo vergognoso, che sia tollerato un mercato del lavoro che si regge sullo sfruttamento di lavoratori così spudorato, e che si faccia leva proprio su queste condizioni di “quasi schiavitù” nell’interesse delle nostre aziende anche di stato, e al tempo steso si comprima un diritto umano, quello di poter vivere con la propria famiglia. Se davvero accettiamo noi tutti, e in primis la Sindaca, che a Monfalcone ci siano condizioni di lavoro così precarie da essere insufficienti per avere accesso ai diritti più fondamentali dell’uomo, allora il problema non è quello della difficoltà e dei costi di inclusione dei familiari dei lavoratori immigrati. Il problema non è quello degli oneri che ricadono sui servizi sociali di Monfalcone e di altri comuni. Il problema è che questa regione, e tutti noi, beneficiamo dei redditi prodotti da imprese che sfruttano lavoratori costretti a vivere in queste condizioni miserabili! Ne beneficiamo a loro spese, senza porci troppi scrupoli, anzi comprimendone i loro diritti! Alcune di queste imprese producono anche armamenti, che poi vengono venduti proprio a quei paesi i cui governi per poterle comperare affamano i propri cittadini costringendoli ad emigrazioni che li portano a venire sfruttati in condizioni sotto la soglia della dignità proprio da queste stesse imprese! Il problema è dunque etico! Non possiamo più accettare un mercato del lavoro con salari così bassi o poco stabili da non permettere a queste persone di poter vivere con la propria famiglia!

L’aspetto che fa più orrore in questa norma è che si puniscono proprio quei lavoratori che sono i più sfruttati. La norma infatti punisce solamente lavoratori, e ci tengo a sottolinearlo, assolutamente regolari e funzionali al sistema delle imprese e del lavoro, che non può quindi che dirsi infame.

Non è accettabile sul piano umano ed etico che prima di proporre una PDLN come questa, non si migliorino le condizioni dei lavoratori alle spalle dei quali maturiamo le quote di partecipazione fiscale che arricchiscono questa Regione.

In Commissione abbiamo espresso parere assolutamente contrario a questa norma che viola non solamente il diritto dell’Unione europea ma prima ancora il nostro senso di giustizia. Altrettanto faremo in aula.

Qui il testo fuoriuscito dalla Commissione 

Relazione di minoranza Honsell su DDL 173 “Interventi a favore persone con disabilità”

Gli articoli del Titolo I della presente legge, che riprendono quelli della Convenzione delle Nazioni Unite del 13/12/2006 sui diritti delle persone con disabilità, enunciano i principi etici di solidarietà, rispetto e non discriminazione più alti che l’Umanità abbia sinora saputo esprimere nei confronti delle persone più fragili. Sono quindi agli antipodi della narrazione di Plutarco sulla sorte, presso il Monte Taigeto, dei bambini spartani nati imperfetti, narrazione peraltro ormai ritenuta storicamente non attendibile ma ancora ben presente nell’immaginario collettivo. Il registro di queste enunciazioni è intenso e commovente. Purtroppo lo stigma nei confronti dell’assenza di piena funzionalità nelle persone è ancora presente nella nostra società. Basti considerare la ridenominazione del Ministero della Pubblica Istruzione voluta dal governo di destra profonda che si è insediato qualche giorno fa, il 21/10/2022, che così recita: “Ministero dell’istruzione e del merito”. Ovvero se non si viene giudicati meritevoli si è considerati un rifiuto per tale nuovo ministero. Non sarebbe stato meglio denominarlo “Ministero dell’istruzione e del contrasto alla povertà educativa” se si fosse voluto interpretare davvero lo spirito della convenzione dell’ONU?

Nel Titolo II del DDL 173, le spiritualmente nobilissime enunciazioni del Titolo vengono ulteriormente declinate, e con altrettanta ambizione etica, in varie aree di intervento: salute, abitare e vita indipendente, cultura sport e turismo, istruzione e formazione, lavoro, trasporti, accessibilità allo spazio aperto e costruito e barriere architettoniche, diritto all’informazione e alla comunicazione. Come non condividere pienamente uno solo di questi articoli, che sono soprattutto degli auspici alla luce della situazione attuale che, anche se presenta aree di eccellenza, è molto disomogenea? Noi di Open Sinistra FVG abbiamo sempre invocato una rivoluzione copernicana nel considerare la disabilità: è l’ambiente e il contesto quando sono mal strutturati o inospitali a renderci tutti disabili e non la persona con disabilità singola a essere disfunzionale nell’ambiente! Abbiamo sempre ritenuto che l’inclusione della diversità fosse un arricchimento per tutti, e non solo per i diversi, in quanto siamo tutti diversi per qualche diversità. Si pensi ad esempio alla figura emblematica di Wanda Díaz-Merced l’astronoma cieca che sta fornendo nuovi strumenti di sonificazione[1] dei dati, che supererà alcuni limiti della più comune visualizzazione, indicando come non esiste un unico modo di esplorare e comprendere la realtà intorno a noi. E ricordiamo che inclusione è cosa ben diversa da omologazione, perché l’esclusione o ancor peggio la selezione meritocratica, secondo un concetto astratto di merito, è il vero orrore di ogni fascismo.

Gli articoli di questo Titolo II, ancorché encomiabili, lasciano però insoddisfatti per il loro carattere poco operativo. Risultano troppo generici, cercano di blandire il bisogno di inclusione con mere parole e promesse, hanno un sapore anòdino. Una legge, ancorché una legge quadro e di principio come questa, non può limitarsi alle enunciazioni. Ecco degli esempi.

All’articolo 5 si dichiara che la Regione fornisce un’adeguata risposta ai bisogni di salute lungo tutto l’arco della vita … forse si dovrebbe dire quali siano i servizi e come vengono implementati in termini di risorse sia finanziarie che professionali. All’articolo 6, comma 2, si parla di criteri premianti nelle politiche dell’abitare e si promettono priorità di selezione su linee di finanziamento esistenti o di futura introduzione, forse sarebbe opportuno dire quali siano e per quale importo, e indicare chi siano gli attori dell’ultimo miglio responsabili dell’abitare inclusivo. Sono le ATER? Hanno molta strada da compiere però. All’articolo 8 la Regione in accordo con i Comuni e i soggetti coinvolti, promuove tramite appositi atti di intesa, il coordinamento tra le politiche relative all’istruzione, alla formazione e al lavoro … nulla viene detto su tempi, impegni, risorse, professionalità disponibili. Si sarebbe almeno potuto imporre un criterio stringente per l’accesso ai contributi Regionali da parte di scuole o enti privati. Nulla si dice all’articolo 9 su come potenziare le assunzioni di categorie protette, o quali azioni porre per contrastare lo stigma che spesso subiscono tali lavoratori. Anche qui si sarebbe dovuto indicare quali saranno i criteri da rispettare per accedere a qualsiasi forma di contributo da parte delle aziende, comprese quelle da loro coinvolte in subappalto. Ci si limita invece a parlare ancora di atti di intesa da elaborare in un tempo futuribile. L’articolo 11 sulle barriere architettoniche si limita a promettere l’emanazione di un regolamento. Ma non c’è già una norma la 13/1989 al riguardo? Encomiabile all’articolo 12 la volontà di abbattere le barriere di comunicazione e tecnologiche, ma come si intende operare concretamente? Forse la prima barriera comunicativa sarebbe riformulare l’articolo 12 stesso.

L’articolo 13 definisce il ruolo fondamentale di raccordo che dovrà svolgere la Consulta regionale delle associazioni delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Ovviamente anche qui tutto è condivisibile, ma l’esperienza insegna quanto importante sia l’individuazione di strumenti di partecipazione più capillari da parte dei portatori di interesse e delle loro famiglie, soprattutto quando i servizi per la disabilità sono gestiti attraverso strutture sanitarie, che soffrono di un cronico deficit di ascolto e sono soggette ad un’organizzazione gerarchica e dirigistica. Il ruolo anche terapeutico del dialogo, come previsto anche dalla Legge 2197/2017, è ben lontano dall’informare profondamente la prassi medica.

In conclusione il Titolo II è un documento certamente da apprezzare negli auspici, ma rischia di avere un carattere troppo speculativo, decisamente metafisico. E infatti, solamente nel Titolo III emerge la vera sostanza di questa norma. Dopo l’introduzione, piuttosto generica, nel suo Capo I, di un osservatorio (ma non era forse Riccardi l’Assessore a non volere gli osservatori? Sono lieto che abbia finalmente cambiato idea!) e la promessa che verrà redatto un piano regionale della disabilità, in un futuro lontano in quanto dovrà recepire anche i contributi dei progetti obiettivo previsti all’articolo 16, si arriva finalmente al Capo II, articolo 17, che è il vero cuore del DDL 173!

Ebbene, ci è stato detto in Commissione, che al fine di rispettare il DPCM 12/01/17, che impone l’omogeneità dei Livelli Essenziali di Assistenza sociosanitaria, già richiamato all’articolo 5, comma 2, si attribuisce in questo articolo a partire dal 01/01/2024 alle Aziende Sanitarie regionali la titolarità dei servizi e degli interventi relativi alle persone con disabilità! In sostanza si dà il via libera alla sanitarizzazione della disabilità! Ma come si trasformeranno le aziende sanitarie (alcune addirittura ospedaliero-universitarie) anche in aziende socio-sanitarie? In molte aree della nostra regione ciò sarà tutt’altro che scontato e certamente anche laddove esisteva già la delega, i nuovi meccanismi di finanziamento e di partecipazione, comporteranno un netto ridimensionamento della capacità di guida e di orientamento dei Comuni e l’intero sistema subirà un forte sconquasso. Che la cosa faccia tremare le vene e i polsi, se mi è concessa quest’endiadi dantesca, anche ad un Assessore così sicuro di sé è evidente. Viene infatti concesso un anno di sperimentazione, il 2023, nel quale non è chiarissimo che cosa dovrà avvenire anche perché essendo un anno elettorale, è prevedibile che l’azione amministrativa vera e propria non inizi tanto presto. E come purtroppo avviene tutte le volte che si traguarda l’obiettivo in un futuro abbastanza remoto, questa scelta permette a tutti di non prendersi impegni precisi e mette al riparo da ogni responsabilità se non sarà raggiunto quanto delineato. In verità, ci si chiede se ciò sarà davvero un male!

L’aspetto più critico di questa legge è che, pur essendo prevista la compartecipazione finanziaria dei Comuni, che è ribadita sin dall’inizio, all’articolo 5 comma 3, il loro ruolo sembra davvero indebolito, se non addirittura subordinato a quello dell’Azienda Sanitaria di riferimento. Fino ad oggi buona parte dei finanziamenti per i servizi e le prestazioni per la disabilità erano in mano ai Comuni, in quanto erano direttamente assegnati a loro, e quindi passavano attraverso il filtro delle deliberazioni comunali. Il DDL 173, invece, assicura ai Comuni solamente la pianificazione condivisa, ai sensi dell’articolo 22 comma 1. Come avevo già ribadito, esistono difficoltà strutturali nello stabilire un dialogo paritetico con una struttura così verticalizzata come un’Azienda Sanitaria. E queste, soprattutto negli ultimi anni nei quali hanno dimostrato più attenzione ai bilanci che alle liste di attesa, sembrano essere guidate da una fredda logica aziendalistica, che mal si concilia con la modalità operative di un Comune che è essenzialmente ente esponenziale di una comunità e della sua voce collettiva.

Nel dibattito in Commissione non sono rimasto assolutamente convinto che l’attribuzione della titolarità di servizi e interventi per la disabilità alle Aziende Sanitarie fosse l’unico modo di dare corso al DPCM del 2017. Cercheremo dunque, con degli emendamenti di irrobustire il ruolo dei Comuni nel raggiungere l’intesa con le Aziende Sanitarie.

La norma si chiude con ulteriori enunciazioni di principio assolutamente condivisibili, ancorché piuttosto general-generiche sui Sevizi di integrazione lavorativa, sulla collaborazione con il Terzo Settore e sul concetto di integrazione socio-sanitaria, limitandosi circa quest’ultima però a parlare solo di momenti di confronto e di coordinamento. Il DDL ribadisce infine il concetto di progetto di vita individuale e conferma lo strumento del budget di salute. Ancora una volta però l’altitudine dalla quale si contempla questo fèrvere di previste attività non permette allo stato attuale della norma di assicurarne l’efficacia.

Le norme finanziarie a volte, cozzano nella loro esattezza per il 2024 con la genericità degli articoli ai quali si riferiscono, come ad esempio all’articolo 10 e i relativi 475 milioni per i trasporti. Se ne può intuire l’origine, ma allora se ne deduce anche la scarsa ampiezza di orizzonte.

La clausola valutativa è posta all’articolo 27 per illudere o tranquillizzare i Consiglieri che ci sarà comunque un controllo da parte del Consiglio.

Dopo questa breve anatomia della norma si rileva con preoccupazione la pletora di atti di intesa, atti di indirizzo, accordi, regolamenti di attuazione, piani attuativi, piani di sviluppo strategico, piani regionali che dovranno discendere da questa norma e darle sostanza, oltre ai processi di condivisione e accordo, tutt’altro che scontati, che dovrebbero portare a tali atti. Se tutto deve ancora essere precisato a cosa serve questa norma? Solamente a dire a chi spetterà l’ultima parola?

In questo testo difficilmente non si trova una parola chiave che abbia illuminato il dibattito nazionale e internazionale più progressista in tema di disabilità, tanto questo DDL è a livello alto nei suoi princìpi. Al tempo stesso però è talmente concreto e brutale nell’attribuzione delle titolarità della gestione dei servizi e prestazioni per la disabilità alle Aziende Sanitarie, che siamo preoccupati che tali principi possano non essere realizzati. Dopo la riforma imperialista del 2019, le Aziende Sanitarie sono ancora boccheggianti nel cercare di definire e di porre in essere persino il loro piano aziendale ospedaliero, pertanto si dubita che possano davvero riuscire in questo demiurgico compito universale.

Questa legge è certamente un egregio esercizio di stile nella parte iniziale, e su tale parte esprimiamo parere favorevole. Ma nella seconda parte la genericità delle promesse ci spaventa. Preoccupa che il ruolo del privato sociale, e del terzo settore, che è così significativo per la sua capacità di sperimentazione, di innovazione e di prossimità – tutte  caratteristiche che hanno fatto di questa regione un punto di riferimento nazionale in tema di inclusione si pensi solo alla Comunità Piergiorgio o ad Infohandicap che comparivano esplicitamente nella Legge Regionale n. 41 del 1996 – sia  relegato solamente a qualche menzione nei tavoli di confronto e ad un generico articolo 20 nel quale si parla di futuribili “adeguate forme di regolazione dei rapporti”.

Preoccupa che gli strumenti di partecipazione non siano definiti e garantiti con maggiore precisione.  E infine preoccupa che l’intersettorialità di questa legge, che non riguarda solamente la sanità e il sociale ma anche la scuola, la formazione, il lavoro, la mobilità, l’abitare non preveda momenti di coordinamento inter-assessorile come momento di coordinamento. Né preveda che vengano assicurate risorse di personale adeguatamente formato, magari d’intesa con le università, attraverso nuovi corsi di laurea socio-sanitari, o altri corsi di formazione. L’inclusione, che è cosa ben diversa, è ben più etica e nobile dell’integrazione e dell’omologazione, si raggiunge solamente attraverso il rapporto umano. Si dubita che una delega ad una mastodontica azienda possa permettere di realizzare quel benessere relazionale che poi è l’unica vera declinazione del concetto di salute.

Per questi motivi, a seconda di come si svolgerà il dibattito in aula e verranno ripresi e valorizzati i contributi specifici che proporremo, ci riserviamo di esprimere parare favorevole alla presente legge come Open sinistra FVG.

[1] https://youtu.be/L04ZeJKG_Iw

Qui il testo del DDL 173 fuoriuscito dalla Commissione