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Necessità di mobilitazione affinché si valutino a fondo gli effetti e si modifichi di conseguenza il Decreto Sicurezza

VISTO il Decreto Legge 4 ottobre 2018, n. 113 recante “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata” detto anche “Decreto Sicurezza” che contiene disposizioni urgenti in materia di rilascio di permessi temporanei per esigenze di carattere umanitario nonché in materia di protezione internazionale, di immigrazione e di cittadinanza.

PREMESSO che il Consiglio dei Ministri ha approvato all’unanimità il Decreto Legge 4 ottobre 2018, n. 113 su immigrazione e sicurezza, approvato in seguito nelle opportune sedi parlamentari col voto favorevole dei senatori del Movimento 5 Stelle e della Lega.

RICORDATO che:
– il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 4 ottobre ha firmato il decreto con preciso richiamo: “Avverto l’obbligo di sottolineare che, in materia, restano fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato, pur se espressamente richiamati nel testo normativo, e in particolare, quanto direttamente disposto dall’art. 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall’Italia”;
– che la VI commissione del Consiglio superiore della Magistratura ha espresso un parere di incostituzionalità per la parte del Decreto che si occupa di migranti e richiedenti asilo.

CONSIDERATO che:
– il dato relativo ai migranti sbarcati è stato nel 2016 di 144.574, nel 2017 di 108.538 e nel 2018 (al 12 ottobre) di 21.426, confermando un trend in calo che dunque non evidenzia la necessità di misure straordinarie;
– nella Relazione sul funzionamento del Sistema di Accoglienza presentata alla Camera dei Deputati lo scorso 14 agosto il Ministro dell’Interno Matteo Salvini definiva il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR) “un ponte necessario all’inclusione”;
– il decreto suddetto trasforma l’accoglienza nelle reti SPRAR (l’unico strumento di accoglienza che coinvolge le amministrazioni locali), prevedendola solamente per i titolari di protezione internazionale e per i minori non accompagnati e questa scelta indirizza il sistema di 2 accoglienza verso i grandi centri (CARA, CAS), sovradimensionati e spesso relegati in luoghi isolati, sfavorendo quel processo d’inclusione sociale che dovrebbe essere elemento portante di una strategia di integrazione che vada a vantaggio sia dei richiedenti asilo che delle comunità ospitanti; – la prima disposizione del Decreto prevede l’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari e disciplina casi speciali di permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario. Il presente articolo, apportando modifiche al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, prevede l’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, valevole per due anni e convertibile in lavoro;
– l’impossibilità per i richiedenti asilo di iscriversi all’anagrafe prevista dal Decreto Sicurezza impedisce loro di accedere a servizi basilari come la sanità, creando oggettivamente un rischio per la salute pubblica; e che, inoltre, l’esclusione dal registro anagrafico, impedendo l’accesso alla residenza e il rilascio della carta d’identità, esclude la possibilità di essere beneficiari di un contratto di lavoro, favorendo l’emersione del lavoro nero e dell’illegalità in generale che genera problemi di pubblica sicurezza all’interno delle comunità;
– i minori stranieri non accompagnati rischiano, al compimento del 18° anno di età, di uscire dai percorsi di accoglienza e di finire in strada o, alternativamente, di richiedere il prosieguo amministrativo con rette a totale carico del comune, fino al compimento del 21° anno di età;
– l’ANCI (Associazione Nazione Comuni Italiani) ha stimato in 280 milioni di Euro i costi amministrativi conseguenza diretta del decreto sicurezza che ricadranno su Servizi Sociali e Sanitari territoriali e dei Comuni, per l’assistenza ai soggetti vulnerabili, oggi a carico del sistema nazionale;

CONSIDERATO che il Decreto Legge in oggetto:
– elimina la possibilità per le commissioni territoriali e per il Questore di valutare la sussistenza dei gravi motivi di carattere umanitario e dei seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano, abrogando, di fatto, l’istituto del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari e introducendo una tipizzazione delle tipologie di tutela complementare; – estende il periodo massimo di trattenimento dello straniero nei centri di permanenza per rimpatrio da 90 a 180 giorni;
– elimina gli sportelli comunali che forniscono attività informative, di supporto e di assistenza agli stranieri che intendano accedere ai programmi di rimpatrio volontario assistito; – indirizza l’accoglienza verso centri sovradimensionati, riservando l’accoglienza nel sistema SPRAR ai soli titolari di protezione e ai minori stranieri non accompagnati, escludendo di fatto i richiedenti asilo;
– esclude la possibilità ai detentori di permesso di soggiorno attraverso richiesta di asilo l’iscrizione all’anagrafe dei residenti; – estende la lista dei reati che comportano la revoca o il diniego della protezione internazionale e dello status di rifugiato;

RITENUTO che:
– abolire la protezione umanitaria e sostituirla con il permesso di soggiorno per motivi speciali aumenterà i contenziosi giudiziari, atteso che la disposizione che lo prevede contrasta con i principi di cui all’articolo 10 della Costituzione italiana, e accrescerà le presenze di irregolari sul territorio;
– vengano vanificati gli sforzi fatti da tutti quei Comuni d’Italia che, attuando nei propri territori la rete SPRAR, hanno fornito un notevole contributo per assicurare un’equa distribuzione sostenibile su tutto il territorio nazionale, evitando che fosse per lo più concentrato nelle grandi aree urbane;
– il trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo nei Centri di permanenza per il rimpatrio non può diventare di fatto la norma e non può andare oltre le esigenze della prima identificazione; e che, considerata l’oggettiva difficoltà di effettuare rimpatri volontari e l’assenza di ulteriori accordi con i paesi di origine, i richiedenti asilo trattenuti nei CPR, al termine dei 180 giorni, rimarrebbero in Italia senza avere diritti e questo potrebbe favorire marginalità estreme, disoccupazione e illegalità;
– l’estensione dell’elenco di reati che comportano la sospensione della domanda d’asilo e causano l’espulsione immediata, con l’inserimento tra gli altri di oltraggio a pubblico ufficiale, contrasti con il principio secondo cui ciascun individuo ha diritto a ricorrere in sede giurisdizionale contro un provvedimento giudiziario in ogni ordine e grado. La Carta costituzionale contempla infatti la “presunzione d’innocenza” fino al terzo grado di giudizio;
– viene leso il diritto dei richiedenti asilo effettivamente soggiornanti in un territorio ad essere iscritti all’anagrafe di un determinato comune (o municipalità);
– il decreto così come articolato, per la parte relativa alla nuova regolamentazione della condizione degli immigrati comporterà per gli amministratori locali notevoli disagi sia di ordine finanziario che in materia di sicurezza pubblica;

Tutto ciò premesso

impegna la Giunta regionale: 1) ad inviare la presente mozione alla Presidenza della Repubblica, al Governo, ai parlamentari del territorio, invitandoli a considerare gli esiti positivi dei percorsi avviati e ad analizzare con maggiore dettaglio l’impatto negativo del Decreto; 2) a richiedere al Governo di istituire un tavolo di concertazione con l’ANCI al fine di valutare la modifica della normativa in essere, tenuto conto delle ricadute concrete sulle realtà locali, in termini economici, sociali e rispetto alla sicurezza dei territori; 3) a chiedere al Ministro dell’Interno, al Governo nazionale e al Parlamento italiano, attraverso nuove misure di legge, di ampliare l’accoglienza SPRAR o istituire un nuovo sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, a controllo diretto delle Amministrazioni locali, in modo da garantire, con il prezioso supporto delle realtà del terzo settore, un utilizzo trasparente dei fondi ed interventi di “accoglienza integrata” che superino la sola distribuzione di vitto e alloggio, prevedendo in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di formazione ed inserimento lavorativo e socio-economico; 4) a chiedere al Ministro dell’Interno, al Governo nazionale e al Parlamento italiano di presentare nuove misure di legge che contemplino la possibilità per tutti i Sindaci dei Comuni d’Italia, in quanto garanti dell’ordine e della sicurezza pubblica, di conoscere con certezza il numero dei richiedenti asilo effettivamente presenti sul proprio territorio, attraverso l’iscrizione all’anagrafe.

Relazione su ddl 37 di modifica alla Legge regionale 13/2018 sul diritto allo studio

Mentre mi accingo a scrivere questa relazione su un disegno di Legge relativo al Diritto allo Studio, il mio pensiero non può non distogliersi dalla condizione dei migranti a bordo della Sea Watch, che a meno di due miglia dalla costa italiana, sono costretti dal nostro Governo a vivere in condizioni di profondo abbruttimento, come deterrente contro futuri arrivi. È tremendo parlare di un diritto quando di questo diritto non potranno godere mai i tanti giovani in fondo al mare Mediterraneo, che hanno cercato in un inutile viaggio di poterne finalmente godere, o di quelli sulla Sea Watch, il cui destino è quanto mai incerto. Forse garantire a quei minori, anche se non residenti, questo diritto sarebbe l’esempio più educativo che potremmo dare ai nostri giovani!

Una cappa grigia e pesante sta calando sul mondo della Scuola in Friuli Venezia Giulia: il DDL 37, che va a modificare subdolamente e dopo meno di un anno la Legge regionale 13/2018.

Gli spunti chiari ed espliciti sono minimi. Alcuni sono pienamente condivisibili: come le precisazioni sugli interventi relativi alla sicurezza e la prevenzione degli incidenti sul lavoro e nella scuola (art. 15) o le precisazioni su come articolare la “scuola in ospedale e la didattica a domicilio” (art. 9). Ci si poteva fermare qui o tutt’al più includere solamente quelle normette di assoluto dettaglio, che precisano in modo maniacale tutti i passaggi burocratici dell’erogazione di taluni contributi e sembrano quasi un regolamento per scaricare tutti da qualsiasi responsabilità amministrativa come nell’art.36, che riguarda i fondi ex-provincia o nell’art. 33 che riguarda i contributi per la tutela della minoranza linguistica slovena.

Ma prima di entrare direttamente nel merito un rilievo metodologico sull’iter di questo DDL va fatto. Come commissari di Open Sinistra FVG e Partito Democratico siamo stati obbligati ad andare sopra le righe per rivendicare le audizioni dei portatori di interesse, ai quali non è poi stato lasciato tempo sufficiente per riflettere sulla proposta. La Commissione è stata poi costretta ad operare accavallando i lavori con quelli di un‘altra Commissione per poter giungere in modo sollecito all’approvazione. Ci si chiede quale fosse l’urgenza, se non quella simbolica di poter affermare che è stata approvata un’altra legge, indipendentemente dalla sua rilevanza, o dal voler marcare subito, politicamente, un restringimento regionale dell’orizzonte culturale della nostra scuola. L’alto numero di emendamenti presentati dopo le audizioni dalla stessa Assessore come, ad esempio, la reintroduzione delle misure a sostegno dei giovani con disturbi specifici dell’apprendimento, dopo che con grande meticolosità era stato puntualmente espunto in tutto gli articoli, danno la misura di come questa Legge sia stata poco meditata, se non nella sua volontà ideologica e soffra di improvvisazione.

Questa legge prevede una sottile, ma inesorabile cosmesi lessicale dell’articolato della L.R. 13/2018, che sulle prime può sembrare neutrale o addirittura un’irrilevante questione nominalistica, come negli articoli dove in ossequio a qualche ansia nominalistica ministeriale “l’alternanza scuola lavoro” da oggi verrà chiamata “percorsi per le competenze e per l’orientamento”. Ma ad un’analisi più attenta, si legge in controluce in questo DDL una curvatura che non è solamente linguistica. Con determinazione e coerenza vengono operate modifiche che tarpano le ali a quella creatività e pluralismo che sono la vera tradizione scolastica della nostra regione.

Già nell’articolo 1 la cosmesi lessicale della Legge fa sentire la sua cifra restrittiva. L’ampiezza dell’aggettivo “educativo” viene sostituita dal più materialistico “formativo”, che non sono per nulla sinonimi. I più liberi “percorsi” vengono trasformati in “processi”, diretti dall’alto, forse. Non si migliora però la prosa: permane l’uso infelice della parola “implementazione” immagino con il senso di “incremento” … “gli approcci integrati multidisciplinari” diventano pleonasticamente “integrati interdisciplinari”.  Né si risolve la problematica relativa al trasporto scolastico dei disabili che un tempo era svolto dalla Provincia e che adesso sembra venir attribuito interamente ai Comuni non si sa se con risorse adeguate. Spunti potenzialmente positivi, sono invece gettati creando discriminazione: come nel caso delle scuole che promuovono salute come se ve ne fossero altre non interessate a promuoverla. Spero si volesse dire che si intendeva fornire strumenti a tutte le scuole per promuovere stili di vita sani e sostenibili attraverso progetti di salute fisica, alimentare e ambientale.

All’art. 5 non ci si lascia sfuggire l’opportunità di esplicitare che certi servizi si erogano solamente agli studenti residenti in Regione, senza curarsi di come ovviare all’evidente discriminazione antieducativa, che si viene così a creare.

Tremenda risuona all’art.8 la sostituzione della parola “evitare” con “ridurre” nella frase “evitare la dispersione scolastica”, che adesso suona “ridurre la dispersione scolastica” come se ciò che si cerca di fare sia il regolamentare la quantità di dispersione. Forse il nuovo legislatore ritiene che un po’ di dispersione sia sin salutare. Pesante suona l’enfasi all’art. 10 dell’aggiunta ad un mero titolo, quello del Capo V della 13/2018, dell’aggettivo “non statali”. Dall’articolato era chiaro a chi ci si riferisse, ma evidentemente qui l’obiettivo è la visibilità.

Solamente in un frangente il lessico sembra segnare un’apertura culturale ed è all’art. 19 che modifica l’art. 32/13 sulla promozione della dimensione europea dell’istruzione, perché si parla di internazionalizzazione. Ma l’impressione è di breve durata, si rimane agghiacciati nel rilevare quale ne sia lo scopo, che è quello di promuovere la peggior ideologia anti-europea perché quella che era la “diffusione della dimensione europea dell’istruzione e della formazione” diventa “la diffusione della dimensione internazionale dell’istruzione e dell’educazione”. L’Europa è scomparsa, era forse troppo di sinistra?

Un ultimo commento lessicale va espresso relativamente alla tematica “tempo pieno”,“ tempo prolungato” che a partire dall’art. 20 si trasforma in “tempo integrato extrascolastico”. Era emersa nelle audizioni un’indubbia pluralità di interpretazioni, su cosa dovesse intendersi per tempo pieno e tempo prolungato. Questa era una questione non nominalistica da approfondire, ma non ce n’è stato il tempo. Cosa fa dunque il DDL 37?  Dopo un andirivieni emendamentale cassa tutto, coniando un neologismo: il “tempo integrato extra-scolastico”. Concetto sull’orlo della contraddizione in termini: se il tempo è integrato non può essere extra-scolastico, ma se è extrascolastico allora non si è ancora integrato. Il Legislatore non si perita di chiarire cosa intenda!

Uno dei momenti più drammatici del DDL si raggiunge all’art. 16/37 che va a modificare l’art.29/13 (inserimento scolastico degli alunni figli di immigrati): le iniziative scolastiche di carattere interculturale diventano iniziative volte alla valorizzazione dell’identità culturale regionale. Come se ve ne fosse una e non fosse il FVG di per sé, coacervo di identità diverse e proprio per questa sua pluralità culturalmente più fertile. L’interculturalità è l’unico strumento per l’inserimento. L’identitarismo, tanto caro a questa amministrazione, è stata invece un’ideologia nefasta.

Ho condotto fin qui un’analisi principalmente lessicale, perché penso che suggerisca la cifra secondo cui interpretare tutti gli altri cambiamenti apportati alla Legge 13, dal DDL 37 ovvero gli artt. 22 e 23. Cambiamenti che sono stati aspramente criticati durante le audizioni da tutti gli operatori della scuola. Consistono nell’abolizione degli articoli della Legge 13/2018 che riguardano le modalità della progettazione didattica e i progetti speciali.  Con il nuovo articolato forse saranno ancora possibili queste iniziative, ma alla progettualità verrà sostituita la convenzione. Cosa significa? Quelle ricche e straordinarie iniziative saranno ancora possibili? Forse sì, ma solamente attraverso un controllo maggiore anche da parte dell’Ufficio Scolastico Regionale. Vi sarà dunque maggior dirigismo, maggiore irreggimentazione, maggiore conformismo a detrimento dell’autonomia scolastica, pure sancita addirittura a principio costituzionale dopo la riforma del 2001. Nella stessa chiave va letta anche l’abolizione di finanziamenti alla Consulta degli Studenti. Tutto deve passare attraverso convenzioni e il vaglio dell’Ufficio Scolastico Regionale, che diventa così il nuovo deus-ex-machina della Scuola in FVG. Quanti progetti speciali, fondamentali per la reale crescita educativa e l’emancipazione dei nostri giovani, che erano ormai consolidati, dovranno ripartire da zero sotto una nuova forma? Quanti non ripartiranno o forse scompariranno? Poco importa a questo Legislatore, si ritorna al concetto di imprimatur. Alcuni tavoli vengono tolti, altri ne vengono costituiti. Vengono costruite anche delle reti, ma non sembrano strumenti per allargare l’orizzonte, quanto reti per impigliare chi non si adatta al processo. Non si parla infatti di contenuti.

In conclusione se la natura e l’evoluzione di questa legge diventeranno lo schema legislativo di questa maggioranza in tema di Scuola sono seriamente preoccupato. È stata caratterizzata da un iter legislativo quasi di rapina, compromettendo le audizioni. Non articola nuove idee ma opera ritocchi corrosivi e parassitari dell’impianto esistente così da rendere la struttura meno aperta alla creatività e alla fantasia.

Questa legge doveva dare energia e risorse nuove alla Scuola, favorendo la libertà di innovazione didattica. Al contrario, tutti quegli strumenti che erano a disposizione per sperimentarla vengono adesso irrigiditi.

Jacotot, all’indomani della Rivoluzione Francese, tra i primi a porsi seriamente il problema della pubblica istruzione universale, aveva individuato un bivio per le istituzioni scolastiche. Da un lato l’emancipazione, la promozione della fiducia in sé stessi, la promozione della curiosità, del gusto della ricerca e della scoperta, dall’altro l’abbruttimento, la creazione di distanze, che inculchino spiegazioni preconfezionate. Il DDL 37 vira purtroppo verso quest’ultima alternativa. Ben altro avrebbe dovuto essere un intervento sulla Scuola, che favorisse in una logica pluralista la liberazione e diffusione delle idee migliori!

La più grande fonte di disparità e di sofferenza nell’epoca contemporanea riguarda la conoscenza. Contrastare tale disparità è nostro dovere, ma anche la nostra unica speranza per un mondo migliore. Questa Legge non va in quella direzione.

Purtroppo, dopo questa legge la scuola sarà più di destra!

Scarica qui l’ultima versione fuoriuscita dalla Commissione e in discussione in Consiglio

Verità e giustizia per Giulio Regeni

Ieri eravamo in molti stretti intorno alla comunità di Fiumicello e ai genitori di Giulio Regeni a rinnovare dopo tre anni l’impegno per “la verità e la giustizia per Giulio Regeni”.

Con quello spirito, il 20 giugno 2018, noi di Open Sinistra FVG, proponemmo la prima mozione di questa legislatura regionale, volta a incitare il nuovo governo nazionale e i presidenti delle Camere nel perseguire il loro impegno di verità.

Perché è così importante chiedere la verità per Giulio quando dopotutto noi già la sappiamo? Il suo sequestro, le tremende torture che subì e la sua morte furono opera degli apparati repressivi dello Stato egiziano. Perché vogliamo sapere quali livelli dello Stato egiziano avevano ordinato tutto ciò?

Lo vogliamo per tutti i Giulio Regeni dell’Egitto e del mondo che in tutte le dittature vengono ogni giorno perseguitati per il loro desiderio di libertà e di emancipazione e vengono torturati e uccisi.

Lo vogliamo perché difendere e promuovere i diritti umani è nostro dovere oltre che un nostro bisogno di vita!

Come ogni anno Paola, la mamma di Giulio ha condiviso tanti pensieri con noi, come il ponte ideale che ha stabilito con le Madri di Plaza de Mayo, che hanno avuto giustizia dopo 40 anni.

Domani, Giornata della Memoria, riaffermiamo nuovamente il nostro impegno perché gli esseri umani non siano mai più considerati come oggetti sui quali scaricare l’odio ed esercitare la barbarie.

Il nostro pensiero però è fisso oggi su quei migranti che da giorni relegati sulla Sea Watch, a meno di due miglia marine dalla costa italiana, vivono un’esperienza tremenda.Un’esperienza voluta dai ministri del nostro governo come deterrente contro futuri arrivi di richiedenti asilo.

Penso che anche questa sia tortura e sento la colpevolezza per non poter fare molto per poterli aiutare ed accogliere.

Ieri a Fiumicello è stata anche ricordata la vicenda della, nave St. Louis che salpò dalla Germania nel 1939 carica di profughi ebrei che cercavano di mettersi in salvo dal nazismo. Fu respinta da numerosi porti da questa e da quella sponda dell’Atlantico e fu costretta a fare ritorno in Europa. Molti di loro non si salvarono dall’Olocausto!

“Ribellione” sindaci al “Decreto insicurezza”: qualche riflessione

La “ribellione” di Sindaci al “decreto insicurezza” di Salvini conferma come l’approccio esclusivamente ideologico con il quale il governo nazionale (e anche quello regionale) affrontano il tema dell’immigrazione sia sbagliato non solo sul piano etico, ma anche su quello pratico. Decidere senza un dibattito, senza coinvolgere gli operatori sul territorio, preoccupandosi più del marketing elettorale che delle conseguenze delle proprie scelte è altamente nocivo e questo emerge giorno dopo giorno. Basti pensare al tema della residenza, necessaria soprattutto per quella “sicurezza” costantemente rivendicata, dato che significa essenzialmente sapere “chi vive dove e facendo cosa”: gettare la gente nell’ombra, rendere irregolari i regolari è solo un enorme favore al mondo perverso del caporalato e della malavita, cosa della quale molti sindaci sono ben consapevoli e preoccupati.
E’ per questa ragione che mi auguro che la Corte Costituzionale si pronunci quanto prima sugli aspetti più controversi del decreto, non solo nell’interesse del decoro giuridico del Paese ma anche dell’ordinato governo delle nostre città e dei nostri territori.